Testo di Lorenzo Sandano
Foto di Sofie Delauw e Lorenzo Sandano
L’ultimo Menu dell’Osteria Francescana. Tra Arte, Sogno & Realtà.
Manuale del Sognatore – Vieni in Italia con me
Prova a farlo tu. Provaci e basta. Prova a superare un limite che tu stesso hai tracciato. Un limite che si aggiorna, evolve e si sposta, sempre qualche centimetro più in là. Non aver paura dell’errore, perché la possibilità di fallimento è parte stessa dell’esperienza. Come per un artista, partorire un nuovo album dopo un disco da record. Un’opera, un libro, un nuovo film, dopo che critica e pubblico unanime hanno sancito il tuo successo. Provaci tu, perché non è facile. Ogni volta che penso a Massimo Bottura, mi torna in mente una dedica impressa a inchiostro vivo su un suo menu degustazione. Qualche anno fa, prima delle tre stelle Michelin dell’Osteria Francescana: “Non smettere mai di sognare”. Sembrerà retorico o banale, ma per un ragazzino entusiasta e ingenuo, quelle parole incarnavano un significato non indifferente. Bottura, già al tempo, era lanciatissimo in avanti. Cuore aitante, mente lucida e creatività dinamica. Veloce, troppo veloce. Quasi da metrica futurista. È un lavoro arduo quello del sognatore, statene certi. Perché solo chi è capace di sognare in concretezza, ricerca nel reale, nel pratico, la forma o il mezzo per realizzare il proprio sogno. Bottura l’ha fatto, i ragazzi della Francescana l’hanno fatto. Uno scatto da centometristi alla Usain Bolt, su una pista a raggio ampio, da maratona di New York. Una corsa ancora non conclusa, ma con numerosi traguardi portati a casa a mo’ di staffetta vincente.
Tre stelle Michelin; la vetta da numeri uno dei The World’s 50 Best; la Laurea ad Honorem a Bologna; le iniziative benefiche e solidali dal possente respiro internazionale dei Refettori (esperienze confluite poi nel libro Bread is Gold). Ancora, il progetto sociale del Tortellante a Modena, o la recente avventura dell’Osteria contemporanea nel Gucci Garden di Firenze, quest’anno. Forse è solo l’inizio del sogno.
Identità inviolabile e pensiero in movimento. Girovagando il mondo e raccontando l’Italia con l’animo sempre ancorato alla sua amata Modena. Un percorso vissuto insieme a una squadra affiatata, in sala e cucina. Dall’inarrestabile maître e sommelier Giuseppe ‘Beppe’ Palmieri, al ‘doppio braccio destro’ in cucina composto da Davide di Fabio e Kondo Takahiko. Una grande famiglia, dentro e fuori le mura del ristorante. Con ulteriori compagni di viaggio d’eccezione, come arte, musica e cultura. Condivisi con la brillante moglie Lara Gilmore: musa, componente attivo del team e sostenitrice ferrea, in ogni passaggio di crescita. Suggestioni cruciali, perché se come affermava Feuerbach “l’uomo è ciò che mangia”, nel caso del cuoco, l’uomo è anche ciò che vive e cucina.
Rinascimento in cucina
Molti capitoli sono stati scritti, molti se ne scriveranno, ma c’è ancora parecchia carta bianca da intaccare col nero. E quando il margine del foglio non basta bisogna voltare pagina. Ecco quindi un nuovo menu, un nuovo manifesto che rimette in gioco tutto e mette in gioco se stesso. Perché i limiti sono fatti per essere superati. Penso al toccante film Nico 1988 di Susanna Nicchiarelli, in cui una grande artista come Christa Päffgen, cerca la forza di riaffermare la propria personalità da musicista, dopo l’opprimente successo dei leggendari Velvet Underground. Molti sul momento non capiscono, non colgono la metamorfosi artistica, mentre lei stessa è confusa e tormentata da un’emotività espressiva complessa da contenere. Salita sul palco però, di fronte al pubblico sfuggente, intona e lascia in eredità brani immortali come These Days o My Heart is Empty. Uno stile mistico e intenso, che negli anni a seguire darà ispirazione a molti interpreti ‘new wave’. Bottura, in tal senso, il suo messaggio l’aveva già lanciato durante l’edizione scorsa di Identità Golose, riassumendo l’ultima evoluzione stilistica sotto il nome di ‘Rinascimento italiano in cucina’. Aprirsi con curiosità e fiducia al mondo, senza emulare tendenze culinarie indotte. Riscoprire con nuove prospettive le nostre tradizioni: tratto distintivo della cultura gastronomica italiana. Recuperare e rivalutare la classicità come modello della naturalità in cucina. Non limitandosi a uno studio tecnico fine a se stesso, bensì trarne esempio per volgerlo in avanti, con sperimentazione pratica e con ausilio dei nuovi mezzi acquisiti negli anni. Bombardati a lungo da scuole e stili internazionali, il ‘Rinascimento’ ora sta nel saper cogliere le giuste influenze e le impressioni dal mondo, con uno sguardo che parte dall’Italia. In devozione territoriale dall’Emilia, nel caso specifico di Bottura. Non paliamo dell’opulenza virtuosa e decorativa del ‘barocco’, come potrebbe intuire qualcuno. Al contrario, qui è il classico che attraversa il presente proiettato al futuro: alleggerire salse e fondi di haute cuisine; ritemprare spazi, proporzioni e volumi di esercizi tradizionali. Tra un Da Vinci e un Leon Battista Alberti della nuova cucina.
