Testo di Greta Contardo
Foto cortesia di Slow Food
Essere casari-artigiani nel XXI secolo è un’arguta responsabilità: è uno stile di vita prima di essere una figura professionale, è una scelta di coraggio e tenacia prima di essere un lavoro, è un impegno ben più profondo di “produrre alimenti di tipo caseario”. Essere casari-artigiani nel XXI secolo è un po’ come essere supereroi e usare il superpotere che “trasforma il latte in formaggio” per salvare il mondo, un impegno alla volta. Perché i formaggi sono fatti di animali, latte, prati, pascoli, cantine, persone, culture; sono tutti elementi tanto ricchi di biodiversità quanto ipersensibili, labili, soggetti ai mutamenti del quotidiano. E devono essere salvaguardati. “Tutelare un formaggio non è soltanto tutelare un formaggio, perché Slow Food ha scelto 40 anni fa il cibo come potente strumento culturale e politico, oggi tutto questo è ancora più vero perché il sistema alimentare pone questioni cruciali che dobbiamo affrontare. Tutelare un formaggio può fare la differenza tra tenere aperta o chiudere una bottega o un’osteria, continuare ad abitare o abbandonare un villaggio” ha sottolineato Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia presentando la 14esima edizione di Cheese, la manifestazione biennale organizzata da Slow Food e Città di Bra che dal 15 al 18 settembre animerà le strade della cittadina piemontese con il più grande raduno di formaggi a latte crudo da tutto il mondo, accompagnati dai loro produttori, ovviamente.
Cheese è un atto politico rinnovato in ogni sua edizione. Da Alle sorgenti del latte, per nutrire il pianeta – il tema portante del 2015 – nelle ultime edizioni la Latte Crudo Revolution (lanciata nel 2017) è stata potenziata con il claim Naturale è possibile (nel 2019) e Considera gli animali (2021), spostando sempre di più il focus – concettuale – dal prodotto finito a ciascun elemento essenziale per la buona riuscita del prodotto. Dopo aver messo il benessere degli animali al centro, è spontaneo dedicare a “quanto conta l’erba per la qualità del formaggio” la stessa attenzione. Eccolo, appunto, il tema dell’edizione 2023: Il sapore dei prati. Spiega Barbara Nappini: “I paesaggi iconici italiani per cui i viaggiatori vengono da tutto il mondo sono il frutto dell’interazione millenaria tra uomo e ambiente, tra natura e comunità che la vivono”. Occorre tutelarli. Per questo a Cheese si parlerà di equilibrio tra animali e terra, di fertilità del suolo, di rispetto per gli animali, di tutela della biodiversità dei pascoli, di cura delle aree montane e di rigenerazione delle terre di pianura. E ancora, di prati stabili, di sopravvivenza dei casari di piccola scala tra regole pensate per gli allevamenti intensivi, di difficoltà di accesso ai pascoli, di montagna rigenerata dalle comunità che la vivono e di crisi climatica che ne determina mutamenti dall’impatto sociale ed economico, oltre che ambientale.
Per salvare prati e pascoli, ecosistemi ricchi di biodiversità vegetale e animale che stanno subendo una progressiva rarefazione, è necessario avere “paladini della caciodiversità” pronti a tutto per farlo. Tra le strade di Bra se ne incontreranno molti, moltissimi, da tutto il mondo e di tutte le età (seppure la pastorizia soffra di un importante problema di ricambio generazionale). Abbiamo voluto fare qualche domanda ad alcuni dei giovani casari: sono quelli che hanno scelto di fare questo mestiere da grandi, con la forte consapevolezza di aver tra le mani un destino ben più grande di quello del latte che diventa formaggio. Hanno diversi background e sono pronti a contaminare l’arte caseari con le loro visioni olistiche. Sono quelli che più di tutti sanno quanto sia essenziale prendere in mano e salvare il presente, oggi, per poter realmente costruire un futuro, sano, autentico, prezioso.
