Alla scoperta dell’ecosistema di Pía León, Virgilio & Malena Martínez
Testo di Lorenzo Sandano
Foto cortesia di ristorante Central
“Da un lato della strada si scorgono le case antiche e l’animo bohémien del quartiere Barranco, mentre quasi voltando le spalle si dipana una scia di nuovi locali trendy frutto della gentrificazione recente. Central è quasi nel mezzo, come uno spartiacque e oggi amo pensare non sia un caso” spiega sorridente lo chef. “Ho girato tanto in tutto il mondo e continuo a farlo per lavoro, ma non penso possa esistere un altro luogo idoneo a raccontare la nostra filosofia come questo. Per me è talmente casa che al piano superiore ci vivevo pure, ma ora mi hanno sfrattato per metterci gli uffici del team” apostrofa ironico. Lui è Virgilio Martínez e la nostra chiacchierata ha luogo in una delle sale del suo Central di Lima, ristorante riconosciuto quale numero uno al mondo dalla The World’s 50 Best Restaurants 2023. In effetti, entrare in questo poliedrico spazio tende a schermare i sensi dal quadro urbano limitrofo pur risultandone parte imprescindibile: come un tesoro celato da sguardi avidi, ma fruibile da chiunque voglia realmente carpirne l’essenza.
Attraversando il giardino all’ingresso ci si ritrova immersi in una piccola oasi botanica di piante autoctone, mentre da un lato spunta il fuoco acceso all’interno di un tradizionale forno peruviano e un essiccatore solare che elabora campioni provenienti da regioni di tutto il paese. Il ristorante è in realtà solo un organo di un complesso ‘corporeo’ molto più ampio, con annessi spazi dediti a progetti di ricerca e sviluppo in continua evoluzione. Central occupa il primo piano accanto a una sede “visibile” dagli ospiti del progetto Mater Iniciativa. Al piano superiore sorge Kjolle, ristorante della moglie – nonché socia – Pía León. Partiamo da questa intervista a Virgilio presso il Central, che ci appare come il “cervello” propagatore di sinapsi, divulgate e raccolte in formato commestibile qui a Lima.
Alla ricerca del vero
Sul profilo di Martínez, sorge superfluo ripercorrere formazione o biografia dopo la consacrazione globale, narrata anche nel documentario Chef’s Table di Netflix (terza stagione). “Questo interesse per le risorse agricole del Perù lo stiamo mobilitando relativamente da poco, perché noi locali per anni lo abbiamo dato tutto per scontato” spiega. “Quando ho toccato con mano più di un centinaio di ingredienti che non avevo mai visto, ho pensato: okay, dobbiamo farci qualcosa perché è semplicemente fantastico. Da quel punto il viaggio non si è mai fermato. Abbiamo cominciato a fare ricerche sulle ricette con quei prodotti, interagire con le popolazioni indigene, contattare biologhi e scienziati che poi sono confluiti in Mater Initiativa, curato oggi quasi integralmente da mia sorella Malena. Se vogliamo, è un concetto che guarda molto oltre la gastronomia e la ristorazione. Lavoriamo con più200 famiglie native tra artigiani, contadini e produttori. Il valore del singolo viene superato dall’impellenza della comunità. Lo possiamo osservare muovendoci con loro nei campi di patate o di grano. Un processo che ci ha proiettati nelle profondità del vero Perù, catalogando miriadi di piante officinali, variazioni di cacao, frutta straordinaria che non avevamo idea esistesse prima. Abbiamo cominciato a sondare l’impatto primitivo di questa terra, il motivo che la rende così diversa e variegata rispetto a qualsiasi altro luogo. Stiamo semplicemente riscoprendo il valore di ciò che abbiamo sempre avuto”.
Un territorio dalle dimensioni infinite
Un’ideologia che traspare nitida appena varcato l’ingresso prima di sedersi a tavola. Un piano di pietra, posto come la tavolozza di un pittore, ripercorre le risorse peruviane procacciate da Mater. Ingredienti, colori e texture di un universo che mappa le aree geografiche setacciate dal team di ricerca. Il menu di Central si pone il compito di trasportare i commensali a diverse altitudini ed ecosistemi non fossilizzandosi però sul singolo paesaggio, bensì fondendoli tra loro e cercando di espandere la visione d’assaggio su dimensioni di culture, usanze e gusti in perenne divenire. La sensazione è quella di assaporare l’ignoto in una modalità estremamente godibile, piena e gradualmente familiare: se spesso mangiamo associando inconsciamente sapori a ricordi, qui risulta impossibile appigliarsi a memorie pregresse, eppure l’esito concede un’armonia palatale sorprendente.
Si comincia dal Mare: una variazione di alghe (tra cui la caratteristica sargasso) si trasforma in un “donut” in cui disporre polpa e interiora di granchio dalla salinità cristallina, alternando il boccone a un’insalata di molluschi, percebes, lattuga di mare ed emulsione di spirulina. L’esotico frutto aguajes funge da base per due impasti in consistenze aerodinamiche (croccante e soffiato) da inzuppare in salsa allo yogurt e sciroppo di yacón fermentato (tubero originario della Cordigliera delle Ande).
