Il senso delle cose che restano, tra le correnti mai ferme della vita
Testo di Andrea D’Aloia
Foto cortesia de La Sangiovesa
Quando arrivi a conoscere certe storie da vicino ti viene la pelle d’oca. Risali il tempo, scavi alcuni significati, lasci sedimentare nozioni e – se sei fortunato, come in questo caso – porti a casa anche qualche insegnamento prezioso. E mentre apprezzi un presente dove tutto appare logico, consequenziale e coerente, è la precisione dell’incastrarsi dei pezzi a lasciarti senza parole. È il constatare irragionevole che per ogni tassello che ora vedi posizionato al suo posto, ce ne sia stato – a un certo punto – un altro perfetto per stargli accanto e proprio lì sia andato a poggiarsi.
La Sangiovesa è nata nel 1990 dalla tenacia di un sentimento e dalla volontà di comprendere quanto profonde fossero alcune radici e quanto fossero importanti certi dettagli: è l’incipit di uno di quei rari racconti che poi si dispongono in maniera del tutto naturale sotto una luce diversa. Il momento è quello in cui Manlio Maggioli non ha più resistito e ha ceduto al desiderio di dedicarsi a quella cosa che aveva dovuto mettere da parte per fare prima quello che doveva fare(ha fondato la suaazienda nel campo dell’editoria e dell’innovazione digitale, e l’ha portata al successo e ai vertici del settore). Gli era rimasto questo pensiero sospeso e lui aveva ancora spazio per un desiderio diverso, per tenersi aggrappato a qualcosa di bello che sentiva se ne stesse scivolando via.
E se è vero che soltanto qualcosa di molto speciale può ricondurti vicino alla verità, allora l’osteria è uno di quei luoghi in cui meglio si conserva la memoria di ciò che siamo stati: è la carta su cui è scritto da dove veniamo, e perché siamo così. Torni a gesti che conosci, ritrovandoli uno a uno, dove li avevi lasciati. Lui voleva un luogo che sapesse rispecchiare le sue idee, capace di rendere giustizia ai suoi valori, che fosse permeato dell’autenticità di questi territori e riuscisse a illuminare – a tavola e nei bicchieri – l’identità santarcangiolese, la cucina d’autore e le produzioni tipiche romagnole. La sua, di osteria, Maggioli se l’è immaginata inseguendo un’idea costruita con attenzione e misura. “L’ha vista prima ancora che esistesse”, testimoniano quelli che sanno per filo e per segno com’è andata. Ha scelto Palazzo Nadiani, centrale nel borgo di Santarcangelo, e ne ha tirato a lucido ogni trave, volta e singola pietra, recuperando un immobile prezioso. Le sale, i piani, i sotterranei sono piccoli gioielli. Con i suoi familiari e gli amici più cari li ha riempiti d’arte, emozioni e ambizioni. Ma soprattutto: ha donato a questo posto un’anima. La Sangiovesa ha saputo subito cosa avrebbe dovuto essere; poi lo è stata per tutto il suo tempo con una coerenza inscalfibile e un’esattezza meticolosa. Nulla stride, zero incongruenze, tutto è curato e in armonia. Il pubblico questo lo ha apprezzato, riempiendo per più di trent’anni l’osteria con numeri da capogiro.
La cucina che si fa qui è quanto di più affidabile, concreto e profondo si possa desiderare. Sapori artigiani e tempo, da 25 anni nelle mani di Massimiliano Mussoni: poche chiacchiere, lui è una garanzia.Con Maggioli il sodalizio è granitico, saldato dai dogmi imprescindibili della qualità, del rispetto e della valorizzazione degli ingredienti. Perché qui non cucinano soltanto, ma portano a spasso il passato e la tradizione, con gesti che conoscono benissimo: lo vedi dalla sicurezza con cui li compiono.
