Due diverse epoche, due diverse classi sociali, un solo buon palato
Testo di Benedetta Beria d’Argentina e Carlo Alberto Bosio
Preambolo
Se ne può stare a discutere per ore, ma difficilmente si arriverà a individuare l’origine del momento esatto in cui in Piemonte compare sulle tavole la carne cruda, detta “alla zingara” o “all’albese”.
“È tradizione” ti rispondono i piemontesi, ma da quando, e perché, e come, sono domande senza una risposta certa.
“Intendi quella tipo carpaccio?” chiede a questo punto l’unico non piemontese, spostando l’asse geografico “Guarda che l’ha inventata Giuseppe Cipriani a Venezia.”
“Però in Piemonte già i nonni dei miei nonni la mangiavano” ribatti.
“Ah sì? Cruda? E quanto sottile? E che ci mettevano sopra?” incalza quello, cercando il cavillo, il punto debole per non perdere il primato.
“Il limone, l’olio, quello buono di frantoio che facevano loro…”
Ed ecco che le storie si intrecciano e da ambienti ed epoche diverse sgomitano per farsi raccontare.
“Ma chi se ne importa di stare a discutere chi l’ha inventate e quando” interviene l’inutile paciere di turno per chiuderla lì “In fondo sono solo fettine di carne cruda condite.”
Già, in fondo sono solo fettine di carne cruda condite.
O forse no.
Buona lettura.
Credits: si ringraziano per le storie Arrigo Cipriani, (autore del Libro “Harry’s Bar di Venezia. Le ricette della tradizione”) e Battista Fissore, proprietario della Agrimacelleria Biasin (fraz. Riva di Bra, Cuneo)
28 giugno 1950
Villa Nani Mocenigo, Venezia
Si stava rifacendo il trucco. Aveva pianto tutto pomeriggio. Non si aspettava di ricevere quella notizia. Com’era possibile fosse successo a lei? Stava sempre attenta alla sua salute, non aveva mai sgarrato. Sì, si concedeva un Bellini ogni tanto ma lo facevano tutti e poi era sportiva e conduceva uno stile di vita tranquillo. Seduta davanti allo specchio della sua toilette, la contessa Amalia Nani Mocenigo, pensava alle parole del medico. “D’ora in poi non può più permettersi di mangiare tutto! Dovrà seguire una dieta rigidissima se non vuole più sentirsi affaticata. Sono i globuli rossi.” Le aveva detto il dottor Zancan.
Tutti a Venezia la conoscevano, era la Contessa Nani Mocenigo e la sua era una tra le più insigni e ricche famiglie della città. Il Conte e le ragazze, Carla e Gabriella, avevano pensato di portarla all’Harry’s Bar, da Giuseppe. Amalia adorava la mondanità e l’Harry’s era il punto di incontro di tutti i ricchi veneziani. Era il luogo perfetto per tirarle su il morale quella sera.
“Dai mamma, Zancan ha solo detto che devi evitare di mangiare cibi grassi, che devi preferire la verdura ai formaggi e che non puoi più mangiare l’entrecôte! So che ti piace tanto ma troveremo una soluzione Mamma, vedrai!” diceva Carla ad Amalia che si stava incipriando il naso. Era pronta per uscire, indossava un vestito nero e il suo immancabile filo di perle.
Frazione Riva di Bra, Piemonte
28 giugno 1888
Biagio, per gli amici Biasin, tornava a casa. Era stata una giornata faticosa. Faceva caldo e lavorare nei campi, sotto il sole era davvero stancante. Quel giorno era il loro anniversario: sei anni di matrimonio. Desiderava tanto abbracciare Lucia e regalarle il mazzo di fiori che le aveva preso in città quella mattina. Li stringeva in mano. Non erano più bellissimi. Avevano patito il caldo anche loro ma Biasin sapeva che Lucia li avrebbe apprezzati comunque tantissimo. Era “cotto”, sudato e sporco di terra ma camminava a ritmo sostenuto perché lo aspettava una cenetta speciale. “Sta sera ti faccio la Zingara!” erano le parole che gli aveva urlato quella mattina Lucia dalla finestra. Lui si era girato e lei lo salutava e ripeteva “la Zingara! Come piace a te”.
28 giugno 1950
Harry’s Bar, Venezia
“Buonasera Contessa, come sta?” era in assoluto la sua cliente preferita. Erano ottimi amici ma a Giuseppe era sempre piaciuta. Amalia non era la più bella ma era elegante e sensuale. Giuseppe adorava servirla e quando la vedeva arrivare correva a spruzzarsi un po’ di colonia e a sistemarsi la camicia. Sapeva bene che Amalia era sposata ma sentiva che tra loro c’era un legame più forte. Probabilmente era così ma lei era contessa e lui proprietario di un bar.
“Mio caro Giuseppe quest’oggi ho il morale sotto ai piedi!”. Amalia gli raccontava quel che le era stato diagnosticato e lui, come di consueto, l’ascoltava con grande attenzione. Certo era che quella indicazione ad una vita più morigerata non avrebbe purtroppo giovato al consueto e tanto atteso da lui appuntamento all’Harry’s per il loro Bellini. C’est la vie!
“Mangerei volentieri qualcosina ma non posso più concedermi la mia adorata Entrecôte”
28 giugno 1888
Azienda Agricola Biasin, Bra
Anna è in cucina. La tavola è già apparecchiata. Stessa tovaglia, stessi piatti, posate e bicchieri ma quel giorno disposti con molta più cura ed attenzione e in aggiunta una bottiglia di Barbaresco e una biga di pane tagliata in quattro.