Il gigantesco Paiche amazzonico (tra le più grandi specie di pesci d’acqua dolce al mondo che può arrivare a misurare 3 metri di lunghezza) viene utilizzato a 360 gradi in una composizione di due servizi che ne contemplano filetto, ventresca e collare insieme a yuca bianca e nera (con spuma delle sue foglie) sommata al tocco umami di una cecina di maiale fatta in casa e stagionata in una concia di achiote (pianta da cui si estrae una polvere purpurea, apprezzata fin dall’antichità). Il servizio è agile, spigliato e sorridente. Tecnico nelle spiegazioni a bisogno senza alcuna prosopopea, tirando in ballo camerieri e cuochi che si alternano in una danza dall’imponente cucina a vista osservabile dai tavoli in sala. Anche l’abbinamento alcolico Equilibrio mixa micro-cantine sudamericane, grandi classici e cocktail coniati in proprio dal Lab di Mater.
Direzioni, sinergia & comunità
“Conosco molti dei ragazzi della brigata da quando non erano neanche ventenni” interviene Virgilio. “Siamo come dei genitori per loro. È importante credere nel valore dei legami tra tutti i componenti, condividendo con loro conoscenze, stimoli e pensieri per dargli una direzione futura. Noi cuochi in cucina siamo spesso portati a vivercela come dei partecipanti a giochi olimpici in cui l’unica cosa che conta è la medaglia d’oro, ma diviene una sorta di dipendenza. L’ambizione che hai deve essere un carburante per sbloccare nuove ragioni e punti di vista comunitari. È un modo per avere una crescita collettiva organica senza forzare gli elementi della squadra. L’immaginario che abbiamo costruito dello chef quale pazzo genialoide che deve solo spingere al massimo e soffrire risulta anacronistico. Io posso avere delle intuizioni geniali solo stando bene con me e il mio team, interagendo con le comunità native, smarcando la sofferenza inutile e traendo ispirazione da chi agisce intorno a me”.
Parole che suonano limpide e illuminanti come la sequenza di oltre 14 ecosistemi che atterrano in tavola: la cottura arcaica e sacra delle popolazioni indigene detta Hutia (sorta di forno primitivo scavato nella terra), viene riprodotto con una cottura di patate native dentro un involucro di chaco (una tipologia di argilla edibile usata dalle civiltà precolombiane) per poi essere intinte nella salsa di tre erbe tipiche dello stesso habitat: paico, chincho, huacatay. Il Pacu (pesce considerato ironicamente “vegano” per l’alimentazione a base di frutta e noci) viene stagionato e intervallato in un multilayers di lattuga, emulsione del frutto amazzonico lulo e una grattata di noci “castagna”, ripercorrendo la dieta della specie ittica celebrata nel piatto.
Visioni circolari
“Al Central miriamo a trasmettere un’idea, non il lusso egoriferito che si associa spesso alle etichette fine dining. Utilizziamo la tecnica certo, ma andiamo anche oltre contemplando tantissimi errori, conoscenza sul campo, ricerca, rapporti umani. La performance finale ha come fine connettere davvero l’ospite alla nostra filosofia”.
Una metrica di pensiero che sembra riprodurre due cerchi uniti nel simbolo dell’infinito, così come gli ultimi passaggi uniscono alture ed ecosistemi in una elaborazione circolare: prima la Cabuya (cactus sudamericano) con cui si ottiene una demi-glace e uno sciroppo da ogni fibra della pianta, accompagnato da un gelato della polpa, una gelatina del frutto qolle e muña (pianta aromatica che appartiene alla stessa famiglia della menta). Poi lo strabiliante processo di valorizzazione del cacao cercando di utilizzarne il 100% (mucillagine, buccia, semi) e non associandolo esclusivamente alla produzione del cioccolato (ricavato solo con il 5% dell’intero frutto): infuso di scorza (cascara) con spuma della stessa e neve di mucillagine (mucilago); pasta di semi essiccati e freschi su diverse scale di intensità; infine, crema soffiata e crema grezza del cioccolato prodotto nel proprio laboratorio. Non manca un assaggio di cacao baby: varietà molta rara maturata appena tre settimane.
“Penso che la stessa bellezza che stiamo raccogliendo nei campi o negli incontri insieme ai nostri produttori si rispecchi in quel che le persone cercano nell’esperienza qui. D’altronde la bellezza è un valore necessario che va trattato con cura, anche allargandone i parametri” conclude Virgilio. “Divulgarla attraverso l’essenza di ciò che facciamo è un fattore impellente per creare un nuovo modo di pensare. Sarà ambizioso o presuntuoso, ma tutto il mio tempo, la mia passione, il mio amore non hanno altre vie di manifestazione se non questa”.
Central
Avenida Pedro de Osma, 301
15063 Barranco, Lima – Perù
Tel: +51 1 2428515
www.centralrestaurante.com.pe