Forno, crowdfunding e nuovi progetti per Cambiare il mondo
Testo di Cristina Ropa
Foto cortesia di Pasquale Polito
Sorride sempre Pasquale. Quando si ferma ad ascoltare poi sono gli occhi a brillare. Se si ama qualcosa tutto il corpo lo emana. “Ci siamo lanciati, completamente ignari della follia. Fare un business plan e dire vendiamo tutti i giorni 1.000 euro di pane. Un conto è dirlo un conto è avere poi davvero tutti i giorni persone che si incontrano e che si vogliono bene ”. Il profumo di buono arriva alle mie narici e mi distrae. Nulla da fare. Quel pezzo di panettone che gentilmente mi è stato portato ha qualcosa di magnetico. Ma attendo. Uno degli artefici di tutto è davanti a me e non voglio distrarmi. Voglio ascoltarlo e captarne ogni sfumatura, soprattutto del cuore. Perché è di questo che si parla. Di passioni, di vita, di esseri umani meravigliosi, di giovani coraggiosi che ci stanno credendo, fino in fondo. “La nostra è un’impresa felice, un luogo in cui lavorare e divertirsi allo stesso tempo basata su delle fondamenta che sono la fiducia, l’amicizia e la voglia di Cambiare il mondo”. Sì sì avete letto bene. Change the World.
“Ah bello bello quello che dite però non si può fare”. Dicevano i più scettici a Roberto Burdese, Presidente onorario di Slow Food. Fino a quando un bel dì quella realtà tanto immaginata prese forma. “Con l’entusiasmo degli anni giovanili si esagera – disse perché anche Burdese forse, dico forse, così tanto non se lo sarebbe mai aspettato – ma io ricordo bene quello che hanno raccontato. Oggi sono già andati oltre. Il loro è un modello perché si realizza in un momento in cui tutti dicevano il contrario. Non potete immaginare quanta soddisfazione”.
E tu che sei giovane o adulto, che a prescindere tutto di guadagnato c’è se punti nel futuro, nelle nuove generazioni, ci credi? Parti, ritorni. Vivi, scopri, osservi rivoluzionari, intrepidi giovani che si lanciano nelle sfide globali. Cambiamenti climatici, immigrazione, robe grosse, che ti lasciano sgomenta di ammirazione e voglia di unirti a loro. La storia parla. Ci mostra. C’è un flusso che sta spingendo forte. I giovani stanno accendendo scoppiettanti scenari futuri. Positivi, poetici, irrefrenabili. Come una cascata. Che più la corrente spinge più monta in un tutta la sua maestosità. Perché no? Io ci credo che posso Cambiare il mondo. Che posso realizzare il mio sogno. E voglio mostrartelo. E non solo. Voglio offrirti l’occasione di farlo anche tu insieme a me. Sì. Proprio questo Cambiare il mondo. Dai, facciamolo.
“È come il Mica milanese e il Pas francese. Je ne sais pas. Non una briciola in più. Non un passo in più. Significa anche Ma basta. Era il soprannome di Davide” dice Pasquale. That’s Brisa.
Tutto nacque a Bologna nella città dove, non a caso, sorse nel 1088 la prima Università del Mondo occidentale, la prima a essere una libera e laica organizzazione fra studenti. Qui Pasquale Polito e Davide Sarti hanno iniziato come pionieri a tracciare nuovi sentieri, con mani, menti, cuori contemporanei infarinati di saperi passati tramandati da grandi maestri: Gabriele Bonci per Davide “quando ho visto il suo banco a Roma completamente colorato che andava contro ogni logica sono rimasto folgorato”. E un anno e mezzo c’è rimasto. Per Pasquale fatale fu l’incontro con Davide Longoni: “Mi ha insegnato una grandissima cosa: la generosità. Mi ha aperto il libro, ma non delle ricette. Ogni domanda che facevo aveva sempre più di una risposta”. Per i due giovani in realtà galeotta fu un’altra Università, quella di Pollenzo, un capitolo della storia, un passaggio, per conoscersi, formarsi, crescere e poi rituffarsi nella città dotta, ammaliatrice di talenti. E dove ora stanno conquistando tutti e tutte.
Ma facciamo prima un’altra capriola all’indietro, nel tempo, un po’ più in là, all’origine di tutto. Bologna sempre lo scenario. C’era uno studente di geografia, Pasquale, appassionato della materia in procinto del dottorato. Quando un malessere fu l’inizio del cambiamento. Proprio come una furiosa tempesta è condizione imprescindibile affinché spunti l’arcobaleno. “Avevo un’ulcera allo stomaco e se uscivo a mangiare la pizza o il pane stavo male. Mi sono messo a studiare su YouTube la pasta madre e i grani antichi. Da lì ho iniziato a farmi il pane in casa. La vicina mi chiedeva cosa fosse il profumo che sentiva, io poi sono uno socievole. Porta giù il tuo pane!, mi diceva. E io glie lo portavo. “Uscivo con il cane, conoscevo la gente del quartiere Saragozza. Conosci, porti, fai assaggiare”. Un social club che funzionò e che fu il preludio di quello attuale. Poi a Pollenzo l’incontro con Davide. “Arriva in infradito. Dice due cose: sono di Bologna e voglio aprire una pizzeria a Ibiza. Un genio”. Studiano, mangiano, si confrontano. Quattro intensi mesi passano e nuove idee vanno a maturazione. Emerge così a ritmo di colori pop, duro lavoro, sogni danzanti, determinazione, amicizia, l’ormai amatissimo, originalissimo Forno Brisa.
