Testo di Lydia Itoi (English version below)
Cari René e Team Noma,
Sono davvero passati 20 anni da quando tutto è iniziato? Dio, come eravate giovani. Lo eravamo tutti.
Nel 2003, l’ultimo anno dell’era BNN (Before New Nordic), mi sono trasferita in Finlandia e ho trovato soprattutto aringhe e patate, salsicce e birra. Nei supermercati tutto era prodotto e distribuito in serie. Mangiare bene significava andare in quella che lo scrittore americano di cucina Calvin Trillin ha soprannominato satiricamente La Maison de la Casa House. Avete presente? Come un franchising onnipresente di cucina continentale internazionale con aragosta e foie gras importati e tanto snobismo. A parte alcune specialità locali come la renna, i gamberi e i finferli, l’unico modo per sperimentare la vera cucina finlandese era quello di recarsi nelle foreste e di procurarsela da soli.
Il resto della regione nordica non era messo molto meglio. Il film Il pranzo di Babette del 1987 metteva in risalto il contrasto tra la spartana cucina danese e i piaceri sontuosi della cucina francese. Chiaramente, l’unico modo per mangiare bene nell’estremo Nord era fingere di essere altrove. Kong Hans Kælder ha conquistato la prima stella Michelin di Copenaghen con la sua cucina classica francese. In Svezia, il Bon Lloc di Matthias Dahlgren ha ottenuto la stella Michelin per la sua cucina di ispirazione catalana. Alcuni chef all’avanguardia servivano spume di mirtilli rossi sul pesce persico alla elBulli. Nel novembre 2003, hai aperto Noma in un magazzino portuale di 250 anni fa.
Nel novembre 2004, tu, Matthias Dahlgren e un gruppo eterogeneo di chef e altri vichinghi vi siete ispirati al New Basque Culinary Manifesto del 1973 per scrivere il vostro New Nordic Manifesto. Avrei voluto assistere all’epica (e probabilmente alimentata da akvavit) sessione in cui lo avete redatto. La nuova cucina nordica avrebbe messo in mostra prodotti locali artigianali e sostenibili, preparati in modo da combinare le tradizioni alimentari nordiche con tecniche culinarie all’avanguardia. Infine, il mondo avrebbe scoperto lo skyr, i tartufi di Gotland e il bue muschiato artico. Come una sorta di gruppo di sostegno culinario degli Alcolisti Anonimi, i firmatari del New Nordic Manifesto hanno giurato collettivamente di non essere più dipendenti da pomodori di serra, limoni importati e olio d’oliva. Grazie a Dio avete mantenuto vino e caffè nel menu. Eravate rivoluzionari, non anarchici del cazzo.
Quando mio marito Alberto ha organizzato un pranzo di lavoro al Noma nel 2005, avevate una stella Michelin, ma non molti commensali. Ricordi come ti arrabbiavi quando un tavolo di almeno sei persone disdiceva all’ultimo minuto? I danesi non capivano cosa steste servendo loro, che non era né tradizionale né di tendenza. “La balena puzzolente” era solo uno dei tanti soprannomi locali del Noma. Ad Alberto il pranzo piacque così tanto che ci tornò il giorno dopo. Mi disse che avrei dovuto scrivere di te. Ho chiamato il mio editore al TIME Magazine e ho ottenuto l’incarico. Il TIME non si occupa di recensioni di singoli ristoranti, ma dato che un manifesto firmato dimostrava che si trattava di un vero e proprio movimento, erano interessati a conoscere il New Nordic.
Quando sono atterrata a Copenaghen, all’inizio di febbraio 2006, c’era una troupe televisiva danese ad aspettarmi all’aeroporto. Avevano letto la mia e-mail al Consiglio dei ministri nordico in cui chiedevo loro un’intervista riguardo l’investimento di tre milioni di euro per promuovere la gastronomia New Nordic. Ero sorpresa che la stampa potesse leggere le e-mail del governo e loro erano sorpresi che una giornalista straniera volesse venire a Copenaghen per mangiare. Volevano seguirmi per vedere dove andavo. Quell’episodio nell’archivio delle notizie di DagsDato funge da introduzione virtuale al progetto New Nordic e da testimonianza storica dei primi tempi.
La telecamera ha girato ininterrottamente per i quattro giorni che ho trascorso al Noma. La telecamera girava quando mi hai presentato i tuoi fornitori, come lo straordinario agricoltore Søren Wiuff. La sua fattoria una volta era fatto solo di carote ordinarie, ma quel giorno abbiamo scavato nel terreno dei tuberi chiamati crosne (carciofi cinesi) che sembrano dita paffute ma hanno un sapore simile ai carciofi. La telecamera girava mentre i miei tacchi di Prada (le uniche scarpe che non sono state perse dalla compagnia aerea) bucavano i sentieri congelati della fattoria lattiero-casearia biodinamica di Niels Stokholme, dove 50 rare mucche di razza danese pascolavano sulle rovine di un antico altare a Thor. Quando il funzionario del Nordic Council che ho intervistato dichiarò che il New Nordic sarebbe diventato la prossima tendenza, sembrava più che inverosimile. Vent’anni dopo, con gli YouTubers che girano in tutti gli hotspot di Copenaghen che hanno aperto sulla vostra scia, sembra un’affermazione preveggente.