28 giugno 1950
Harry’s Bar, Venezia
“Quindici minuti Contessa, mi dia quindici minuti!”. Giuseppe svaniva nella cucina.
28 giugno, ore 20.04
Un quarto d’ora dopo, mentre Biasin faceva scarpetta nell’olio con la mollica di pane e Amalia sorseggiava il suo Bellini, Lucia e Giuseppe uscivano dalla cucina.
Zingara per il contadino e Carpaccio per la contessa.
E i due iniziavano a mangiare.
IL VERO CARPACCIO [1]
“Se voi sfilettate della carne cruda, naturalmente freschissima e tagliata in fettine leggere come fosse un prosciutto, eccovi (con l’aggiunta di un tantino di salsa) il Carpaccio. Con il Carpaccio gli imbrogli sono proibiti. Il suo segreto è nell’essere interamente svelato, nudo come mamma l’ha fatto. Per questo, non riconoscendone tante qualità, non amo la cucina francese, che predilige invece i cibi in maschera. Come è nato il Carpaccio? Alla contessa Amalia Nani Mocenigo i medici avevano ordinato una dieta strettissima. Non poteva mangiare carne cotta e così, per accontentarla, pensai di affettare un filetto molto sottile. La carne da sola era un po’ insipida; ma c’era una salsa molto semplice che chiamo universale per la sua adattabilità alla carne e al pesce. Ne misi una spruzzatina sul filetto e, in onore del pittore di cui quell’anno a Venezia si faceva un gran parlare per via della mostra e anche perché il colore del piatto ricordava certi colori dell’artista, lo chiamai Carpaccio.”
Giuseppe Cipriani
Ingredienti per 4 persone
- 600g controfiletto di manzo giovane
- 250 g di maionese fatta in casa
- 1 cucchiaino di succo di limone appena spremuto
- 1-2 cucchiaini di salsa Worcestershire
- 30-45 ml di latte
- pepe bianco macinato fresco
- sale
Per la carne
Pulire il pezzo di carne togliendo ogni traccia di grasso e ogni nervetto o cartilagine, ottenendo così un piccolo cilindro di carne tenera da conservare in frigorifero. Una volta ben fredda, usando un coltello molto affilato o, meglio, un’affettatrice domestica, tagliare in fettine sottilissime. Sistemarle su 6 piatti da insalata, in modo da coprirne interamente la superficie, salare leggermente e mettere i piatti in frigorifero per almeno 5 minuti.
Per la salsa carpaccio
Mettere la maionese in una ciotola e mescolarla con la salsa Worcestershire e il succo di limone. Aggiungere il latte in modo da ottenere una salsa abbastanza consistente che si possa spalmare con il dorso di un cucchiaio di legno. Assaggiarla e correggere il condimento con un po’ di sale, di pepe e di altra salsa Worcestershire, oppure con altro succo di limone, secondo il gusto personale.
Per completare il piatto
Subito prima di servire, intingere varie volte un cucchiaio nella salsa carpaccio e, facendola gocciolare dall’alto e decorare le fettine “alla Kandinskij”. Servire subito dopo.
LA VERA CARNE ALL’ALBESE (o alla ZINGARA) [2]
Quella del Cipriani non è stata tuttavia una vera e propria invenzione in quanto in Piemonte, e più precisamente nella zona dell’albese, la carne cruda finemente affettata si è sempre preparata. La sua presenza in ricettari dell’Ottocento esclude che il Carpaccio possa essere stato “inventato” da Cipriani. Al limite è stato riproposto con un nuovo nome e (di questo bisogna dargliene atto) un condimento del tutto innovativo. Infatti la carne cruda, affettata o battuta al coltello, è da sempre presente sulle tavole del Piemonte, tradizionalmente preparata con aglio, olio di oliva, succo di limone, sale, pepe, spezie e (naturalmente quando è stagione e per chi se lo può permettere) con il pregiato tartufo bianco di Alba.
Ingredienti per 4 persone
- 400 g di rotondino di coscia o girello affettato sottile
- 2 cucchiai di olio d’oliva finissimo
- succo di 1 limone
- pepe macinato
- 1 chiodo di garofano macinato fine all’istante
- 1 pizzico di sale
- in stagione: un etto di tartufi
- varianti: q.b. di parmigiano o funghi
Preparazione
Sbattere in una scodella l’olio (nel quale per alcuni giorni si è lasciato in infusione il pepe nero e i chiodi di garofano macinati fini), il succo di limone, il sale, con una forchetta tra i cui denti è stato infilzato uno spicchio d’aglio pelato e appena fiaccato. Fatta accuratamente l’emulsione, vi si passerà dentro, da ambe le parti, le sottilissime fette di carne da deporre ben disposte nel piatto di portata. Lasciare riposare 10-15 minuti e servire. Nella stagione propizia, accompagnare con lamelle di tartufo bianco, eliminando il limone dalla salsa; il tartufo va finemente affettato poco prima di servire. Se si vuole accompagnare con parmigiano, eliminare il limone dalla salsa, tagliare in scaglie il parmigiano appena il piatto è pronto, lasciare riposare e poi servire. Si può seguire lo stesso procedimento se si aggiungono i funghi alla ricetta.
[1] La ricetta è tratta da “Harry’s Bar di Venezia. Le ricette della tradizione” di Arrigo Cipriani.
[2] Ricetta tratta da Ente Turismo Alba Bra Langhe Roero, http://www.langheroero.it/ricette/carpaccio-di-carne-cruda-allalbese. La ricetta è stata letta e approvata dalla famiglia Fissore (il nipote del famoso Biasin), con l’unica eccezione dei chiodi di garofano, lui non li mette.