Testo di Ilaria Mazzarella
Illustrazioni di Sara Di Giovanni
Inguaribili ottimisti. Siamo così a Cook_Inc. Dopo quasi un mese eccoci ancora qui, nelle nostre case, a leggere – a proposito, potete ordinare tutti gli arretrati della rivista a un prezzo speciale e spedizione compresa (info qui) – a cucinare, a scrollare la homepage dei social in cerca di risposte. Voi ne avete trovate alcune? Perché noi ci siamo chiesti: ma nel delirio di questo lockdown, al netto di quanto di più brutto è accaduto, possiamo trarre un germe di positività? Le scosse forti ci fanno cadere. Raccogliere i cocci e ricostruire è sempre un duro lavoro. E nel rimettere assieme i pezzi forse qualcosa perdiamo. Ma è anche vero che possiamo dare una forma nuova a ciò che avevamo. A volte persino migliore. Una contingenza che costringe a spogliarsi della chioma per tornare all’origine. Al seme. Per piantarlo altrove o in maniera diversa. Perché la fase di ricostruzione è una nuova fase di creazione, e intrinsecamente, di intuizione di un ordine nuovo, di nuovi rapporti fra attori differenti, un’ondata di energia che si concretizza nel «mettere ordine». La creazione più sorprendente e duratura, in fondo, non deriva che dal caos. Post tenebras lux, per dirlo alla latina. La quiete dopo la tempesta, per dirla alla Giacomo Leopardi. After every rain comes the sun, per dirlo alla Ana Roš.
RIFLESSIONI DALLE METROPOLI DI ROMA E MILANO
In città il lockdown è certamente più percepito. Il traffico che congestiona le strade, l’odissea del parcheggio, la calca dei mezzi pubblici. Tutto sparito. Dal giorno alla notte. Lo stesso deserto liberatorio di agosto che diventa sgradito a marzo. Le saracinesche abbassate lasciano un senso di vuoto e d’incertezza. E quando si tornerà lentamente alla normalità mancherà un flusso importante che era solito riversarsi nelle piazze storiche, accalcarsi davanti ai musei, riempire alberghi e ristoranti. Il turismo degli stranieri. E forse per parecchi mesi. Abbiamo chiesto a due chef ristoratori rappresentativi delle maggiori città italiane, Roma e Milano, come stanno sopravvivendo alla tempesta, nell’incertezza del futuro, per condividere con noi riflessioni e soprattutto speranze per il domani.
Anthony Genovese, Il Pagliaccio – Roma
Dopo un mese di lockdown come sono gli umori?
Oggi purtroppo vedo uno schermo spento e immagino il futuro con non poche difficoltà. Non tanto per la lunga inattività del ristorante. Già nel 2017 ho vissuto quattro mesi di chiusura per ristrutturazione, ma ci siamo organizzati, magari qualcuno ha saltato il giorno di riposo, ma avevamo la consapevolezza che la nostra clientela era lì come sempre ad attenderci. Non conosco le regole di questo nuovo gioco invece, è l’incertezza che ci spaventa. Mi fido del fatto che alla gente piace uscire e mangiare fuori, anche se sarà possibile solo in condizioni diverse rispetto a quanto eravamo abituati. Non credo che da un giorno all’altro si tornerà a lavorare esattamente come prima. Non che voglia essere negativo, ma non posso neanche fare lo struzzo. Lo scoglio maggiore sarà probabilmente riacquisire una mentalità vincente in un paese ferito.
Su quali strategie hai fatto leva per tutelare il personale? Come stai interagendo con il tuo team?
Sono molto legato ai miei ragazzi. Ci sentiamo tantissimo, ci confrontiamo e ci facciamo forza a vicenda. Loro mi spronano a non mollare perché torneremo presto in pista. Sono tutti tutelati da questa magica parola, cassa integrazione, di cui abbiamo usufruito come tanti colleghi per riuscire a tenere botta durante questa chiusura forzata. Se dipendesse solo da me terrei il personale al completo e sto combattendo perché sia effettivamente così. In questi 17 anni di vita, non abbiamo mai mollato, lotteremo fino alla fine perché per me il ristorante è vita. Ci stiamo leccando le ferite, ma siamo combattenti. Io sono un gran guerriero, mi piace guidare i miei soldati verso la vittoria ossia ritrovare il piacere di lavorare al ristorante e dare felicità alle persone.
Sei abituato a viaggiare molto. Come stai vivendo il lockdown e la staticità che ne consegue? Più tempo per la casa e la famiglia: è cambiato il valore del tempo?
Apprezzo le piccole cose della vita, dedicare tempo alla casa così come la possibilità di stare più tempo con le persone care. Per leggere il giornale o bere il caffè prima avevamo al massimo 30 secondi. Non nascondo che mi manca la frenesia, mi manca l’adrenalina del servizio, di andare in scena con il nostro spettacolo.
Qualche riflessione sul post COVID-19. Tornerà la ristorazione come siamo abituati a conoscerla o ci saranno aspetti che si modificheranno permanentemente? Per esempio l’offerta del menu, prezzi, delivery? Il Pagliaccio è un ristorante che ha una percentuale di clienti straniera importante: come riformulare la proposta incentrandola su una clientela differente, come quella italiana?
