Testo di Gualtiero Spotti
Foto cortesia di Davide Guidara
Tra i nomi emergenti della nuova cucina italiana, quello di Davide Guidara è tra i più luminosi e meritevoli di attenzione. Impostosi agli addetti ai lavori prima all’Eolian di Milazzo, in Sicilia, e, più recentemente rimanendo sull’isola, al Romano Palace di Catania nel ristorante Sum, il cuoco di origine campana, appena ventiseienne, ha messo in campo un background di assoluto rilievo capace di mescolare una certa classicità moderna applicata a uno stile di cucina profondamente italiano; il tutto riuscendo a bruciare letteralmente le tappe in pochissime stagioni di attività. Prima Guidara ha piegato la testa sui fornelli di Di Costanzo, di Bras e di Redzepi, e poi ha avuto la capacità di assemblare idee e intuizioni in un percorso d’autore che lo ha visto protagonista sin dalle prime uscite siciliane. Lo abbiamo incontrato per qualche scambio di battute via Skype, nei giorni che trascorre a casa dei genitori, in quel di San Salvatore Telesino, nel beneventano.
Come passi le tue giornate lontano da Catania?
Sai, mi reputo una persona razionale e, se vogliamo, anche un po’ cinica. Questo momento storico di grande difficoltà per tutti mi serve essenzialmente per riflettere e per cercare di migliorare nella mia professione. Quindi sto studiando e i libri che leggo sono perlopiù quelli di cucina. Certo, mi piace mantenere anche un po’ di forma fisica, così durante la mattina faccio un po’ di esercizi, flessioni e addominali, e poi ogni tanto guardo qualche film visto che sono un appassionato cinefilo. I thriller psicologici sono tra i miei preferiti e mi viene da consigliare titoli come Kill Me Please, e Forgotten, ma anche Il Divo, La Grande Bellezza o classici senza tempo come Dracula. La cucina rimane però il faro che illumina le mie giornate. Pensa che per i miei 18 anni mi sono regalato tutta la serie di Apicius e, più recentemente sono passato a Cook_inc., del quale, a dire il vero, mi manca ancora qualche numero. In questi giorni invece, avendo molto tempo a disposizione, mi sto impegnando nella lettura di The Modernist Cuisine, che è in cinque volumi ed è tutto scritto in inglese.
E a casa adesso chi cucina?
Qui ci pensa mia madre, che è bravissima, anche perché a casa io odio cucinare, ma in questo caso è interessante osservare come le tradizioni e il percorso alimentare che segna ognuno di noi in tenera età abbia riflessi fondamentali nell’acquisizione del gusto e in un’idea di cucina che poi oggi amo riproporre anche al Sum. Qui nel beneventano io sono cresciuto tra verdure e formaggi, e proprio in questo momento sto per sedermi a tavola di fronte a un piatto di scarola stufata con fagioli, ma la cosa interessante è che molto di quello che ho portato nei miei ristoranti, una cucina che gioca molto sulle acidità, è retaggio culturale della mia terra. Basta pensare alle conserve, alle cime di rapa, ai cardoncelli sott’olio che dalle mie parti sono l’ABC, la quotidianità. Molti pensano che il passaggio fondamentale nel mio percorso di crescita professionale sia stato il Noma di Redzepi, ma in realtà avevo già tutto presente nel mio palato prima della Nordic Cuisine. Immagina solo che, qui a casa, il pranzo della domenica non iniziava nemmeno se prima non c’erano in tavola sott’oli e formaggi, che esplodevano in bocca con acidità fortissime.
Come vedi il prossimo futuro, immaginando di superare i mesi del Covid-19?
Sai, noi abbiamo aperto da meno di un anno, l’inaugurazione del Sum è avvenuta nell’estate del 2019. I primi mesi di lavoro sono stati un po’ tristi, a dire il vero, perché dovevamo farci conoscere e le presenze al ristorante erano un po’ scarse. Poi abbiamo iniziato a ingranare, grazie anche ai diversi attestati di stima che ci sono arrivati dagli addetti ai lavori. Il feedback territoriale è stato molto buono ed era in fase di crescita costante, ma certo con quello che sta succedendo ora bisogna vedere cosa accadrà al rientro. La stagione è in parte compromessa e diamo per scontato che più passa il tempo più sarà difficile, per molti colleghi, riprendere l’attività. Forse sarà un anno in cui, gioco-forza, bisognerà puntare sulla clientela italiana, visto che il turismo, in particolar modo quello straniero, che in Sicilia è molto importante, verrà a mancare. Anche perché gli altri Stati potrebbero non aver ancor smaltito l’ondata di contagi. Al momento è davvero difficile fare delle previsioni. Basti pensare che tra i miei colleghi c’è chi dice che a soffrire saranno i ristoranti gourmet mentre supereranno la crisi le trattorie a conduzione familiare, ma in mezzo a tante voci capita anche di sentire opinioni che sostengono l’esatto opposto. Insomma, al momento possiamo solo aspettare.