Una maratona di vissuto e tradizioni, nella cucina di Sarah Cicolini
Testo di Lorenzo Sandano
Foto di Andrea Di Lorenzo
“Nessuno ignora l’interessamento e le polemiche che agitano il mondo intero, per l’annunciata inaugurazione del Santopalato. L’avvenimento assumerà perciò un’importanza eccezionale, la data del quale rimarrà impressa nella storia dell’arte cucinaria. Pur riconoscendo che uomini nutriti male o grossolanamente hanno realizzato cose grandi nel passato, noi affermiamo questa verità: si pensa si sogna e si agisce secondo quel che si beve e si mangia”
Inaugurazione della Taverna Santopalato – Torino, 8 marzo 1931 – Fillippo Tommaso Marinetti
Trattorie moderne, osterie contemporanee, neo-trattorie e via discorrendo. Negli ultimi anni abbiamo osservato circolare questa definizione sino allo sfinimento. Perché a volte sembriamo perversi. Talmente rapiti dall’impellenza di etichettare qualsiasi nuovo stile o movimento per facilitarne codificazione/divulgazione, che tendiamo a stiracchiare e distorcere tratti cultural-gastronomici che ci caratterizzano da sempre. Le trattorie, ad esempio. Questo processo comunicativo fuori controllo rischia di nuocere non solo al modo di far ristorazione. Ma spesso incide e condiziona anche l’identità dei cuochi: compressi e strizzati all’interno di un marchio stilistico che a volte non li rappresenta affatto. Sarah Cicolini è un esempio di chi è riuscito a frantumare questa matassa di etichette mediatiche. Scattando oltre il cumulo di stereotipi che le si sono propinati davanti. Merito forse della sua tempra granitica abruzzese since ’89 – nata a Guardiagrele – ma questa cuoca non si è fatta piegare dalle lusinghe di un successo sin troppo facile ed effimero da conquistare. Maturando, al contrario, una personalità legata al proprio io e a un timbro autonomo di ristoro. Traduzione di una tradizione in movimento.
E pensare che le condizioni per cascare nel tranello c’erano tutte. In particolare agli esordi, nel 2017, quando l’inaugurazione della sua Trattoria SantoPalato – nel perimetro del quartiere San Giovanni di Roma – venne presa d’assalto da una mitragliata di riflettori accecanti intenti a etichettare la qualsiasi senza scrupoli. Un contenitore che, per estetica e format iniziale, è stato erroneamente associato a un filone di insegne nate un po’ in tutta Italia. Fenomeno consequenziale proprio all’abuso di questo trend identificativo. Messaggio incompleto. Perché ogni cuoco, ogni locale, detiene un’identità individuale che è legittimata a non combaciare in toto con un insieme generalista. E la cucina di Sarah – o meglio, la cucina della squadra di SantoPalato – possiede una metrica tutta sua. Coerente, nell’impeto espressivo, a quelle vibranti grafiche futuriste che tratteggiano l’ambiente del ristorante. Ma soprattutto, aderente alle origini e al background professionale della cuoca. Alla sua attitudine agreste, primigenia, rivolta alla ricerca di materia prima etica e sostenibile. Aperta alle contaminazioni di chi non perde l’occasione di viaggiare oltre confine, per confrontarsi con colleghi in ogni parte del mondo.
Riproducendo questo input di crescita e confronto anche con i componenti della sua brigata. Come con il talentuoso Mattia Bazzurri: profilo dal tocco risolutivo ed esperto di lievitati, che Sarah ha conosciuto durante il suo periodo formativo al Ristorante Metamorfosi a Roma e che ora è il suo inossidabile braccio destro ai fornelli. Quel che si origina da questo circuito dinamico di intenti e suggestioni umane, compone l’identità di SantoPalato. Forse accoglienza e spazio – quelli sì – richiamano i canoni di una trattoria retro. Ma ciò che si mangia (e si beve) qui corre veloce verso altre prospettive. Partendo sempre dal prodotto, di qualità radicale. Procacciato da contadini e agricoltori valorosi; lavorato in ogni taglio edibile possibile (seguendo l’ottica di sfruttare gli animai interi, con le frattaglie in pole position) e valorizzando la freschezza della spesa quotidiana. Appurabile dalla logica espressa, dei piatti appuntati in lavagna. Maratona lungo un tracciato di franchezza gustativa, devozione materica e rispetto nelle esecuzioni.