Michela Bunino & Nicola Del Vecchio
Michela e Nicola, Nicola e Michela, sono un’unica entità: Alba, l’azienda agricola multifunzionale fatta di amore per la natura, forza di volontà e 85 ettari di terra a cavallo tra Campolieto e San Giovanni in Galdo nel cuore del Molise. Alba è un progetto di agricoltura naturale in cui gli elementi convivono in equilibrio in cui l’arte casearia gioca un ruolo essenziale. Imparare a fare il formaggio è stata un’avventura, soprattutto partendo da un’ideologia come la loro, ben lontana dalla conformazione. Vicina invece alle esigenze del loro territorio.
L’idea di Alba nasce come un progetto di tesi di laurea di Nicola all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, sviluppato prima in triennale e poi in specialistica. Aveva teorizzato un’azienda agricola a ciclo chiuso e auto rigenerativo e fin da subito ha deciso che una delle produzioni doveva essere proprio quella del caseificio perché il territorio molisano è agricolo ed estremamente legato, anche a livello anche morfologico, all’allevamento e a una pastorizia. È un territorio vocato in cui si incrociano le transumanze di varie regioni.
“Il mondo dei formaggi – racconta Michela – è uno dei mondi in cui ci sono più variabili in assoluto all’interno della produzione perché, partendo dalla differenza di quello che un animale mangia, da lì ci sono oltre un milione di variabili per cui il mio formaggio non sarà mai uguale al tuo e questa è la parte forse più meravigliosa e che ci porta a lavorare imparando continuamente un mestiere che non abbiamo ereditato”. Essere casari è una scelta impegnativa che impone sacrifici per seguire il ritmo della natura, degli animali, del latte, più il tuo
Il caseificio per Alba nasce nel 2016 con una produzione casearia fin da subito legata alla tradizione locale: si sceglie di lavorare un latte misto ovi-caprino come simbolo dell’idea di azienda multifunzionale. Pecore e capre sono animali complementari a livello di pascolo, perché mangiano cose diverse – la capra ci aiuta ad andare a pascolare anche in posti più impervi – e quindi chiaramente arricchiscono il latte. Sono entrambi animali che necessitano al 100% del pascolo per produrre un latte di qualità e anche per stare bene; quindi, la loro scelta è stata legata fin da subito al benessere del pascolo, alla biodiversità ma anche chiaramente alla tradizione locale che ha sempre visto nella produzione casearia il latte misto di questi due animali. “Abbiamo deciso fin da subito di creare un rapporto di rete con un unico produttore che produce solo per noi. Siamo un’unica azienda un’unica famiglia quindi con controllo totale di quella che è la filiera del prodotto”. Emerge da loro che il ruolo del casaro è sempre più legato alla scelta della materia prima perché a partire dalla tipologia di filiera che decide di mantenere dipende tutto.
Alice Nicoletta
Alice Nicoletta fa parte dell’azienda agricola famigliare, insediata a Settimo Vittone, in provincia di Torino al confine con la Valle d’Aosta. L’azienda agricola Nicoletta si dedica dell’allevamento di bovini di razza valdostana pezzata rossa nera e castana e della trasformazione del loro latte in formaggio. Il titolare è Jari, suo fratello che cura principalmente l’allevamento; Alice si occupa della caseificazione mentre al loro papà è affidata la commercializzazione del prodotto finito. “Siamo una piccola azienda – racconta Alice – abbiamo un allevamento di circa 40 capi di cui una ventina in lattazione e siamo in montagna. Passiamo sei mesi all’anno in paese, a 350 m, in stalla e poi altri sei mesi (da metà di aprile a fine ottobre) in montagna con la base a 1250 m. Abbiamo continuato quello che era già il lavoro dei nostri nonni ampliando l’allevamento utilizzando oggi delle tecnologie produttive ovviamente più moderne rispetto a quelle dei nostri avi ma abbiamo continuato il loro lavoro anche per la salvaguardia del nostro territorio. Perché essere allevatori in montagna significa innanzitutto mantenere un territorio, pulire un territorio e tenerlo anche vivo, vivibile e fruibile a tutti. Continuiamo ad allevare una razza che è la valdostana che è ha la “duplice attitudine” e quindi produce latte sì, ma non ha una produzione così elevata. Però è un animale che ben si adatta alla vita in montagna e quindi a mangiare anche su pendii elevati e a mangiare erba in tutte le stagioni; l’animale si adatta al pascolo. Con il latte produciamo, principalmente, il formaggio tipico della nostra zona il Toma, a cui abbiamo affiancato delle lavorazioni diversificate più fresche e più stagionate”.