Non perderemo il nostro DNA e la filosofia, perché significherebbe snaturarci, ma daremo l’opportunità di mangiare a un prezzo più contenuto. Approcceremo all’offerta con una maggiore sensibilità ed elasticità per coccolare ancora di più i nostri clienti. Parlando con Matteo (Zappile, direttore del ristorante, ndr) pensiamo di proporre un menu a pranzo e cena con prezzi più abbordabili, forse anche una sezione dedicata interamente alla verdura. Mancherà l’afflusso della clientela straniera, ma negli ultimi anni abbiamo avvicinato moltissimi italiani, soprattutto romani. Il delivery è un’opzione che stiamo valutando: ovviamente non ci si può improvvisare, occorre fare una piccola ricerca per affrontarne la realizzazione. (L’intervista è stata realizzata dalla giornalista prima che fosse lanciato il progetto “Turnè”, format interamente dedicato al delivery, notizia pubblicata su questo articolo del Gambero Rosso ndr).
Dei cambiamenti nel dopo ripresa, ce ne saranno alcuni positivi?
Ci sono due parole che amo molto: rispetto e umiltà. Mi piacerebbe che sia da parte nostra che da parte della clientela, si ritrovi un po’ di sincerità, gentilezza, senso di accoglienza. Lo star system degli chef è diventato negli anni un fenomeno a tratti ingestibile, troppa arroganza e presunzione da un lato così come giudizi spesso senza fondamento alcuno da parte dell’altro. Non siamo dei guru, predicatori o scienziati. Siamo cuochi. Spero che il mondo della ristorazione, così come quello della comunicazione a esso legato, cambieranno in favore di un approccio più autentico. E spero anche che torneremo a credere un po’ di più nel nostro lavoro senza osannare troppo gli altri.
Alessandro Negrini e Fabio Pisani, Il Luogo di Aimo e Nadia – Milano
Come state vivendo questo momento?
Abbiamo imparato a vivere in questa nuova dimensione in cui abbiamo tempo per riflettere, confrontarci, interrogarci sulle scelte fatte, riscadenzare i nostri programmi. È stata anche l’occasione per consolidare il rapporto con il team con cui lavoriamo a distanza. I nostri ragazzi non vedono l’ora di tornare a cucinare: con loro pensiamo ai nuovi piatti, a servizi nuovi da inserire nella nostra proposta che saranno necessari e richiesti e che con l’apertura partiranno. Nuovi progetti che prenderanno il via: sarà un nuovo inizio insomma.
Su quali strategie avete fatto leva per tutelare il personale? Gli ammortizzatori messi a disposizione dal Governo sono stati sufficienti per fare in modo di evitare riduzioni di personale/di stipendi?
Abbiamo usufruito degli ammortizzatori messi a disposizione dal decreto governativo. Non sono sufficienti per garantire ai lavoratori la serenità, ma di sicuro permettono alle imprese come la nostra, solide ma comunque piccole, di poter assicurare a tutti i ragazzi il rientro al lavoro in tempi brevi. E questo per noi è l’obiettivo primario: tornare tutti a lavorare, nessuno escluso!
Come state vivendo il lockdown e la staticità che ne consegue? Più tempo per la casa e la propria intimità: è cambiato il valore del tempo per voi?
Viviamo una nuova quotidianità fatta di condivisione di alcuni momenti in famiglia a cui, spesso, questo lavoro ti sottrae: il pranzo e la cena insieme per esempio, giocare con i bambini, inventarsi delle attività da fare con loro per tenerli impegnati. Anche per loro è un’attesa forzata per quanto siano contenti di averci tutti a casa.
Qualche riflessione sul post COVID-19. Tornerà la ristorazione come siamo abituati a conoscerla o ci saranno aspetti che si modificheranno permanentemente? Apporterete variazioni all’offerta del menu o ai prezzi?
Inevitabilmente la pandemia avrà un impatto anche sul nostro settore, soprattutto nell’immediato, appena si ricomincerà a uscire: bisognerà riacquistare fiducia e vincere il senso di paura che accompagna le nostre giornate adesso. La gente avrà bisogno di ritrovarsi e lo farà ricominciando dai propri ristoranti del cuore: si avrà voglia di tornare a riassaggiare quei piatti rimasti nella propria memoria. Saranno premiati coloro che, oltre a fare una ristorazione di qualità, sono riusciti a creare una relazione solida con i loro clienti e con il tessuto sociale, perché sarà certamente lo zoccolo duro da cui ripartire. E noi siamo certi e fiduciosi che i nostri clienti non vedono l’ora di tonare a trovarci!
Qualche riflessione sul delivery. Avete scelto finora di non farne per tutelare il personale. Pensate di usufruirne in un secondo momento?
Si, abbiamo scelto di non fare delivery durante il lockdown. Abbiamo pensato a non mettere a rischio la salute dei nostri dipendenti e delle loro famiglie: tanti di loro avrebbero dovuto raggiungere il posto di lavoro anche con mezzi pubblici, pertanto sarebbero stati più esposti al rischio contagio. Ma è un servizio che pensiamo di effettuare con la riapertura.
Lockdown Resistance 1 – Nord / Sud
Lockdown Resistance 3 – Small Towns