Testo di Ilaria Mazzarella
Illustrazione di Sara Di Giovanni
Inguaribili ottimisti. Siamo così a Cook_inc. Dopo quasi un mese eccoci ancora qui, nelle nostre case, a leggere – a proposito, potete ordinare tutti gli arretrati della rivista a un prezzo speciale e spedizione compresa – a cucinare, a scrollare la home dei social in cerca di risposte. Voi ne avete trovate alcune? Perché noi ci siamo chiesti: ma nel delirio di questo lockdown, al netto di quanto di più brutto è accaduto, possiamo trarre un germe di positività? Le scosse forti ci fanno cadere. Raccogliere i cocci e ricostruire è sempre un duro lavoro. E nel rimettere assieme i pezzi forse qualcosa perdiamo. Ma è anche vero che possiamo dare una forma nuova a ciò che avevamo. A volte persino migliore. Una contingenza che costringe a spogliarsi della chioma per tornare all’origine. Al seme. Per piantarlo altrove o in maniera diversa. Perché la fase di ricostruzione è una nuova fase di creazione, e intrinsecamente, di intuizione di un ordine nuovo, di nuovi rapporti fra attori differenti, un’ondata di energia che si concretizza nel «mettere ordine». La creazione più sorprendente e duratura, in fondo, non deriva che dal caos. Post tenebras lux, per dirlo alla latina. La quiete dopo la tempesta, per dirla alla Giacomo Leopardi. After every rain comes the sun, per dirlo alla Ana Roš.
E cosa accade ai ristoranti dislocati in quei contesti in cui tutti si conoscono e sono legatissimi alle proprie tradizioni familiari? Il senso di collettività e le abitudini sono molto più radicati che in città. Forse in modo meno evidente, ma le abitudini comunque cambiano, gli umori ne risentono e un clima di dubbie certezze incalza e serpeggia sempre più prepotentemente. Abbiamo chiesto a due chef ristoratori rappresentativi di due paesi nella provincia italiana, Telese Terme (Benevento) e Loreto (Ancona), come stanno sopravvivendo alla tempesta, nell’incertezza del futuro, per condividere con noi riflessioni e soprattutto speranze per il domani.
RIFLESSIONI DALLA PROVINCIA ITALIANA
Giuseppe Iannotti, Krèsios (Telese Terme, Benevento)
Come stai vivendo questo momento?
Sono nella struttura che ospita il ristorante (la mia casa è proprio qui sopra), ho fatto l’orto, ho spaccato la legna. Al momento sto facendo una selezione di galline: da questa settimana inizio a incubare le uova per far schiudere i pulcini. Non appartengo al filone delle dirette casalinghe degli chef, ho preferito ritagliarmi un luogo differente per parlare di cucina. Sto lavorando per sviluppare Iannotti Lab: ho creato una piattaforma social di aggregazione con cuochi internazionali, che attraverso alcuni appuntamenti virtuali con colleghi e amici vuole essere uno strumento di divulgazione, un luogo in cui la cucina si avvicina all’approccio scientifico e alla ricerca.
Su quali strategie hai fatto leva per tutelare il personale? Come stai gestendo il rapporto con il team di Krèsios?
Tutti i miei ragazzi sono in cassa integrazione, quando riapriremo non manderò via nessuno, ci faremo forza l’un l’altro, magari ci riadatteremo ma comunque resteremo uniti. Sento tutti spesso via WhatsApp, proprio ieri abbiamo fatto uno Zoom per guardarci in faccia: stanno ricaricando le batterie a casa, ma mi chiedono costantemente “quando potremo finalmente tornare?”. Il mio team è importante, ognuno dei ragazzi ha partecipato alla digitalizzazione dei progetti di Krèsios durante l’inizio della quarantena, apportando il proprio contributo per raccogliere e rendere leggibili le ricette sparse nelle varie Moleskine.
Come stai vivendo il lockdown e la staticità che ne consegue?
Resto fermo e faccio un passo alla volta. Non voglio pensare al domani, non perché sia negativo. Posso progettare il futuro da qui ai prossimi X anni, sono abituato a fare elenchi e depennare via via le cose fatte. Ma in questo caso, poiché sussistono dei fattori che non dipendono da me, io mi devo necessariamente fermare. Non sono pessimista né iper-positivo. Sono ibernato. Resto fermo fisicamente, ma non mentalmente: sto continuando a costruire e sto lavorando forse anche più di prima. Pensa a quanto tempo e fatica si impiegano già a organizzare i contatti, buttar giù i temi da trattare, realizzare le relative locandine.
