Menu e filosofia, in anteprima, di quel che è – e potrà essere – la cucina rivelazione dell’Enoteca stellata di Roma
Testo di Lorenzo Sandano
Foto di Stefano Delìa per BLANK
“Tommy gun
But did you have to gun down everyone?
I can see it’s kill or be killed
A nation of destiny has got to be fulfilled
Whatever you want, you’re gonna get it!
You can be a hero in an age of none
Tommy gun
I’m cutting out your picture from page one
I’m gonna get a jacket just like yours”
Tommy Gun – The Clash
Letta superficialmente, la notizia potrebbe apparire come uno dei tanti cambi di guardia nelle cucine stellate. Di quelli che, troppo freneticamente, affollano le pagine dei gossip capitolini. Fortunatamente non è questo il caso. Lo spirito post-punk e anarchico di Massimo Viglietti (che abbiamo già ampiamente raccontato sulle pagine di Cook_inc. 18) termina sì il suo rapporto con il Ristorante Achilli al Parlamento di Roma. Ma lascia simbolicamente il posto a un giovane cuoco – anch’esso dal profilo decisamente punk – che non merita di rimanere stritolato tra rumors e tabloids del genere. Del resto, detiene già voglia, esperienza e virtù per non farne parte.
Mi prendo la responsabilità di affermarlo, perché ho il piacere di conoscere Tommaso Tonioni – è lui il nuovo chef di Achilli – dai tempi in cui condividevamo l’attitudine per concerti, vinili e movimenti musicali ribelli. Molto prima di venir entrambi posseduti dalla passione per il bizzarro mondo dei ristoranti. Persi di vista per un po’, ci siamo ritrovati a distanza di anni nello stesso settore. Ma gravitando in due lati (apparentemente) opposti della barricata: lui in cucina e io a narrarne le vicende. Questo legame, denudato in completa sincerità, non vuol suggerire alcun tipo di favoreggiamento verso la nuova avventura di Tonioni. Gli amici seri, si sa, sono quelli più critici per definizione. Ma avendo sperimentato da vicino il carattere solido e volenteroso di questo cuoco, sono convito che potrà risultare una preziosa risorsa per il panorama ristorativo di Roma. Più che mai nel contesto già riconosciuto e direzionato del ristorante Achilli al Parlamento. Grazie anche alla visione plastica e sagace del patron Daniele Tagliaferri. Veterano dell’accoglienza e assoluto cultore/conoscitore di etichette da tutto il globo.
Il nuovo Achilli. In divenire
Sembra infatti che questa enoteca romana di culto – con ristorante annesso – si sia ormai auto-eletta come contenitore per personalità estrose e fuori dagli schemi. Tonioni infatti potrà sembrarvi timido, schivo e riservato. Ma è un cuoco vero, che ha maturato idee ben precise su una metrica di cucina tutta sua. Facendosi largo tra scottature, gavetta e sudore presso insegne autorevoli del parterre italiano ed europeo. Classe ’89, sempre rigoroso e affamato di curiosità: dagli esordi della golden age del primo Pizzarium di Gabriele Bonci in Via della Meloria, muovendosi con decisione, talento e basso profilo tra le stufe di Da Caino (Valeria Piccini); Il Pagliaccio (Anthony Genovese); In De Wulf (Kobe Desramaults); Asador Etxebarri (Victor Arguinzoniz) e Pierre Gagnaire, dell’ononimo tristellato francese a Parigi. Poi di nuovo a Roma al Pagliaccio – rientrato in brigata da uno dei suoi maestri – ma stavolta nell’ambito ruolo di sous-chef. Questo non vuol essere l’inflazionato elenco di nomi noti, posti come bandierine su un ipotetico CV ad alto tasso mediatico. Le esperienze di Tommaso trasudano coinvolgimento e concretezza, in quanto vissute sino al midollo. Un animo puro il suo. Devoto al gesto grezzo e artigiano. Al consequenziale rapporto materico degli artigiani con cui ama da sempre relazionarsi, per selezionare o scoprire nuovi ingredienti da trasformare nei piatti. Il primo aspetto – da porre in evidenza nella fase ancora in WIP di quel che sarà il nuovo Achilli – è proprio l’attenzione intransigente rivolta al prodotto. Una posizione sulla quale Tonioni non vuole scendere a compromessi. La cucina sarà veicolata e strutturata da/sulla materia prima artigiana. Mai il contrario. Nel mezzo, uno stile che prende forma dal folto background accumulato nel tempo. Che deve, per pragmatica necessità, confrontarsi con quell’ingombrante stella Michelin. Riconfermata a pochissimi giorni dal suo ingresso nelle cucine.
L’obiettivo è dunque ben nitido lungo la strada – e i risultati già ci sono tutti – ma potremo sicuramente aspettarci evoluzioni ancor più nette e stimolanti nei prossimi mesi. Tra cui l’ipotesi, decisamente innovativa, di separare gli spazi dell’enoteca (posta all’ingresso) e del ristorante vero e proprio. Creando forse uno dei rarissimi esempi di locale fine dining in formato speakeasy, presenti su suolo italiano. Aspettiamo speranzosi. Ma lo chef non è tipo da rimanere a scrutarsi le mani, preferendo metterle all’opera sin da subito. In questo primo periodo di soft opening, Tommaso ha promosso una scrupolosa e rigida ricerca di piccoli produttori, contadini e allevatori perlustrando il territorio italiano. Realtà agricole etiche, che vanno a cadenzare e caratterizzare le portate della nuova linea di Achilli: per ora, due percorsi free hand a pranzo (3 o 8 corse, a 55 e 95 euro); 8 portate fisse a cena; più una scelta à la carte snella, dritta e centrata (per gli indecisi di ordinanza).
