Testo di Raffaella Prandi
Foto di Alberto Blasetti
Sì, proprio così. Così i vecchi dovrebbero trascorrere la vecchiaia, circondati dagli affetti più cari, in un ambiente che raccolga i ricordi di una vita. Questo vien da pensare osservando Emidio Pepe, l’affascinante vigneron che ha svoltato la boa dei novanta, mentre assaggia compiaciuto l’uva della vendemmia, ne assapora con cura ogni acino. Vien da pensare che sta raccogliendo ciò che ha seminato. E non solo, in questo caso, Trebbiano o Montepulciano (ma anche farro, ceci, ortaggi, olio e grano). La semina più promettente è stata la formidabile armonia familiare che oggi tiene insieme intorno all’azienda Emidio Pepe di Torano Nuovo – in provincia di Teramo – ben tre generazioni e che proprio lui con la moglie Rosa ha contribuito a plasmare. Un caso di scuola per quanto riguarda i passaggi generazionali.
Tre generazioni, praticamente tutte al femminile, tutte impegnate a portare avanti il progetto di buona e sana agricoltura cui il nonno ha dedicato la sua intera esistenza (ben raccontato su Cook_inc. 33 da Lorenzo Sandano). Il capofamiglia non ha perso un grammo del suo fascino, occhi cristallini alla Paul Newman, berretto all’inglese calato in testa, giacca in tweed e vien da sorridere ai racconti della moglie Rosa, altro immenso carico di simpatia ed energia, con il suo senso di impareggiabile ospitalità come nel DNA degli abruzzesi. “Mio marito ha sempre tenuto tanto alla sua eleganza.
Ogni anno per il Vinitaly ci teneva a mostrarsi con un abito nuovo. Eh mica posso andare con lo stesso, mi diceva”. Rosa sino a qualche anno fa era domina della cucina ma è ancora superattiva e non resiste a cucinare seppure oggi solo per la famiglia (bella larga eh!) e le maestranze. Snocciola ricordi di quando suo marito partì da solo per New York senza sapere una parola di inglese e con sei bottiglie ad accompagnarlo, o dei loro viaggi in macchina in Germania, anche li per promuovere il vino, con le tre figlie e con le scorte di salumi formaggi e pane perché di soldi per andare al ristorante non ce n’erano.
Un’epopea che ha segnato la prole che ha poi sempre affiancato il padre nel lavoro, in vigna e in cantina, con Sofia che ha dovuto sudare a lungo prima di averne il controllo e che ora con lungimiranza e generosità sta via via delegando alla nipote Chiara, figlia di Daniela (impegnata a sua volta a tenere le redini finanziarie dell’azienda), le scelte agronomiche e di vinificazione nonché lo sguardo sui mercati esteri. Ma Sofia non si è certo ritirata, anzi, sta suggerendo che, per via dei cambiamenti climatici, si dovrebbe investire su appezzamenti di vigne a una maggiore altitudine per preservare quelle acidità che le alte temperature stanno intaccando.
Chiara, che riassume in sé tutta la tempra dei Pepe, ha comunque briglia sciolta sulle scelte agronomiche improntate alla biodinamica, (perché il vino, come da insegnamenti del nonno, deve essere “qualcosa di genuino che fa bene a chi lo beve”) e di vinificazione. Ha stretti contatti con molti vignerons francesi biodinamici da cui viene gran parte della sua formazione. Durante un Erasmus a Parigi – grazie ai suggerimenti del critico Jean-Emmanuel Simond – conosce due mostri sacri dell’enologia, Jacky Rigaux e Aubert de Villaine che le consigliano un corso in Borgogna che l’avrebbe impegnata solo un giorno alla settimana, il tempo rimanente poteva investirlo in vigna.
Racconta che una delle prime lezioni apprese dal mitico viticoltore Nicolas Joly è stata quella del riuso degli scarti, così, oggi, la zona di compostaggio è un cumulo di letame di qualità di 50 mucche marchigiane, mischiato a raspi bucce potature con il risultato di una materia soffice – che smette di puzzare – con un’altissima capacità fertilizzante. “La potatura – racconta ancora – è un lavoro di intelligenza, devi avere una sorta di intimità col tuo filare”. E infatti ogni filare si distingue per un colore diverso che indica chi della squadra se ne è preso cura per poi confrontare di anno in anno i risultati.
Il percorso è quello di una lavorazione dolce o di una quasi non lavorazione. “Il nonno adorava il trattore (obbligò Sofia a guidarlo da giovanissima) mentre io non lo amo, lavorare il suolo è come ossidarlo, lasceresti mai una botte aperta?”. Passaggi generazionali, appunto. Chimica, ça va sans dire, esclusa, Chiara porta avanti le sue sperimentazioni. Per esempio, il trattamento di una selezione massale di trebbiano senza zolfo e rame ma con il 10% di latte crudo non pastorizzato su base acqua e nebulizzato in dosi omeopatiche.
Elisa, invece, sorella di Chiara, ha scelto di occuparsi dell’agriturismo dopo aver iniziato un percorso di studi in economia, racconta “quando c’è stata l’esigenza di trovare una figura che lo gestisse post-pandemia nessuno me lo ha chiesto esplicitamente, ma l’ho sentito come un gesto naturale, perché è un pezzo di me”. Cura l’accoglienza e la sala dell’agriturismo con spontanea eleganza.
Con la cucina si apre un nuovo mondo: prima regno di nonna Rosa e oggi del giovane chef palermitano Pietro… La Rosa (guarda te le coincidenze di nomi così di buon augurio). Studi al Basque Culinary Center di San Sebastián, stage nei Paesi Baschi, poi a Parigi, quindi al Relæ di Christian Puglisi a Copenaghen e al Reis di Juri Chiotti in Val Varaita per poi arrivare – per un colpo di gran fortuna – a Casa Pepe. Ad affiancarlo, c’è il vecchio compagno Giuseppe Polzinetti (detto Peppe), conosciuto al Manfreds sempre a Copenaghen. Coppia formidabile da un paio di anni.
L’approdo in questa cucina ha significato confrontarsi con tradizioni impegnative che lui ha intelligentemente e delicatamente preso in mano. Prodotti dell’orto lì davanti o dei pastori intorno, carni di allevamenti biodinamici (le vacche marchigiane di Giuseppe Di Buò (da cui Chiara acquista il letame per le modalità ultra-etiche con cui alleva le sue mucche), pesce dell’Adriatico a un tiro di schioppo. Il tutto ammaestrato con le tecniche che vengono dalle cucine più evolute del pianeta.
Ma non pensiate a nulla di incomprensibile: le zucchine sul finire di stagione diventano una Crema accompagnata da una focaccia con i pomodori, gli ultimi Fichi sono appena passati sulla brace e serviti con cagliata, capperi ed erba salata; le Mazzancolle con la loro bisque e le melanzane, i Tagliolini cotti in acqua di prosciutto sono avvolti in una crema soffice di zafferano e pomodoro; le Seppie sono insieme a peperoni e salsa verde; la Lombata di manzo è accompagnata dalla fresca insalata di porcini crudi e bietole. Il Latteruolo romagnolo che profuma di latte buono e vaniglia chiude perfettamente il cerchio di un pasto in cui tutto è leggibile, pulito, chiaro definito e semplicemente rinchiuso nel mistero della bontà.
Emidio Pepe
Contrada Chiesi, 10
64010 Torano nuovo (TE)
Tel: +39 0861 856493
www.emidiopepe.com