Trentadue spettacolari giovani in tutto, con un’età media di 29 anni in negozio, in laboratorio di 23, viaggiano a una quota che va oltre le aspettative, moltiplicate e ampliate dai fatti. Quasi quattro anni di vita a oggi, fondamentali per maturare esperienza e consapevolezza senza abbandonare mai l’iniziale e sana follia. Tre stores, una crescita di fatturato del 483%, tra i pochi in Italia ad avere un’azienda agricola a panificare con il proprio grano – eh sì i ragazzi utilizzano il 35% dei grani coltivati nei loro terreni in Abruzzo e per il restante quello di piccoli agricoltori sostenibili, un crowdfunding sulla piattaforma di equity crowdfunding Mamacrowd e un nuovo lab in apertura, primo obiettivo, già raggiunto, della campagna che terminerà il 22 gennaio 2020. C’è tutto. Sostenibilità sociale, agricola, economica e nutrizionale. E aggiungerei. Gioia di vivere. Si parla di nutrire terreni, di prendersene cura, di ospitare, si parla di cuore, di umanità, di sensibilità, di conoscere la filiera di ciò che si mangia, di amore e di rispetto per la natura. Si parla di tanti giovani di diverse nazionalità, di nuovi posti di lavoro, di una riscoperta della figura del fornaio che riconquista un suo podio nella quotidianità di tutti.
“Ci riteniamo artigiani ma anche artisti – è la voce di Davide – cerchiamo di mettere il bello e l’estetica in tutti i prodotti che facciamo. Per noi la comunicazione è importantissima. Stiamo cercando di risollevare l’immagine che ha il pane come prodotto culturale, dopo che è stato bullizzato e trattato male negli ultimi 15 anni. Cerchiamo di dare un’immagine pop, cool a quello che facciamo. Quando si vede che quello che diciamo è quello che facciamo il messaggio arriva forte”. Poesia ed emozioni crescono così come le abilità finanziarie. Si parla anche di investimenti, di calcoli scientifici, di sforzi, di impegno totale. Una love story con note high tech. “Il primo anno lavoravamo senza giorno libero dalle 4 di mattina alle 11 di sera. No stop. Pulizia perfetta. La mattina si ricominciava. Non c’erano turni, non c’erano dipendenti. Eravamo solo noi” dice Pasquale. Quando la passione è irrefrenabile e ogni cellula del tuo corpo va verso una direzione, non senti la fatica ma solo la voglia di continuare, ancora e ancora. “Se mi lamentassi significherebbe che ho perso di vista l’obiettivo, ho perso la bussola. Il problema è quando la gente corre e non sa dove va. Io ho la fortuna di essermi scelto un lavoro che è una passione”. Si è ampliato lo scenario, il progetto, la capacità di abbracciare e realizzare nuove possibilità. Un qualcosa che si è evoluto con il tempo, pagnotta dopo pagnotta.
“Avevamo immaginato un nostro posto, un laboratorio più grande poi quando abbiamo visto che tante persone dentro un gruppo come il nostro si potevano esprimere e potevano lavorare felici, là è nata la spinta – al Forno Brisa vige la “cultura della gentilezza e dell’incoraggiamento“ – quando vedi che i dipendenti stanno bene ti carica. Noi non siamo avidi di proprietà. Siamo tutori dei valori e della meta aziendale. Con il crowdfunding abbiamo aperto la proprietà a tutti”. Una campagna con grandi obiettivi, come loro: la formazione di giovani fornai, l’ampliamento del laboratorio per poter migliorare la produttività e il controllo della qualità, il coinvolgimento di un numero sempre maggiore di agricoltori che lavorano con sistemi sostenibili e producono farine nel rispetto del territorio, la nascita a Bologna di una scuola di formazione e in futuro anche di un mulino. “Il mio sogno è di farlo collettivo insieme agli altri panificatori. Voglio conoscere bene la parte agricola, seguire tutta la filiera. Se tu hai il bosco e fai il falegname vedi tutto. Scienza e romanticismo vanno di pari passo per fini di ricerca. Non hai idea di quanto possa incidere la molitura sulla panificazione. Incide sui batteri della pasta madre, incide su tutto”. E in effetti sì non ne ho idea ma intanto il loro progetto mi ha conquistata.
Il dado è tratto e l’assaggio finale doveroso. Il panettone nasconde tocchi di pera candita e cioccolato. Una delicatezza e al contempo intensità che mi lascia estasiata. Sogno o son desta? “Impastato con farina, zucchero di canna, uova rigorosamente biologiche, burro di centrifuga ottenuto da panna fresca, miele d’arancio di Mieli Thun, aromatizzato naturalmente con composta di mandarino tardivo di Ciaculli e bacche di vaniglia. Pere candite al naturale di Barbieri, cioccolato São Tomé bean to bar autoprodotto” leggo dal sito. Ma non finisce qui: c’è il Classico, allo Strudel, Caffè e Cioccolato Bianco, Sacher. Mi prefiguro un Natale pieno di scatole colorate, quelle pop del panettone e di nuovi momenti pieni di stupore. Tutte bontà frutto di contaminazioni, collaborazioni, unione di idee, tanti legami che i ragazzi hanno creato, senza sosta. Perché, ma questa è un’altra storia, sono davvero tanti quelli che hanno creduto in loro, innamorandosi perdutamente del progetto e decidendo di farne parte.
Toccando con mano che quando si è insieme quel Cambiare il mondo è davvero possibile.
Forno Brisa
Via Galliera, 34d
40121 Bologna (BO)
Tel: +39 051 248556
www.fornobrisa.it