Oltre alla piattaforma di Iannotti Lab, hai lanciato i Dining Bond e un delivery speciale per Pasqua.
Subito dopo la chiusura, ho lanciato l’iniziativa con cui acquistare uno dei menu del Krèsios con la possibilità opzionale del pairing. È un pre-acquisto a tutti gli effetti, senza sconto alcuno, ma con il vantaggio di poter utilizzare il voucher fino al 30 dicembre 2021, weekend compresi, come fosse una sorta di priority card. Ho ritenuto corretto per noi e per i clienti non operare una riduzione dei prezzi. Si tratta di uno strumento di business (che aiuta, ma non può risolvere da solo), e non di beneficienza, che invece deve essere fatta nelle sedi più opportune. Per la Pasqua ho, invece, realizzato e fatto recapitare un menu appositamente studiato per l’occasione e spedito con corriere in un box refrigerato, da conservare nel congelatore fino al momento della preparazione. Ho messo a disposizione ingredienti e semi-lavorati: in questo modo sono riuscito a rendere l’ospite meno passivo. Ho realizzato le istruzioni ispirandomi a quelle di Ikea, e una volta recapitata la consegna, ho inviato dei messaggi broadcast per seguire la preparazione e successivamente anche la video-ricetta. Infine la domenica, alle 12, ho realizzato una diretta per cucinare il pranzo. È stato un po’ come mangiare tutti assieme!
Qualche riflessione sul post COVID-19. Tornerà la ristorazione come siamo abituati a conoscerla o ci saranno aspetti che si modificheranno permanentemente? Per esempio il menu o i prezzi?
Non ho la palla di vetro, ma di riflessioni ne ho fatte parecchie. Nonostante il ristorante abbia da sempre standard a norma per ciò che concerne distanze di sicurezza, diametro dei tavoli, ampia metratura della cucina (su due livelli) e ricircolo dell’aria ogni 15 minuti trattata con un recuperatore di calore, ho deciso di chiudere alle prime avvisaglie, prima dell’ordinanza, per rispetto dei miei ragazzi e dei clienti. Il delivery non è una formula che possiamo fare al Krèsios, non solo perché non può essere trasportato, ma soprattutto perché ne svilirei la natura. Sto facendo una serie di valutazioni parallele, ma non perpendicolari. Ho anche pensato di scrivere un decalogo di comportamento da far sottoscrivere ai miei ragazzi perché la voglia di tornare alla vita normale è tanta, ma il rispetto delle regole è più importante. Offerta e prezzi non cambieranno: se dovessi apportare delle modifiche a questo, non si chiamerebbe più Krèsios.
Dei cambiamenti nel dopo ripresa, ce ne saranno alcuni positivi?
All’inizio assisteremo a un reboot a cui seguirà un’accelerazione che poi subirà un freno. Ci saranno quelli in astinenza, che sopporteranno il rischio di uscire e mangiar fuori, e un gruppo di più cauti. Cambiamenti ci saranno eccome, alcuni sono già avvenuti in ognuno di noi, per la maggior parte positivi. Per esempio quanto è importante non rimandare le cose e concederci la possibilità di ricavarci del tempo solo nostro. Forse il cambiamento più grande sarà la voglia di rivalsa della gente. Al Krèsios non abbiamo mai chiuso e abbiamo sempre vissuto “in bassa stagione”, di certo non abbiamo paura di vivere la crisi. Anzi, credo che subito dopo la fase di ripartenza, non appena riusciremo ad avere la cura al virus, ci saremmo dimenticati di tutto. Vuoi sapere come recita il detto di un vecchietto del mio paese, che ha perso tragicamente il figlio in un incidente? “La natura umana ha inventato la cosa importante: u scurdà, ossia il dimenticare”.
Errico Recananti, Ristorante Andreina (Loreto)
Come stai vivendo questo momento?
Nonostante la voglia e la passione incontrastata per il mio lavoro, come tutti sto vivendo una fase di incertezza. Non so cosa ci riservi il domani, ma mi sento pronto ad affrontare qualunque scenario: per dirlo con una metafora, bisognerà scendere in campo dal primo minuto perché torni a essere una partita bella e dinamica. Non sappiamo che tipo di partita sia, ma sarà senz’altro importante perché in gioco ci sono la qualità e il valore della nostra tradizione e della nostra cucina italiana.
