Testo di Francesca Ciancio
Foto cortesia di Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano
Nuove ricerche evidenziano come l’aggettivo sostantivato non sia da collegare a un’idea di prestigio, ma piuttosto a un concetto di qualità. Tema sviluppato anche dalle Pievi, le 12 sottozone individuate sul territorio che andranno in etichetta a partire dal 2025.
Chiamarsi Nobile può essere impegnativo per un vino. Richiama concetti come lignaggio, nobiltà, casati, magari battaglie, contese. Qualcosa che ha poco a che fare con i tempi moderni. Eppure, il vino del borgo toscano di Montepulciano ha un pedigree di tutto rispetto, pari a quello di pochi altri vini al mondo. E in questa lunghissima vita risiede molto del suo fascino. Una storia, inoltre, che antecede – e di molto – l’appellativo di Nobile e che si basa su un legame, stretto, strettissimo, con il territorio di origine, un’identificazione quasi simbiotica tra vino e comune di appartenenza, la turrita Montepulciano, rimasta praticamente identica dal 1580 a oggi.
Certo, l’esistenza del vino Montepulciano d’Abruzzo ha portato a confusioni e litigi negli anni, ma – e qui viene di nuovo in soccorso la storia – furono i Medici, con la loro tenuta nella baronia di Carapelle, a portare in Abruzzo le prime tecniche viticole ed enologiche e, quindi probabilmente, un modo di fare vino “alla Montepulciano”. Non a caso sono gli anni in cui Francesco Redi, medico al servizio dei Medici, naturalista e poeta – autore di una sorta di bestseller dell’epoca, l’opera Bacco in Toscana (1685) – scrisse che “Il Montepulciano d’ogni vino è Re”, mentre un secolo prima toccò a Sante Lacerio, bottigliere di Papa Paolo III Farnese, giudicarlo come vino “perfectissimo”. Le testimonianze più antiche sulla presenza di uva e di vino su queste colline, sono, tuttavia, più remote. Risalirebbero alla presenza degli Etruschi e al ritrovamento, nelle loro tombe, di tazze raffiguranti Fufluns, il dio etrusco del vino.
Il vino è Nobile perché…secondo i gesuiti
Ufficialmente Montepulciano è territorio di Sangiovese, anzi, di Prugnolo gentile come è conosciuto da queste parti, da almeno dieci secoli, fin dall’Alto Medioevo (insieme ad altre uve, come Vajano, Canaiolo e Mammolo). Ed è tale il parterre dei suoi estimatori nel corso dei secoli – Pio II Piccolomini, Carlo V, i membri di casa de Medici, fra cui Caterina, regina di Francia, il presidente americano Thomas Jefferson – che è facile pensare che si chiami “Nobile” per questa ragione, in quanto apprezzato da papi, imperatori e capi di stato.
In realtà pare che le cose stiano diversamente. Alcune ricerche condotte presso l’Archivio di Stato di Firenze attestano che il primo uso del binomio “Vino Nobile”, nell’accezione più moderna, risalga al 1766 ed è presente nella documentazione proveniente dall’archivio dei Gesuiti di Montepulciano. La scoperta è opera di Riccardo Pizzinelli, architetto e studioso attento di storia locale. Il suo ritrovamento anticipa di almeno un trentennio la data riportata da WIkipedia nel racconto della storia del nome del vino poliziano, ma soprattutto ne riconduce la genesi a un ambiente monastico. Il dato non deve sorprendere perché, come spiega Pizzinelli, i conventi, assieme ad alcune famiglie poliziane, furono i più importanti produttori di vino in quella fortunata fase storica che va dalla metà del XVI alla metà del XVIII secolo. In seguito, la soppressione degli ordini da parte di Leopoldo II di Toscana e di Napoleone, sarà una delle cause della parabola discendente di questo vino e degli studi riguardanti la genesi del nome. Bisognerà attendere gli anni 60 del secolo scorso per arrivare a un riconoscimento ufficiale, prima con la nascita della Doc Vino Nobile di Montepulciano – 1966 – e poi con la creazione del consorzio di tutela (1967).