Non stiamo esagerando. Perché alla Francescana, arte e cucina – e trasversalmente anche musica e cucina – si rincorrono e si urtano volutamente, con esemplare disinvoltura. Marchio identitario inconfondibile di Bottura. Della sua personalità esplosiva, che trova poi nel racconto, nella narrazione, il fattore complementare che impreziosisce ogni esperienza a tavola. E il gusto? Il gusto c’è, tanto anche. Perché, in particolare in questo menu, la sostanza classica domina il palco in un sussurrante crescendo di note dal timbro tanto vivo quanto concettuale. Dal canto suo, la sala non rimane a guardare, ma spalleggia con altrettanta enfasi e complicità la cavalcata di assaggi. Oltre i ‘limiti’ canonici, Giuseppe Palmieri sfodera eno-abbinamenti che sfidano ogni regola facendo centro: settando tecnica, istinto, sensibilità e palato mentale. Mentre il servizio da metronomo di Denis Bretta e i fratelli Garelli scandisce briosamente il pasto, su cenno di Beppe si passa in scioltezza da uno Champagne a un sakè allo yuzu. Per poi apprezzare un gran Trebbiano ‘Tiberio’; e ancora Sauternes; Riesling; il Boca ‘Le Piane’; un bel Picolit da chiusura; e sorprendenti incursioni miscelate sartoriali.
Una sessione jazz, dal fraseggio frastagliato tra sala e cucina, con armonie ricercate che si interrogano sul concetto di libertà espressiva. Bottura d’altronde è così: interprete di un virtuosismo ritmico fatto di accenti spostati, con l’uso magico delle pause, e la padronanza invidiabile della scala cromatica del gusto. L’assaggiatore è continuamente sorpreso dall’evolversi dei sapori che non cadono mai in staticità e prevedibilità.
Tutto, il Menu
Mentre lo chef piomba in tavola, introduce la batteria di snack iniziali con carisma magnetico. Come un maturo Picasso che – capace di tornare indietro nel tempo e guardarsi dall’esterno – codifica l’evoluzione delle sue fasi artistiche: dal realismo al periodo blu, poi il rosa, fino al cubismo. Perché si sa, non esiste degna innovazione senza un background tradizionale folto e consapevole. Così in coerenza ideologica, il viaggio inizia con sussultanti trompe-l’oeil rinascimentali in versione finger food: la pungente e acetica ‘Finta sardina’ (anguilla); il boccone etereo di ‘Aulla in carpione’; l’omaggio Modenese del ‘Borlengo’ di Parmigiano e del Macaron salato di coniglio alla cacciatora. E infine il primo decollo oltre i confini italiani, con la Pannocchia di mais (realizzata con una meringa) farcita di setoso ceviche di branzino in stile peruviano.
C’è tutto il mondo dentro il menu: Sud America, USA, Asia, Giappone, Francia, Spagna, Nord Europa. E si mangia viaggiando fino agli angoli più remoti del globo, ma con il focus spostato, partendo e tornando sempre in Italia. Anche e soprattutto nell’evoluzione dei piatti. Così l’ormai celebre ‘Caesar Salad’ si tramuta nella caleidoscopica ‘Insalata di mare’: sotto ogni foglia di lattuga si nasconde un potpourri di contrappunti, ingredienti e condimenti, inanellati tra terra e mare. Poggiati con perizia su ‘tela’, come le audaci pennellate di colore nell’impressionismo di Renoir. Cambiamento è aggiornamento costante per Bottura, anche interpellando i suoi grandi classici: l’Omaggio a Monk muta forma, sommandosi alle opere dell’artista americano Glenn Ligon. Ribaltati cromatismi e ritmica del gusto, il passaggio si traduce nel nuovissimo ‘Burnt’. Proprio come Monk, lo chef si diletta con una diteggiatura ineducata, presentando in veste ‘all black’ un brodo di mare che evoca le grigliate di pesce sulla riviera romagnola. Intenso, acido e amaricante, con il tocco esotico e piccante importato dello jalapeño messicano. Non si limita a improvvisare accordi sul tema base, ma (in tributo al jazzista) reinventa la struttura armonica con istinto primitivo, sapendo giocare con le note e prendendosi gioco di esse con risultato mirabolante. Il dito rimane poggiato sul tasto del piano, prolungando tonalità profonde, iodate e salmastre, con il quid atavico del ‘bruciato’ nel piatto successivo. C’è ancora arte alla vista (e non solo), nella sogliola che riassume tre ricette tradizionali, di varie epoche e culture: cartoccio, mediterranea e mugnaia. La ‘combustione plastica’ tanto cara al genio di Alberto Burri, si riproduce in ‘fogli’ di acqua di mare disidratata dal gusto fumè, a contrasto con salse citriche, dolci e suadenti che esaltano la masticabilità inedita e succulenta del pesce.