Oggi Copenaghen è una capitale gastronomica mondiale al pari di Parigi e Tokyo. Secondo i dati dell’ente del turismo, i viaggi a Copenaghen sono raddoppiati negli ultimi venti anni e il Noma deve essere una delle ragioni principali di questo boom. Copenaghen è ora piena di negozi di gastronomia e di bande di persone che si presentano all’Alchemist indossando le magliette “I’M A HUNGRY TOURIST”.
Ma soprattutto, avete ispirato gli chef di tutto il mondo a buttare via i loro libri di Escoffier e a cercare nei loro giardini e nelle loro tradizioni per creare le loro moderne cucine locali. È vero, a volte è un po’ strano vedere pelli di pecora e muschio sui tavoli in Spagna o in Corea, ma noi prendiamo ispirazione ovunque arrivi. L’ispirazione è anche una strada a doppio senso. Il Noma 2.0 non è più il purismo ideologico solo nordico dei primi tempi; ha abbracciato le tecniche e i sapori che avete imparato nei vostri viaggi in giro per il mondo. Quando fate un pop-up in Giappone o in Messico, non lo fate da turisti gastronomici. Vi immergete letteralmente nell’apprendimento di nuovi linguaggi culinari, facendo propri quei sapori stranieri.
IL NOMA CHIUDE!!! Così titolavano i giornali internazionali nel gennaio 2023. Abbiamo immediatamente prenotato un tavolo e un volo per Copenaghen: l’unica reazione razionale. Mi ritengo molto, molto fortunata. Sono fortunata di aver trovato un tavolo disponibile. Sui social media si leggono i lamenti di coloro che sanno che non potranno mai sperimentare il Noma se non sui social media. Sono fortunata che mio marito, Alberto, sia ossessionato dal cibo come me e che possiamo pagare 3.950DKK (530€) a persona, vino escluso, per un pasto Game and Forest meticolosamente preparato con le materie prime di campi e foreste. Ehi, i nostri figli sono ancora giovani e potrebbero non voler andare all’università, giusto? Carpe diem. Sono anche super fortunata perché dal 2005/2006 siamo stati molte volte al Noma e ai suoi vari pop-up a Londra, in Giappone e in Messico, godendo di una visione in prima fila del movimento New Nordic fin dai suoi inizi.
Mentre attraversavamo l’affollato aeroporto di Copenaghen nell’ottobre del 2023 diretti verso un’abbuffata di quattro giorni tra Restaurant Barr, The Alchemist, Noma e Kadeau, non ho potuto fare a meno di pensare a quale differenza abbiano fatto un paio di decenni, non solo per la scena gastronomica di Copenaghen, ma anche per la cucina globale e il modo in cui viene raccontata. Mi chiedo anche come sarà Copenaghen quando e se il Noma chiuderà. È questa, come ipotizzano i media internazionali, la fine dell’alta ristorazione?
René, sei stato attento a mettere la sostenibilità, la creatività e la salute mentale tra le massime priorità, anche se questo significa fare mea culpa in pubblico o sventrare il ristorante di tanto in tanto e ricominciare da capo. Sono felice che tu e la tua squadra abbiate realizzato tutto ciò che vi eravate prefissati e anche di più. Non ci sono riconoscimenti che il Noma non abbia ottenuto. Non è stato facile e sicuramente ci sono stati giorni in cui non ti piaceva quello che vedevi allo specchio. Grazie per la tua onestà e per aver riconosciuto la necessità di un cambiamento nella cultura gastronomica. La cui ricetta ha sempre previsto sangue, sudore e lacrime, ma la nuova visione dovrebbe aggiungere il rispetto per i produttori e i lavoratori, oltre che per il prodotto. Il cibo veramente buono è salutare per il corpo, la mente, l’anima e il pianeta e al Noma è sempre stato servito del grande cibo.
Per favore, continuate a guidare la strada verso un modo migliore di mangiare. Buon 2024, in attesa di vedere la nascita del Noma 3.0.
Con amore
Lydia
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Open letter to René Redzepi
Dear Rene and Team Noma,
Has it really been 20 years since it all began? God, you were young. We all were.
In 2003, the last year of the era BNN (Before New Nordic), I moved to Finland and found mainly herring and potatoes, sausages and beer. Everything in the supermarkets was mass produced and distributed. Fine dining meant going to what American food writer Calvin Trillin satirically dubbed La Maison de la Casa House. You know the one. Like a ubiquitous franchise, it serves international Continental Cuisine with imported lobster and foie gras and lots of snobbery. Except for a few local specialties like reindeer, crayfish and chanterelles, the only way to experience true Finnish cuisine was to go to the forests and bag it yourself.