D’altronde una mancata dottoressa con la grinta di una runner quale è la Cicolini, non poteva che riportare questa andatura nelle sue preparazioni. Uno spirito agguerrito e scientifico che non lascia spiragli a falsi sorrisi: basta osservarla con ammirazione mentre smonta, disossa e ricompone monumenti carnivori con un peso specifico ben più ampio del suo. Cimentandosi abilmente anche con l’austerità ingombrante di quei classici che non riesce a rimuovere dal menu: setosa Trippa alla romana (alleggerita nella parte lipidica ma non del gusto); Terrina di coda e lingua (addensata con succhi ridotti delle carni) con la sferzata pungente della giardiniera di verdure. Ancora, la memoria atavica delle commoventi Taccole al pomodoro; o delle Interiora di pollo (mangiate in ogni forma e fattura da bambina) che arricchiscono un soffice materassino di uova montate a mo’ di frittata in padella.
La pasta, che forse farebbe storcere il naso ai futuristi, è qui una concessione allo sfrenato godimento: ci siamo attorcigliati in un bondage di piacere, corrotti dalla trama dei Fusilli lunghi Mancini al ragù bianco di pannicolo e Parmigiano 36 mesi. Tenacia e spessore tuonanti tra carboidrato & salsa, che forse farebbero cambiare idea perfino a Marinetti. Poi, un’Amatriciana dagli umori densi e calorosi, che conquista in una disfida all’ultimo rigatone.
Con le portate principali, si apre una parentesi dalla verve esecutiva riguardevole: in cui sapori copiosi e passaggi classici, si colorano di vivacità rinnovata. Stratificando con cura la trasformazione di ogni ingrediente. Sia nell’iperbolico Vitello tonnato – marinato nel lievito madre e scottato al punto rosa – che riscrive un caposaldo gastronomico tramite una dialettica esemplare. Sia nell’Anatra in più servizi: collo, filetto, petto e interiora da capogiro rilanciati dallo sprint godereccio di una commovente sfoglia al burro homemade, per accompagnare intingoli e salse. Boom.
I dolci proposti dalla crew di Sarah rafforzano la struttura muscolare/ideologica della cucina provata fin ora. Massiccia ed erudita al tempo stesso. In chiusura: arioso Maritozzo al grano arso e pepe vanigliato, farcito con una peccaminosa coltre di crema alla panna montata; Crostatina di ricotta e visciole dalla perfetta meccanica di texture/contrasti. Provate per credere. L’insegna di SantoPalato non rimarrà appesa come un manifesto usurato, da esibire con piglio propagandistico (seppur futurista). Sfreccia scaltra, al passo di chi maneggia le proprie tradizioni con tatto e conoscenza. Libero dall’ansia di appiccicarsi addosso etichette velleitarie. Fedele, proprio nell’atto di non fermarsi mai.
Nota della redazione
Sarah Cicolini è la prima dei 6 vigorosi profili impolpettabili romani che su Cook_inc. 25 sfidano “a polpette” altri 4 cucinieri valorosi insediati a Milano nel romanzo gastro-criminale “Milano spara – Roma risponde”. Tra le polpette scagliate da Sarah troviamo quelle in forma di braciole d’asino che rivendicano le sue origini abruzzesi. “Impasto di carne, prezzemolo, erbette, peperoncino e tanto tanto aglio. Sia nella versione volutamente asciutta da arcaico prototipo di street food (consumato dai contadini dopo il lavoro per tamponare l’alcol, nelle antiche osterie/stazioni di posta); sia nella versione più morbida e casalinga, che le vede twerkare in padella, su un corroborante dancefloor di olio, aromi e aglio in abbondanza. Letali”, così Lorenzo Sandano descrive le “Braciole” d’asino di Sarah Cicolini. Ecco la ricetta:
per 4 persone
Per le braciole
300 g carne trita di asino
prezzemolo tritato q.b.
3 spicchi d’aglio tritati
peperoncino piccante tritato
sale q.b.
pepe q.b.
olio extra vergine d’oliva q.b.
vino bianco q.b.
Salare la carne di asino e maneggiarla a lungo. Unire prezzemolo tritato, aglio, peperoncino e continuare a mischiare. Formare delle polpette della grandezza desiderata (nell’attuale versione domestica le braciole hanno la dimensione di una noce). Prendere una pentola capiente e disporvi le polpette. Mettere abbondante olio e vino bianco fino a coprire. Accendere il fuoco a fiamma moderata e procedere la cottura con coperchio per circa 2 ore.
*Prestare attenzione alla quantità di liquidi in cottura, che non dovranno mai completamente ridursi.
SantoPalato
Piazza Tarquinia, 4a/b
00183 Roma (RM)
Tel: +39 06 7720 7354