Testo di Andrea Petrini
Foto cortesia di Rodolfo Guzmán
Chissà come fa Alejandra, santa donna, a tenerselo stretto. La prima volta che per questa intervista intercettammo telefonicamente suo marito, Rodolfo Guzmán, aka Rudy – per noi il più grande cuoco cileno di tutti i tempi, ve lo ricordate su Cook_inc. 6? – lui, tecnicamente, era ancora a Santiago del Cile. Ma già assente.
Rodolfo Guzmán: “Hey Andy, sono al ristorante, tanto per cambiare nella merda nera. Fra poco attacchiamo il servizio qui a Boragò. Ma appena finisco devo subito rimettermi al lavoro per terminare delle preparazioni che mi porterò appresso a New York. Dove, dopodomani l’altro, faccio un paio di serate a quattro mani con Junghyun Park ad Atomix. Per l’intervista, potremmo sentirci domenica a metà pomeriggio, ora newyorkese, prima che riparta per il Messico dove parteciperò a un festival di cucina nello Yucatan? Verso 5 o le 6, ce la faresti?”
Solo che…
R: “Andy! Scusami tanto, non avevo visto la mail, mi hanno anticipato il volo! Sono al JFK col check-in già fatto e sto imbarcando che fra poco decollo. Ci whatsappiamo semmai domani quando arrivo a Mérida via Messico City?”.
E così sia. Alle 7 di sera da noi, fine mattinata da lui, era già bello sveglio, solo soletto in clausura nella villa affacciata sul mare nello Yucatan, nell’attesa che arrivino tutti gli altri benemeriti cuochi dell’Armata Brancaleone lì convocata. Rudy, ma quanti sarete?
R: “Un bel casino. Tutti i nomi non me li ricordo, non ho capito bene, ma di sicuro saremo più di una ventina. Tutti ospiti di Roberto Solis, quello del ristorante Nectar a Mérida, una tua vecchia conoscenza. C’è Mauro (Colagreco), c’è Virgilio (Martinez), ovviamente Dominique (Crenn) e Ana (Roš) insieme a tanti altri. Più l’usuale valangata di chef messicani. Mi sa che viene pure Jorge (Vallejo). Aspettavamo persino René (Redzepi) ma ha mandato a dire che ha avuto un incidente, che si è fatto male alla clavicola, uno strappo muscolare, una cosa del genere. Quindi è sicuro, lui resta a casa, non ci raggiunge”.
Povero René, non ha più venti anni neanche lui! A dicembre va per i 45. Con tutto lo sport che fa e la fissa dell’essere in forma, un incidente un giorno o l’altro doveva finire per beccarselo. Ma, per prendere in prestito una metafora sportiva, tu, Rudy, approfitti della kermesse messicana per allenarti alla maratona che ti aspetta fra un po’ qui in Europa. Vieni in Spagna a novembre per presentare a Madrid la cucina di Boragò. Un residence di tre settimane a Madrid all’NH Collection Eurobuilding (con la tua autorizzazione, mi permetti di utilizzare il termine residence invece che pop-up? A me questa parola oramai fa vomitare…) non è mica cosa da niente. Oh Rudy, ma non ti bastavano tutte le beghe del gestire uno dei miei ristoranti preferiti al mondo? Ma questo residence te l’ha ordinato il dottore? Detto tra di noi, ma chi te l’ha fatto fare?
R: “La cosa era nell’aria da più di sei anni, ma non eravamo mai riusciti a concretizzarla. L’organizzatore (che prima di noi stese il tappeto madrileno a Grant Achatz di Alinea e poi fece successivamente convolare lì Mauro Colagreco e anche Ana Roš) non perse fede. Ma anno dopo anno, c’era sempre qualcosa che intoppava. O era colpa nostra, fin troppo presi dal primo libro di Boragò o c’erano dei lavori importanti nel ristorante. Poi arrivò il Covid e tutto si bloccò. Lo so che magari pensi che alla fine è solo un’operazione commerciale, che lo facciamo per portarci a casa un bel assegno. Ma ti assicuro è esattamente il contrario. Per capitalizzare, sarei venuto da solo o appena con qualche aiuto. Invece mi porto appresso più di 15 cuochi e almeno sette o otto persone per la sala che accoglierà seralmente due servizi, il primo alle 18.30 e l’altro poco prima delle 21; una settantina di persone a botta. Corressimo solo appresso ai soldi avremmo alzato il prezzo del menu che, a 230€, alla portata di tutti non è, ma non rispetta neanche gli elevati costi di produzione”.
E a quelli che diranno “ecco Rudy in campagna promozionale, sempre in giro per alimentare i 50 Best, i Best of the Chefs e tutte le menate similari che (loro) non si fermano mai, the show must go on e bisogna sempre spingere per salire sulle liste e le guide rampanti” tu a questi cosa rispondi?