Come fondamenta materiche, dicevamo, sono convocati a rapporto: le carni bovine (interiora incluse) della Macelleria etica di Michele Varvara (Altamura); le verdure e i legumi bio dei fratelli Alessandro e Marco Poggi (Ciciliano, Lazio); gli animali da cortile e gli esemplari avicunicoli della Fattoria Pulicaro (Torre Alfina). Ma anche un occhio di riguardo per i mieli (compreso il raro miele di spiaggia, molto caro allo chef) della Piccola Fattoria di Flavio, a Pietrasanta. Solo alcune, di tante preziose realtà sostenibili, che pongono l’accento su un tema che Tonioni rivendica a mo’ di manifesto ideologico (e che fa sempre bene ribadire): nessun catalogo o grandi distributori. Ma l’approccio minuzioso e sensibile che interpella il gesto manuale del cuoco, vuole intaccare gradualmente ogni dettaglio del quadro esperienziale che compone la tavola del ristorante. Anche le stoviglie, realizzate in chiave sartoriale dalle ceramiste Fiorella Caroni e Francesca Martini. In successione, ça vas sans dire, la manodopera e gli esercizi che si attuano nelle retrovie. Nel processo filosofico/creativo di ogni preparazione. Noi lo abbiamo testato in una semi-anteprima.
Il Menu. Agricoltura e fine dining a confronto
Gli attuali spazi del locale generano un lieve (e funzionale) contrasto, con l’estetica e l’identità introdotte da Tommaso. Ma anche i suoi piatti, si articolano in un insolito – quanto vincente – dialogo incrociato: la sublimazione cruda, istintiva e primordiale della materia agricola (manipolata secondo tatto ossequioso) che va a fondersi con espedienti neo-classici, impiattamenti o affondi contemporanei. Combo di sapori accesi e innesti di erbe aromatiche che risvegliano appetiti vegetali in abiti estremi. Spesso interpellando influenze orientali ed estere, integrate senza distinzioni. Il tutto suona imprevedibilmente armonico al palato. Generando note acute e una notevole possanza gustativa. Nonostante l’irrisorio rodaggio effettuato. Cominciando dal formidabile e atavico Pane di fagioli fermentati e farro, confezionato rispolverando nozioni d’arte bianca su coerente misura DIY delle proprie esigenze stilistiche. Corroborante Infuso di pesche secche e issopo come starter, a fungere da apripista aromatico per la corposità umamica e salamastra di un Pancake alle ostriche e cavolo nero dal penetrante timbro nipponico.
Il Granciporro con riduzione di avena e olio al mandarino riconduce l’assaggio su sfumature più rotonde, succose ed emollienti. In attesa di una nuova sferzata vegetale – ma anche salina, evoluta e amaricante – del fenomenale Radicchio, capperi e fava tonka (servito con complementare vermut bianco e angostura ad allungarne lo spettro gustativo). Tra i primi piatti, spicca per costruzione e impatto (di altissimo spessore) il Raviolo al formaggio blu, in brodo di fichi secchi e c’era d’api, con miele di spiaggia e olio di elicriso. Ritratto estetico e concettuale – dalla profondità sorprendente – che rende omaggio al mondo dei mieli e delle api, tanto amato dal cuoco in ogni forma. Meno convincente, per eccesso di tonalità dolci, lo Spaghetto con siero di latte, patate e polvere di mele cotogne. Passaggio dal potenziale tangibile, ancora da perfezionare nella gamma di contrasti. Già definito al meglio invece, il sontuoso stecco di Animella fritta nel panko: super crispy in superficie, fondente e densa nel cuore. Rinvigorita e verticalizzata da un’emulsione di pistacchio, bottarga di muggine, foglie di cappero e rape sott’aceto. Wow.
Conquista anche, senza indecisioni, la trama carnivora del Sedano rapa con crema di vongole, arachidi, vermut e grasso di pecora. In fotonico match acetico, con il nerbo animal-vegetale, intervengono salsa di prugne fermentate e capperi di sambuco. Brillante il fraseggio tra Zafferano e ‘nduja nel (comunemente) scolastico pescato del giorno (dalla carta). E ancora sussulti nel comparto dessert: Indivia, mele, mascarpone, pan di spezie e alchermes homemade – come virtuoso transito dal salato al dolce – seguito in chiusura, da un pungente e caleidoscopico Risolatte (con riso integrale) gelato di kefir e rose, cavolo rosso e rose sotto spirito. In sala, professionalità e tempistiche avanzano su una linea già inquadrata. Tra gli scaffali (e in cantina) una selezione di etichette e bottiglie da far perdere la testa a qualsiasi amante del vino (e non). Insomma, una nuova speranza/promessa (insieme ad altre valorose insegne) si appresta a far capolino in città. Provando a interrompere l’omologazione identitaria di Roma. Con un’attitudine che può fare la differenza. Noi ci crediamo, dribblando aspettative forzate o entusiasmi facili. Voi venite a provare e a supportare il nuovo Achilli e la cucina di Tommaso Tonioni.
Via dei Prefetti, 15
00186 Roma (RM)
Tel: +39 06 687 3446