Ogni dettaglio col tempo ha conquistato il suo posto e la sua importanza: a La Sangiovesa trovi all’opera le azdore, a tirare a mano tagliatelle da morirci soltanto a guardarle, lasagne opulente, paste ripiene da sogno, superbi passatelli in brodo di cappone, gli strozzapreti “solo acqua e farina”. Tutto fatto quasi al momento. Nei periodi giusti trovi funghi e tartufi fuori di testa, perché l’alternarsi delle stagioni, in posti come questo, è ancora considerata una grande opportunità. Tutto l’anno non mancano mai le piê – le piade – che si possono acquistare assieme a tante cose buone nella bottega al piano terra e che a tavola ti arrivano bollenti, farcite generosamente con lo squacquerone o con affettati eccelsi (abbiamo assaggiato una coppa di testa indimenticabile e di prosciutti e salami potremmo scrivere meraviglie) e poi i cassoni con le erbe di campo e tante altre golosità. Le carni? Senza girarci troppo attorno: sono supersoniche. Polli ruspanti, piccioni, conigli, faraone, agnelli, anatre, maiali bradi: arrivano dai 100 ettari “di aria pura” di Tenuta Saiano, il progetto agricolo e patrimonio di biodiversità immerso tra le colline della Valmarecchia, che dal 2003 crea continuità con l’osteria e legami di filiera “interna” che raramente trova eguali in Italia.
La Tenuta, ogni aspetto ne analizzi e ogni angolo ne guardi, è un capolavoro. E non soltanto in termini estetici (pur notevoli: infatti è bellissima): qui trovi tutta la compiutezza della visione della famiglia Maggioli, il savoir faire dei tanti professionisti che vi lavorano, la dimostrazione degli equilibri che uomo e natura possono raggiungere quando fanno le cose come vanno fatte: per bene. È il ripassare la storia e il guardare avanti quotidiano, che qui caricano lo scorrere del tempo di una poesia di fronte, la quale tutto l’accadere frettoloso del mondo perde di qualsiasi eccitazione.
Si fanno allevamento e norcineria, dicevamo, ma anche un’agricoltura coscienziosa di viti e olivi per la produzione di vino biologico (sono 11 gli ettari di vigne prevalentemente a sangiovese, e a grechetto gentile per la Rebola) e l’olio buono (le cultivar principali sono l’oliva Nostrana di Brisighella e la Ghiacciola). Ci sono arnie per le api per la produzione di miele di qualità e la chicca nella chicca: è l’olfattorio, curato da uno dei “nasi prìncipi” d’Italia – l’alchimista Baldo Baldinini – che qui custodisce spezie ed essenze con cui realizza vermouth e liquori sartoriali squisiti.
E da qualche anno si è aggiunta Bucolica Wine Garden, idea moderna di esperienza, ristorazione e accoglienza guidata dalla più giovane generazione dei Maggioli (è la creatura di Olivia Lucchi, nipote di Manlio, assieme al fidanzato Alex Fulvi). Anche i dolci e lievitati avevano bisogno della loro importanza e dei loro “spazi”, per questo sono preparati freschi –ogni giorno – da ViaSaffi32illaboratorio e piccola “boutique dei sapori” situata a qualche passo dall’osteria, dove Andrea Marconi (un altro che è qui da più di vent’anni) prepara bignè, torte e ciambelle, focacce e tigelle, con il senso di responsabilità di chi ha da esaltare i sapori della cultura romagnola senza tradirli.
Forse è proprio lì, il cuore della faccenda. Custodire secoli di cultura, di tradizioni, dotarsi di gesti di intatta bellezza: è così che diventi quella storia, le sue velocità e le atmosfere, i suoni e i personaggi. Magari allora viene fuori che un prima non c’è mai stato, perché da sempre sei così. Non c’è spazio per nessuna nostalgia, né disponiamo di una strada per tornare indietro. C’è chi dice non sia mai cambiato nulla, che La Sangiovesa sia – da più di trent’anni – non solo un ristorante, ma un racconto che prende mille direzioni ed esplora mille mondi con la stessa curiosità, energie intatte, competenza.E non è un gioco di prestigio: è come attraversare il deserto, o scalare una montagna. Nessuna strategia, nessuna furbizia: solo organizzazione e metodo.
Manlio Maggioli è stato abbagliato da una speranza. Aveva un sogno e il bisogno di poggiarlo su una storia che tutti riconoscessero. Un sogno provinciale, ma luminosissimo. E un lavoro delicato: l’unico modo conosciuto per consegnare in eredità – a chi verrà – non solo il passato, ma anche il futuro.
Osteria La Sangiovesa
Piazza Beato Simone Balacchi,14
47822 Santarcangelo di Romagna (RN)
www.sangiovesa.it