È sempre stato schivo. Scansando accuratamente ogni clamore mediatico, le apparizioni televisive e altre partnership commerciali. Il suo ristorante, l’Astrance, non è stato allestito da un grosso nome del design. Non si trova in un quartiere parigino di tendenza, ma in una stradina defilata del tranquillissimo sedicesimo arrondissement. Pascal Barbot non ha un addetto stampa, non ha un agente, né tantomeno un account Twitter. “L’unica rete che conta, per me, è quella che ho costruito, negli ormai 30 anni di cucina, con i produttori”.
Non si tratta di timidezza. È il suo modo di rispettare il suo lavoro. Di rispettare il cliente, il servizio, gli artigiani, i prodotti, il suo staff, tutti. Se deve assentarsi – per un evento, o per recarsi da uno dei fornitori – è presto detto: il locale rimane chiuso. È solo a questa condizione che può proporre questo menu a sorpresa, senza carta, su misura. Eppure tutto questo non impedisce a questo chef, 44 anni e modi da eterno ragazzo, di riempire la sala a ogni servizio. Alle volte bisogna aspettare dei mesi per riuscire a prenotare uno dei 25 coperti di questo locale tristellato formato tascabile, che ha creato alla svolta del secolo, era il 2000, con Christophe Rohat suo complice e socio.

Nella minuscola cucina dell’Astrance si sono succeduti stagiaire e cuochi, giunti da tutto il mondo per imparare al suo fianco.
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