Nuovo menu, spirito & ambiente per il Ristorante di Yoji Tokuyoshi a Milano
Testo di Lorenzo Sandano
Foto di copertina cortesia del Ristorante Tokuyoshi
“Nella fervida speranza che possiate risorgere come uomini e come guerrieri”
La voce degli spiriti eroici – Yukio Mishima
Un buon non-compleanno, dalla prima inaugurazione del 4 Febbraio 2015 a oggi. Per far combaciare questo simbolico evento di festa a un’attesissima novità: Yoji Tokuyoshi – eclettico chef nipponico, adottato nel ventre del ristoro italiano – riapre le porte del suo restaurato locale. Sempre nella metropoli meneghina; sempre nell’indirizzo di Via San Calocero 3. Provando a raccontarlo, non scomodiamo questioni di onore tradizionalista citando il seppuku di Mishima. Al contrario, estrapoliamo l’augurio più nobile che deriva da questo intenso rituale, vista l’affezione vigorosa dell’artista giapponese per il concetto spirituale di morte e rinascita. Perché quella del nuovo Ristorante Tokuyoshi è senz’altro una rinascita fervida di entusiasmo e di vita.
Un ritorno in scena agguerrito, con la tempra del samurai. Tangibile non solo nel lato fisico (restyling degli ambienti) e culinario (linea e menu), ma anche nel riavvicinamento marcato all’animo di una cucina italiana contaminata. Consolidato vessillo stilistico di questo cuoco. Identità del Sol Levante che ha perso la testa per sapori e ricettari italiani (facile vederlo commuoversi di fronte a nonne/massaie d’altri tempi) sin da quando ricopriva il ruolo di sous-chef all’Osteria Francescana di Massimo Bottura. Dopo quei 9 anni modenesi, Yoji ha avuto tempo, modo e carattere per emanciparsi individualmente: nell’omonima insegna di Milano e nel recente progetto in terra natia, Alter Ego a Tokyo. Entrambi fregiati da pluri-riconoscimenti e stelline Michelin di ordinanza. Nel rimettere le mani agli spazi dell’insegna milanese però, ci è parso di cogliere una rinascita del KI: energia primigenia o soffio vitale, che (guarda caso) nei caratteri della scrittura kanji raffigura il vapore che sale dal riso in cottura. Non aspettatevi ciotole di riso in bianco. Piuttosto un risorgimento sostanziale alla sostanza e all’essenza del gusto. Quasi spiazzante nella sua spigliata naturalezza.
Spazio & Omakase
Il primo impatto, varcata la soglia, è puramente estetico: 30 sedute avvolte da cromatismi ed elementi boschivi, in cui domina il verde e un luminoso bancone in legno posto di fronte alla cucina a vista. Segue l’inedito tavolo sociale (pensato per pasti conviviali, fino a 8 persone) e una nuova sala semi-nascosta da una porta scorrevole. In questo caso, pervasa dal blu – a evocare ecosistemi marini – dove trovano collocazione arredi vintage e i quadri dalla verve orientale del celebre pittore Andrea Saltini. L’intero lavoro architettonico, curato dallo studio milanese Progetto e Paesaggio, vuole cadenzare l’esperienza attraverso il timbro dei differenti ambienti: la sala principale, dedicata al menu degustazione (principalmente al banco) e à la carte; la saletta marina invece, sarà adibita a zona comfort per l’aperitivo e per il momento dessert e caffè/digestivi da fine pasto. A partire da marzo, la sala ristorante ospitarà anche un’offerta smart a base di menu-cotoletta. “Sì, ma in stile tonkatsu” esclama radioso Yoji “con insalata, purè di patate, zuppa e frutta a 35 euro”.
Foto cortesia del ristorante Tokuyoshi
Decisamente da provare. Solo dopo aver attinto all’attuale percorso di assaggi: battezzato Omakase, ancora parzialmente work in progress, mette in schiera senza indugi una gamma di sapori prosperosi, robusti e profondamente legati al prodotto italiano. Pochissimi effetti scenici – salvo le preziose stoviglie – che spianano il tatami alla ricerca dello yin&yang gastronomico. Estratto dalle sfumature palatali più complesse (e meno modaiole) da gestire, quali dolcezza, sapidità e componenti lipidiche. E qui Tokuyoshi riesce già a destreggiarsi come un ronin provetto. Nei piatti (ognuno abbinato a un brodo), ma anche nella scelta di un servizio svelto e ai limiti dell’informale.
Accomodati al banco, ci sgranchiamo le papille con l’iconica Pizza capricciosa (modellata sulla cialda di riso nipponica senbei): accoglie ingredienti del condimento usuale – come pomodoro, burrata, mortadella, origano funghi crudi e carciofi – riproducendo un morso atavico e goliardico del miglior spicchio di pizza. Quello lasciato freddare, in gesto take away universitario, dal peccaminoso valore evocativo. Poi, una similitudine mare-terra di consistenze e materie prime agli antipodi, risolta con maestria, nel calloso/animalesco Sashimi di calamaro, lardo, limone, pecorino, rafano e olio. “Un po’ cacio e pepe” scherza Yoji, ammiccando alla mia romanità. Il Chawanmushi (simil-budino di latte e uova) con cavolfiore, granchio e caviale di trota, condensa voluttuosità, picchi salini e trame formose con la grazia sensoriale di una geisha. Seguito, in combo di assestamento, dal fendente acuminato di una katana. Lo Spaghetto al beurre blanc con pompelmo e ricci di mare è un sunto perforante/maestoso di culture distanti (temperatura da soba, manto francese e opulenza mediterranea), raccolte in un nido di pasta dal nerbo godereccio inverosimile.
La Coda di rospo con pil-pil, peperone crusco e prosciutto di Parma, sconta forse un grado salino eccessivo. “Dobbiamo ancora capire come far fruttare al meglio la Berkel” rimarca gaio Tokuyoshi, riferendosi all’affettatrice rosso fiammante esposta al bancone. Ma il tao gustativo si riassesta subito con un succulento Pollo ficatum (alimentato a fichi e frutta secca) con radicchio e fichi secchi: esemplare equilibrio tra dolcezza, sentori amaricanti e la burrosità carnivora di questa strepitosa varietà avicunicola.
Prima del dessert, un’ulteriore rinascita nel piatto con un ritorno all’origine dei primi sapori assimilati dallo chef in Italia: impeccabili, sensuali, Tortellini in brodo all’emiliana con tartufo nero. Ove il pregiato consommé è la sintesi degli ingredienti utilizzati per il ripieno: mortadella, lonza di maiale, Parmigiano Reggiano 36 mesi e prosciutto di Parma. Non avrai altro umami italiano all’infuori di questa pasta ripiena.
Emigrati nella saletta blu – per petit four e pasticceria in modalità sollazzo – intacchiamo il dolce Cemento & Terra (meringa, crumble di cacao salato, gelato di topinambur, pera, finocchietto marino, tartufo nero) come ulteriore gesto benaugurale nei confronti di questo ristorante. “Il dessert è qui dal primo menu, ci sembrava opportuno inserirlo durante la riapertura” sottolinea sorridente Yoji. Giustissimo. Perché se la rinascita spirituale dello chef si origina dal KI culinario del guerriero ritrovato; quella del nuovo Tokuyoshi prende slancio col piede giusto. Dall’asfalto florido del neo-terroir di Milano.
Ristorante Tokuyoshi
Via S. Calocero, 3
20123 Milano (MI)
Tel: + 39 340 83 57 453