R: “Che è un’operazione prettamente culturale. Nasce da un sentimento di disagio. Rispetto alla Spagna, Boragò e Santiago si trovano esattamente all’altro capo del mondo. Non si dice del Cile che inizia proprio là dove finisce il mondo? Far scoprire la nostra cucina, i prodotti e le tecniche in Europa: vogliamo divulgare il nostro lavoro, rendere il dovuto omaggio all’heritage della cultura degli indiani Mapuche per anni volutamente rimossa dalla coscienza nazionale. Tanta cucina cilena, in particolare la mia, non esisterebbe senza l’influenza della tradizione Mapuche. È la base del nostro lavoro. Credimi, sarebbe stato tanto più facile per noi partire in tournée con una proposta calibrata, rodata a fondo e presentare a Madrid l’usuale menu di Boragò, come se fosse un bigliettino da visita. Invece stiamo lavorando da mesi, e per dirtela tutta siamo solo adesso a metà del guado, a un menu concepito su misura. Non un best of della nostra identità, ma una scommessa: partire dai sapori della primavera cilena (che a Santiago si comincia a far sentire, stiamo uscendo dall’inverno) per tradurli a Madrid in vivo con i migliori prodotti autunnali spagnoli. Io la leggo come un’operazione di traduzione culturale. Che ci obbliga a essere sul ‘chi vive’, ad accettare la nozione di scarto, di differenza. A colmare gli spazi vuoti, a traslare i sapori. Ovviamente, ci porteremo roba nostra, cose e specie rare sconosciute nel sud dell’Europa. Come le alghe Kollhoff, delle quali utilizziamo tutto: il corpo centrale, la membrana esterna e ovviamente pure le radici con le quali otteniamo un brodo dal sapore particolare, che si direbbe fermentato quando invece non lo è affatto. All’inizio della nostra cilena primavera, il deserto d’Atacama è un eden in fiore: porteremo a Madrid piante del deserto, offrendo il contrasto vibrante tra questo fugace momentum primaverile con i prodotti del tardivo autunno spagnolo. Ti lascio immaginare la complessità della cosa, la fragilità della flora, la logistica dei voli. E la famiglia, Alejandra con i nostri bambini, che se ce la facciamo vengono con noi”.
Insomma, un’odissea culinaria, un viaggio di sapori che durerà immagino a tavola le solite interminabili quattro ore, no?
R: “Manco per niente! I piatti sono tanti, 18, ovvero uno in più rispetto a quelli che serviamo normalmente a Boragò. Li stiamo ancora finalizzando, trovando i titoli giusti, immaginifici quanto basta: Rock Sequence, Clovers and Carabinero Cremoso, Picoroco Pulmay. Ma stai tranquillo: il servizio sarà ritmatissimo, super-rapido: BOOM! BOOM! BOOM! Senza attese né tempi morti. Una botta iper-concentrata di Boragò fra capo e collo, come se ci fossimo davvero, a casa nostra a Santiago voglio dire, con una coreografia su misura di due ore cronometro in mano!”.
E in tutto ciò trovi pure il tempo per rispondere presente all’appello – come se non ne facessi già abbastanza – e venire a Ljubljana il 7 novembre, esattamente a una settimana dalla prima madrilena, per rivolgerti alla platea dell’European Food Summit.
R: “Beh, me l’hai chiesto tu. Non potevo fare altrimenti. Ti ricordo che il tema da sviluppare, lo scope of work che è tutt’ora in progress (lo confesso, ci sto ancora lavorando) fu un’idea tua. Persino il titolo del mio talk, Beast of Burden (tradotto: bestia da soma, ndr), preso a una vecchia ballata dei Rolling Stones, molto bella, che tra l’altro non conoscevo, me l’hai suggerito tu. Quindi, stai tranquillo, te lo giuro sto facendo i ‘compiti a casa’, non vengo come al solito a parlare – solo – di cucina, quella di Boragò, ma in particolare della mia condizione di cuoco, qui e adesso. Ma non si tratta solo di me. Beast of Burden: non siamo in effetti tutti noi cuochi delle bestie da soma? Sempre presi dai tanti obblighi, con le spalle curve, schiacciati dal peso delle responsabilità, dall’obbligo inerente di far parte del sistema, e sai bene a cosa mi riferisco, un piede dentro e l’altro fuori per conservare un sembiante di libertà. E poi la zavorra, il fardello morale di essere non solo il proprio portavoce, ma di dover parlare anche a nome di tutti gli altri, di rappresentare il proprio paese, di affrontare il tema del mondo come va e come potrebbe andare – meglio – ritrovandoci a essere una pedina d’un ingranaggio meccanico, d’un processo il cui senso talvolta ci sfugge. Insomma, c’è tanta carne sul fuoco, il privato, il pubblico, devo organizzare bene le idee, trovare la struttura giusta. Ci sto ancora lavorando su. Però sarò pronto per Ljubljana”.
Beh! Datti una mossa che l’European Food Summit è tra due settimane. Insieme a noi ci sarà anche Alberto Landgraf con Against Storytelling, uno speech infiammato su questo morbo delle ciance pretestuali,del marketing che ha contaminato cuochi e cucine di tute le parti del mondo. Invece di pensare a cucinare, stanno lì a raccontarti storie, a spiegarti il perché e il percome d’un piatto, a dirti quindi come interpretarlo. Sai com’è Landgraf, un intellettuale. Questo Against Storytelling se l’è preso tanto a cuore: sarà anche un omaggio alla grande critica e romanziera Susan Sontag, autrice nel 1966 della famosa raccolta saggistica Against Interpretation. È da più di un anno che Alberto, per prepararsi bene, si sta rileggendo tutta l’opera omnia dell’americana. Gli ho mandato giusto qualche ora fa il link d’un articolo sulla biografia della Sontag, scritta da Benjamin Moser appena uscita in Francia. Se vuoi te lo giro volentieri, che magari fa profitto anche a te…
(Silenzio di tomba dall’altro capo della cornetta……. ………. ……)
Rudy?
(……………. ………….. ………..)
Hello! Rudy?
(……. ……… ……)