Ma torniamo alle ricerche dello storico e al concetto di “nobiltà” che i gesuiti avevano di questo vino: “Le mie indagini – spiega Pizzinelli – sono limitate a una parte della documentazione dell’ordine, in particolare ai loro libri contabili. Non escludo dunque l’esistenza di atti antecedenti al 1766 che attestino il binomio “Vino Nobile”, ma, intanto, è importante cogliere il significato che in questo specifico contesto religioso veniva dato al vino poliziano che non ha nulla a che fare con il lignaggio o il prestigio. Piuttosto i gesuiti di Montepulciano – ma il discorso vale anche per domenicani e carmelitani – si dimostrano eccellenti viticoltori, a loro agio nelle pratiche agronomiche e di cantina. Il loro obiettivo è la qualità e non la quantità e per questo motivo, come dimostrano i libri contabili, c’è un continuo investimento in vitivinicoltura. Cosa, ad esempio, che non sempre accadeva tra i proprietari terrieri, costretti ad alienare i loro bene per dividerli tra i figli. L’ordine monastico è, in questa chiave, una garanzia di continuità e di rinnovamento”.
La check list delle buone pratiche secondo i gesuiti
Ecco che allora il termine Nobile va a identificare dei vini di qualità, cosa che comincia a diffondersi anche nella pubblicistica agricola di quei decenni e viene associato a parametri di buone pratiche come piantare i vigneti in collina e a peculiarità enologiche come l’alto grado, il sapore intenso, la capacità di invecchiare bene. Da tali scritti emerge anche una tecnica poi abbandonata, quella della cottura di una parte del mosto d’uva. Il suo abbandono potrebbe essere un’altra spia della “nobiltà” del vino di Montepulciano, ovvero un investimento ulteriore sulla qualità.
Altro aspetto interessante che emerge della documentazione gesuita riferita a Entrate e Uscite del vino e a Debitori e Creditori è l’organizzazione commerciale che faceva capo al monastero: “Intorno alla produzione e alla vendita di vino da parte dell’ordine religioso si muoveva un indotto importante – spiega Pizzinelli – vetrerie, sigillatori di fiaschi, imbottigliatori, manutentori di cantine e vetturali in grado di mandare il vino anche all’estero”. Per la cronaca, come riportato nell’immagine, il documento dove compare per la prima volta il termine Nobile con la N maiuscola è il seguente: “Entrata maggio 1766: da some 8: di vino Nobile S(cudi) 89:1:3″.
Dal Nobile di ieri al Nobile di oggi, il presente si chiama Pievi
Il dibattere intorno all’idea che il vino sia nobile per sua intrinseca caratteristica o perché prodotto da e per persone di lignaggio, può apparire come una sterile questione fuori tempo. Riportandolo ai giorni nostri, invece, credo vi siano degli spunti interessanti per attualizzarlo. Potremmo definire nobile quel vino che punta ad avere un forte legame con il territorio, che si fa portavoce delle peculiarità climatiche, pedologiche, di competenze umane e anche della storia locale. In questa chiave va letto l’impegno del Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano che ha ricevuto l’ok definitivo dal Comitato Nazionale Vini, lo scorso 3 agosto, al testo di Disciplinare del Vino Nobile di Montepulciano “Pieve”, la nuova tipologia della prima Docg d’Italia – nata nel 1980 – che sarà in commercio dal 1° gennaio 2025 con l’annata 2021.
Da un punto di vista geografico, le 12 Pievi sono state suddivise secondo quanto descritto dal Catasto Leopoldino del 1800, con tanto di precisa toponomastica, che riprende però la suddivisione del territorio risalente già dall’epoca tardo romana e longobarda. Una mappatura che nasce, quindi, non solo da una ricerca di carattere geologico e pedologico, ma anche dall’approfondimento fatto nelle biblioteche e negli archivi storici. Le 12 zone, definite nel disciplinare di produzione UGA (Unità Geografiche Aggiuntive), saranno anteposte con la menzione “Pieve” in etichetta. “Questo aspetto – spiega il Consorzio – rappresenta l’identità del Vino Nobile di Montepulciano che guarda appunto al passato”.
A livello disciplinare la versione Pieve arriverà da vigneti della sottozona, con una produzione massima di 70 quintali per ettaro, con un uvaggio pari all’85% di Sangiovese più un 15% di soli vitigni autoctoni. Toccherà poi attendere un minimo di tre anni di maturazione. Che vino troveremo in bottiglia? Un Nobile al quadrato? Forse è più giusto parlare di un Nobile fortemente identitario, un vino, in qualche modo, già immaginato dai gesuiti tre secoli fa.
Attività realizzata con il contributo del MASAF, ai sensi del decreto direttoriale n. 553922 del 28 ottobre 2022 (cfr. par. 3.3 dell’allegato D al d.d. 302355 del 7 luglio 2022)