Continua Alice: “La mia è una sfida perenne perché, soprattutto con un allevamento come il nostro in cui l’alimentazione non è standardizzata, il latte è una materia prima da lavorare che è diversa ogni giorno. Il casaro al mattino deve sapere quello che fa nel senso, deve sapere che latte ha tra le mani e andare ad aggiustare il processo produttivo con accorgimenti giusti. Il casaro e l’allevatore nella nostra zona condividono l’importante compito di sostenere un territorio”.
Viola Marcelli
Referente della Comunità Slow Food dell’Aquilano per l’allevamento transumante, è il punto di congiunzione tra la parte istituzionale e il progetto di innovazione della Cooperativa ASCA, fondata nel 1977 ad Anversa degli Abruzzi come azienda agricola da Nunzio Marcelli e da Manuela Cozzi. Oggi Viola è la proprietaria dell’bio-agriturismo La Porta dei Parchi, dove si alternano differenti attività, dalla pastorizia di tipo tradizionale alla pratica della transumanza. Viola si occupa della trasformazione del latte, ma non solo. “Mi sono affacciata al mondo della caseificazione già da piccola – racconta – i miei conducono l’azienda agricola dal 1977 e per me è stata parte integrante della mia vita. Ho sempre partecipato attivamente a tutti i processi legati a essa e fin da subito ho compreso il legame imprescindibile che c’è tra i vari settori: il pascolo, la mungitura, la trasformazione, la stagionatura, la somministrazione. È una strada a più tappe e ognuna riveste un’importanza fondamentale. Dopo una Laurea in Belle arti ed una specialistica in Design ho sentito il bisogno di tornare all’ovile (in tutti i sensi) e ritagliare una parte per me, cominciando ad applicare le cose che avevo imparato durante la mia assenza e a trasformare l’azienda agricola e l’agriturismo in qualcosa che assomigliasse alla mia visione. Dopo essermi occupata dei vari aspetti, sono approdata in caseificio – dove già si producevano prodotti di eccellenza – ma ho sentito il bisogno di diversificare, per avere più possibilità e sfogare la mia creatività. Sono sempre alla ricerca di novità e così ho cominciato a “contaminare” le classiche lavorazioni con tecnologie extra-regionali o semplicemente usando la cagliata come colore e la fuscella come tela. La cosa mi rende entusiasta perché percepisco le infinite possibilità che ci sono dietro e mi ci butto capofitto”
Continua Viola: “Il ruolo che il casaro riveste attualmente penso debba essere di riscoperta e rinnovamento. Abbiamo tanto da imparare dal passato e nuove tecnologie e visioni per traslare queste conoscenze nel futuro. Sicuramente la valorizzazione della materia prima, il consumo etico e sostenibile, l’educazione a un approccio critico con ciò che mangiamo sono tra gli obiettivi che un casaro (come un macellaio, allevatore, agricoltore ecc..) deve perseguire”.
Davide Nicoli
Davide è uno dei più giovani malgari dell’Altopiano di Asiago, è un produttore del Presidio Slow Food dell’Asiago stravecchio. Fa l’allevatore, specializzato in allevamento della razza Rendena – le vacche tradizionali di queste montagne – e nel periodo estivo diventa anche casaro malghese e agriturista. Gestisce la Malga Serona, nel comune di Caltrano, a circa 1260 metri di altitudine.