Su quali strategie hai fatto leva per tutelare il personale?
Ho messo il personale in cassa integrazione, mentre i ragazzi che non si sono potuti allontanare mi hanno aiutato in qualche piccolo lavoro nell’orto, sostanzialmente dalla padella abbiamo preso la zappa, occasione che ci ha permesso di parlare molto e confrontarci su quanto stiamo vivendo.
Come stai vivendo il lockdown e la staticità che ne consegue? Più tempo per la casa e la tua intimità: è cambiato il valore del tempo per te?
Il tempo è diventato tantissimo e si riesce finalmente a vivere un po’ i propri figli. Non mi piace molto cucinare a casa, mi sono dedicato principalmente a ciò che ho tralasciato in questi anni, come rimettermi a studiare la panificazione. Il pane, infatti, ha bisogno di tempo, di calma e temperature. E nel frattempo ho scoperto di avere una casa davvero grande! Ho avuto la possibilità di riappropriarmi dei miei spazi, considerando che i ritmi frenetici della nostra quotidianità ordinaria ci fanno sempre mettere al primo posto le esigenze degli altri. Quello che sta accadendo inizialmente sembrava fosse una cosa da niente, poi ci siamo resi conto che invece era ben più importante: un po’ ci ha impaurito e ci ha resi più deboli, ma anche più attenti e rispettosi nei confronti di noi stessi e degli altri. Eravamo in una giostra che andava davvero fortissimo.
Qualche riflessione sul post COVID-19. Tornerà la ristorazione come siamo abituati a conoscerla o ci saranno aspetti che si modificheranno permanentemente? Hai effettuato un delivery per Pasqua?
Abbiamo fatto un servizio di delivery esclusivamente per le festività pasquali. Ovviamente non siamo stati spinti dai guadagni, ma non potevamo – dopo 60 anni di storia – non essere presenti per i nostri clienti il giorno di Pasqua con il nostro pane, la nostra pizza di formaggio e i prodotti storici del ristorante. Era un augurio dentro una scatola, una coccola per chi sta a casa ad attendere come tutti noi. È come se in un certo senso gli effetti del Coronavirus fossero stati un campanello di allarme che ha suonato in tanti posti e ci ha ricordato: “secondo me è il caso che ricominciate a fare meglio il vostro lavoro”. Questa fase ci ha permesso di riflettere su quello che è stato fatto e quello che si dovrà fare. Credo non ci sia molta alternativa: se prima si poteva pensare di avere un menu a una certa cifra, oggi occorrerà rivedere il prezzo. Ma sempre mantenendo il rispetto per tutti: per la materia prima trattata e per i suoi fornitori, per le persone che lavorano, per i commensali che siedono a tavola. Se tutti pensiamo che possiamo migliorare ed entriamo nell’ottica che questo comporterà anche dei sacrifici, ce la possiamo fare. Siamo imprenditori di noi stessi con le nostre mani, i nostri occhi e il nostro cuore. Ed io non vedo l’ora di riaccendere la mia brace e continuare a fare ricerca perché un giorno sarà bellissima ed elegantissima proprio come la voglio. Se dovrò cambiare qualcosa sicuramente non smetterò di accendere il mio camino. E, se proprio dovrò, eventualmente spegnerò qualche fornello! A ogni modo, finché non vedremo con i nostri occhi i primi clienti che entreranno nei ristoranti, non capiremo ciò di cui loro hanno bisogno e di cui noi abbiamo bisogno. Forse le uscite saranno minori, ma comunque più mirate: si tenderà a cercare inevitabilmente ciò che ti fa stare bene e sicuro allo stesso tempo.
Dei cambiamenti nel dopo ripresa, ce ne saranno alcuni positivi?
Un ritorno all’autenticità. Passeranno i convenevoli di circostanza, come i “mi piace” sui social: forse abbiamo avuto l’occasione di riscoprire che è più importante esserci veramente per qualcuno, alzando il telefono e ascoltando davvero. E soprattutto abbiamo riscoperto il rispetto, anche dalle piccole cose, come fare la fila per andare in farmacia ad esempio. Prima regnava una frenesia malata, tutti provavano a passarti davanti, per correre poi chissà dove. Avremo maggiore attenzione, io almeno me lo auguro o comunque ce la metterò sempre. E poi vedremo quel che succederà.