Testo di Letizia Gobio Casali
Foto cortesia di Spore
Se un ristorante si giudica dalla voglia di ritornarci al termine di una cena, Spore è uno dei più interessanti locali di Milano. Perché la sua cucina è originale senza eccessi, equilibrata eppure inedita. E poiché i suoi sapori sono difficilmente riscontrabili altrove e il menu cambia spesso, succede che, appena uscito, uno si chieda subito cosa potrà saltare fuori dalla cucina alle prossime visite.
A dispetto, infatti, della premessa teoricamente destabilizzante, ovvero l’offerta di piatti in cui l’elemento principale è la fermentazione, il menu conquista, ma non sconvolge. Anzi, come suggerisce Giacomo Venturoli, 32 anni, uno dei due giovani imprenditori che gestiscono il ristorante, se un piatto risulta troppo acido o sensorialmente estremo, il problema non è la fermentazione: è la ricetta. Per questo motivo, una delle frasi che gli ospiti più spesso rivolgono ai proprietari di Spore è: “immaginavo sapori più forti”.
Non che la delusione delle aspettative sia una delusione tout court: tutt’altro. È il sigillo invece del riuscito bilanciamento di una tecnica sofisticata e di ingredienti “comuni”, che consente di saziarsi con piatti stimolanti, gustosi e nel rispetto di un ottimo rapporto qualità-prezzo.
Artefice del menu è Mariasole Cuomo, campana di 28 anni, un passato all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, un Master in Food Innovation and Health conseguito in Danimarca, qualche mese al Noma Fermentation Lab e altri mesi come sous chef di Liza Lov al Tigermom di Copenhagen, dove si è concentrata sulla parte creativa del lavoro. Per quanto vi siano anche alcuni piatti à la carte (come le Frittelle di zucca fermentata, con salsa tartara al douchi, e rafano o il capocollo frollato nel koji di orzo, con riduzione di koji (riso fermentato) latto fermentato, in genere si va da Spore appunto per provare il menu completo, che prevede una sequela di 6 piatti al prezzo di 40 euro, inclusi coperto e acqua.
“La nostra idea era quella di evitare al cliente di pagare extra invisibili come il servizio, le stoviglie, il decor e al contempo di non basarci su stagisti non pagati” ci spiega Giacomo, che ha verificato simili meccanismi lavorando in ristoranti di alta gamma a Londra e in Danimarca. Il costo del menu, quindi, è poco più del mero food cost “perché i piatti vanno condivisi – spiega Mariasole – e qui mangi quando è pronto, a volte pazientando un po’, finché il cibo, per esempio, come nel caso della griglia yakitori”.
In cucina, infatti, ci sono solo lei, il suo aiutante (un altro è in arrivo) e un lavapiatti. Mentre in sala, accanto a Giacomo, che fa da sommelier e occasionalmente serve i piatti, lavora un’altra persona. Ma a volte capita che chi cucina spieghi anche il piatto al cliente per non rallentare il servizio.
Molte preparazioni sono predisposte in anticipo (essendo frutto di fermentazioni che richiedono 15 ore al giorno di presenza nel locale), ma alcune portate sono preparate sotto gli occhi dei fortunati avventori che siedono al banco e che possono osservare la rapidità e attenzione con cui, per esempio, i tagliolini fatti in casa da Giacomo vengono passati in padella da Mariasole, che al contempo segue altre preparazioni e monitora la progressione dei piatti nei vari tavoli.
L’esordio del menu, quando abbiamo visitato Spore, lo scorso 27 settembre (da allora la Melanzana è stata rimpiazzata dalla Zucca e la Pannocchia da uno Spiedino di maiale) si è manifestato con un pane in cassetta fatto con lievito madre, in cui la dolcezza appena accennata data dallo zucchero si contrappone con leggerezza alla Panna acida e douchi (fermentato di semi di soia), ma che serve anche ad accompagnare i primi due piattini da condividere: Melanzana, sesamo fermentato daikon e scalogno fritto, deliziosa in cui la dolcezza dello scalogno ben si armonizza con il sentore “quasi di formaggio” del sesamo; e Peperone, uovo marinato in salsa di pesce, bottarga e foglie di senape, una gioia cromatica e aromatica.
Sono seguiti la Pannocchia cotta allo yakitori, col tocco piccante della sriracha mayo, a base di peperoncino, l’acidità stimolante del lime e le arachidi, a rimarcare l’ispirazione orientale della ricetta, “che ad alcuni invece ricorda piatti sudamericani” ci spiega Mariasole, che anche quando il locale si riempie (ed è martedì) resta l’emblema della Grace under pressure.
Calo della piccantezza con i morbidi Tagliolini burro, miso e “tartufo” di patate (una patata fermentata con Aspergillus, disidratata e poi reidratata in salamoia grattugiata come un tartufo, a dare un tocco “terroso”) e con il delicato Cefalo, salsa tom kha, spinacio d’acqua e coriandolo, ricordo di un mese in Thailandia della chef. Finale con dolce-non-dolce fatto con Crema di riso e cocco al forno, con le percoche fermentate a evocare il mango e di nuovo il tocco dolciastro dello scalogno fermentato. Chi scrive ha anche apprezzato la proposta di un kombucha lapsang, per ripulire il palato e i due vini naturali austriaci proposti da Giacomo.
Ma in realtà è tutto l’insieme a convincere, inclusa l’estetica minimal, vagamente nordica, del locale, le stoviglie, il giardino interno e parte della cucina a vista bancone. L’obiettivo di Mariasole e Giacomo è di costruire, una volta assestato il lavoro di Spore, una piccola serie di locali diversi dal capostipite, a cominciare da quello romagnolo (perché Giacomo è di Imola) progettato in alternativa a questo. Ma fino ad allora, il nostro consiglio è di correre a mangiare qui, finché non ci sarà una lunga lista d’attesa. In ogni caso, al momento del conto, sarà meglio prenotare già la data successiva.
Spore – cucina moderna e fermentazioni
Via Passo Buole, 4
20135 Milano (MI)
Tel: +39 3899191929
www.sporeristorante.it