Racconta: “Sono diventato casaro perché ho trovato nella malga il punto di incontro tra due passioni: l’allevamento e la montagna. Per cui ci è sembrato naturale (per me e per i miei soci) unire le due cose e andare a “finire” in una malga. Ci siamo fatti seguire da qualche vecchio casaro ma principalmente la nostra scuola è stato sbagliare nel senso che abbiamo fatto prove su prove, errori su errori fino a che non si conosciuti a trovare della nostra idea di formaggio, arrivando a produrre un formaggio storico come Asiago Dop”. Spiega che il casaro ovviamente, oltre a fare il formaggio, insieme al contadino e all’allevatore deve comunicare. “Va spiegata la fatica che facciamo, va spiegata la gestione del territorio, va spiegato l’amore per il territorio perché non il nostro lavoro non si basa solo sulla produzione di formaggio, ma c’è una gestione ambientale che va comunicata e spiegata. Abbiamo la fortuna di vivere a Bressanvido che è un paese nel vicentino nella fascia destra del Brenta che è una zona di prati stabili. Abbiamo un’eredità immensa: abbiamo pratiche che hanno più di 200 anni da gestire per cui c’è veramente bisogno di far capire alla gente cosa produciamo e con cosa lo produciamo però perché la materia prima è essenziale per dar vita un buon formaggio.
Non potevamo non chiedere a questi illuminanti casari di raccontarci il sapore dei loro prati.
Michela & Nicola: “Il profumo e il sapore dei pascoli è bellissimo. Arriva dai pascoli di Tonino noi abbiamo la grandissima fortuna di avere a disposizione per gli animali un sacco di pascoli polifiti, con cui riusciamo a produrre anche fieni e granaglie. La parte dei fieni per noi è fondamentale perché grazie proprio al fieno riusciamo a creare un sentore legato alla biodiversità del nostro territorio anche in periodo invernale. È un elemento importantissimo significa mantenere effettivamente l’animale con prodotto locale per tutto l’anno e dare una continuità a 360° sui 12 mesi annuali. È chiaramente un investimento di fatica, ma nel momento in cui poi uno decide di lavorare un latte di qualità è importantissimo perché è la diversità del formaggio che crea la parte divertente e la biodiversità ci aiuta a creare la diversità in maniera più generica. Il profumo del pascolo è quella parte meravigliosa che varia 12 mesi all’anno e che ci racconta sempre qualcosa di diverso ed è quello che gli animali vivono ogni giorno: dal cambiamento del clima alle variazioni durante le rotazioni dei foraggi, alle fioriture e via dicendo. Nel bene e nel male il pascolo ci racconta sempre quello che sta succedendo nell’annata agricola e tutto quello che succede attorno a noi”.
Alice: “I miei prati sanno di ruralità, di agricoltura vera, di sudore! In autunno si concima con il letame dei nostri animali, nel corso dell’inverno il concime naturale penetra nel terreno e permette all’erba della primavera di essere di una qualità superiore in modo da poter ottenere un latte con caratteristiche organolettiche tali da poter produrre del formaggio che possa essere diverso da quello prodotto in allevamenti intensivi. I prati in primavera, prima dell’arrivo delle mucche vanno rastrellati, puliti dai rami caduti in inverno; in autunno si raccolgono le foglie delle piante (che si usano poi per la lettiera degli animali in inverno), in estate si tagliano gli arbusti, si taglia l’erba dove le mucche non mangiano bene e si sfalcia il fieno. Insomma, i prati sono ricchi di erbe, di fiori, ma anche di azioni e tanta passione!”
Viola: “Il sapore dei miei prati è quello della primavera, dell’autunno, dell’inverno e dell’estate. Le stagioni giocano un ruolo fondamentale. Quando l’animale si nutre di ciò che madre natura gli mette a disposizione vuol dire semplicemente avere rispetto per ciò che ci circonda per noi stessi e per l’animale, che ci regala un latte eccezionale, (di cui siamo grati!) che attraverso la trasformazione a latte crudo ci restituisce tutta questa ricchezza su un piatto”.
Davide: “È sempre scontato dirlo ma i nostri prati sanno di Storia nel senso che abbiamo un disciplinare rigido che ci dice che nella gestione del pascolo non si può usare concimazioni chimiche da una vita e mezza non ci possono traseminare non si può frasare per cui veramente, soprattutto nei pascoli d’altura, abbiamo delle essenze e delle varietà che son qua probabilmente da 200/300 anni per cui il nostro è un formaggio che sa di Storia”.