Un piccolo intermezzo defaticante, in evasione territoriale: ‘Autumn in New York’ (cantava Billie Holiday). La mela – The Big Apple – che viaggia dalla locale varietà Campanina, abbracciando e narrando le declinazioni del frutto nelle diverse usanze internazionali: rapa rossa, mele, patate, panna acida e brodo dashi. Da una torta di mele ebraica statunitense, alle mele grigliate ispaniche, approdando alla mostarda di mele emiliana. Si riparte poi in impennata, a riscrivere preparazioni classiche con mentalità vergine. Tra volatili, frattaglie e caccia. Sensazionali i dumplings ripieni di selvaggina in civet con ragù di lumache ed estratto di erbe. Avvolgenti e sofisticati, fluttuanti nel verde come le ninfee in un dipinto di Monet.
Palmieri scaglia il drink all’Anisetta con chicchi e crema di caffè ‘on the rocks’, a rilanciare e livellare le sfumature ematiche, mentre il nostro viaggio verte a Oriente. Ma con sguardo nostrano. Parliamo di Cina, Italia o Francia? Poco importa, perché la propulsione umami e agrumata del ‘Risotto anatra all’arancia / Peking duck’ conquista il palato con nerbo e levità, a ogni nuovo boccone.
Verso l’epilogo, la scala di colori si fa più calda e autunnale, di pari passo con la gamma di sapori: più ricchi, ambrati e complessi, senza sottrarre comunque mai un grammo di leggerezza. Il ‘Piccione Camouflage’ sintetizza nuovamente l’intreccio di viaggi e vissuto personale, sfruttando la citazione estetica dell’assemblaggio colorato di Alighiero Boetti. Coscetta battuta al coltello, ricomposta e fritta; petto del piccione confit con il suo jus – perché il classico rimane protagonista – infine gocce di salse colorate tirate all’acqua: rapa rossa, agrumi, clorofilla, verdure e rafano, estratto di rosa (in prestito dalla Turchia) e di fiori di ciliegio, dai seducenti richiami nipponici.
C’è ancora spazio per due ‘dessert’ che di dolce hanno solo il nome. Prima una strepitosa ‘Tarte tatin’ con impasto di patè d’anatra, pasta sfoglia, mostarda, crema di zucca mantovana e amaretti. Sormontata da pickles di zucca, fondo di volatili e brodo di tartufo. Simbolismo alla Odilon Redon, perché Bottura filtra la realtà attraverso la memoria e l’immaginazione, dando alla sua composizione una valenza evocativa che va al di là dell’aspetto esteriore. Poi una ‘Sacher Torte’, però ai fegatini di cacciagione, castagna affumicata, glassa di cioccolato, fondo di caccia. Voluttuosa, iperbolica passerella tra dolce e salato, dove la forma scura poggiata sulle geometrie blu elettrizzanti del piatto griffato Richard Ginori, richiama alla vista quasi un quadro di Mondrian.
Per il dolce vero e proprio, sfoderiamo la ‘D’ maiuscola, riabilitando la valenza del soufflé con un espediente goliardico che cita un famosissimo dessert italiano. ‘Tirami-Su’: soufflé al tiramisù, salsa al caffè, gelato alla crema. Goduria classica. Pardon, rinascimentale. Il tavolo si riempie di Petit Four, che riproducono in miniatura alcuni piatti ‘signature’ dello Chef: dal croccantino di foie gras, alla pralina di ‘una lepre nel bosco’. Quasi a sottolineare come la partenza è spesso anche un arrivo, e viceversa.
È la visita in cucina però, dopo cena, che dona un senso più completo a tutto: tantissimi ragazzi, di nazionalità diverse. Riuniti insieme, vibranti di energia, entusiasmo e vitalità post servizio. Bottura conserva lo sguardo pieno, lanciandogli un “grazie” senza aprir bocca. Ritrovo un po’ me nell’aria che si respira in brigata, di quell’emotività ingenua e ‘affamata’ di una delle prime esperienze in Francescana. Le parole in effetti, non vengono quasi mai scritte a caso. Questa è la forza. Il segreto, la chiave per una squadra vincente: mai smettere di sognare.