The rest of the Nordic region was not much better. The 1987 film Babette´s Feast played up the contrast between spartan Danish cooking and the lavish pleasures of French cuisine. Clearly, the only way to eat well in the far North was to pretend you were somewhere else. Kong Hans Kælder won Copenhagen´s first Michelin star with its classic French cuisine. In Sweden, Matthias Dahlgren´s Bon Lloc won Michelin stars for Catalan-inspired food. A few avant-garde chefs were serving lingonberry foams over their pike perch a la elBulli. In November 2003, Noma opened in a 250-year-old dock warehouse.
In November 2004, you, Matthias Dahlgren, and a motley crew of chefs and other Vikings were inspired by the 1973 New Basque Culinary Manifesto to write your own Nordic Manifesto. I wish I could have witnessed that epic (and likely akvavit-fueled) session where you hammered it out. New Nordic cuisine would showcase artisanal, sustainable local products prepared in a way that combined traditional Nordic foodways with cutting-edge culinary technique. Finally, the world would discover skyr, Gotland truffles and Arctic musk ox. Like a kind of culinary AA support group, the New Nordic signatories collectively swore off their addiction to hothouse tomatoes, imported lemons and olive oil. Thank God you kept wine and coffee on the menu. You were revolutionaries, not fucking anarchists.
By the time my husband Alberto had a business lunch at Noma in 2005, you had a Michelin star but not that many diners. Do you remember how you used to freak out if a 6-top canceled their table at the last minute? Danish people didn´t understand what you were serving them, which was neither traditional nor trendy. “The Stinky Whale” was only one of Noma´s many colorful local nicknames. Alberto loved his lunch so much that he went back the next day. He said I should write about you. I called my editor at TIME Magazine and got the assignment. TIME is not in the business of individual restaurant reviews, but since a signed manifesto showed that it was a movement, they were interested in finding out about New Nordic.
When I landed in Copenhagen in early February 2006 there was a Danish TV news crew waiting for me at the airport. They had read my email to the Nordic Council of Ministers requesting an interview about its €3 million investment to promote New Nordic gastronomy. I was surprised the press could read government emails, and they were surprised that a foreign journalist wanted to come to Copenhagen to eat. They wanted to follow me to see where I went. That episode in the Dags Dato news archive serves as a virtual introduction of the New Nordic project as well as a historical record of the early days.
The camera was rolling nonstop for the four days I spent visiting Noma. The camera was rolling when you introduced me to your purveyors, like farmer extraordinaire Søren Wiuff. His farm was once just ordinary carrots, but that day we dug up curly crosnes that look like chubby fingers but taste something like artichokes. The camera was rolling as my Prada heels (the only shoes that were not lost by the airline) punched through the frozen cow pats of Niels Stokholme´s biodynamic dairy farm, where 50 rare heritage breed Danish cows grazed on the ruins of an ancient altar to Thor.
When the Nordic Council official I interviewed declared that New Nordic would become the next hot trend, it sounded more than a bit far-fetched. Twenty years later, with YouTubers filming in all the Copenhagen hotspots that have opened in your wake, it sounds prescient.
Today, Copenhagen is a world gastronomic capital to rival Paris and Tokyo. According to figures from the tourist board, travel to Copenhagen has doubled in the past 20 years, and Noma must be one of the biggest reasons for that boom. Copenhagen is now bursting with gourmet shops and gangs of people showing up at The Alchemist wearing “I´M A HUNGRY TOURIST” t-shirts.
More importantly, you have inspired chefs around the world to throw out their Escoffier and forage their own backyards and traditions to create their own modern local cuisines. True, sometimes it is a little weird to see sheepskins and moss on tables in Spain or Korea, but we´ll take inspiration wherever it comes. Inspiration is also a two-way street. Noma 2.0 is no longer the ideological only-Nordic purism of the early days; it embraced the techniques and flavors you have learned in your travels around the world. When you pop up in Japan or Mexico, it is not as another gastro tourist. You literally immerse yourself in learning new culinary languages, making those foreign flavors your own.
NOMA IS CLOSING!!! Blared international headlines in January 2023. We immediately booked a table and flights to Copenhagen – the only rational reaction. I count myself very, very lucky. I´m lucky a table was made available. Social media is groaning with the laments of those who know they will never get to experience noma except on social media. I’m lucky my husband, Alberto, is as food-obsessed as I am, and that we can pay 3,950DKK (530€) per person, not including wine, for a meticulously prepared wild meal from field and forest. Hey, our kids are still young and may not actually want to go to college, right? Carpe diem. I´m also super lucky that we have been at Noma and its various pop-ups in London, Japan, and Mexico many times since 2005/2006, enjoying a front-row seat view of the New Nordic movement from its early beginnings.
As we walked through the bustling Copenhagen airport in October 2023 on the way to a 4-day binge at Restaurant Barr, The Alchemist, Noma and Kadeau, I couldn’t help thinking what a difference a couple of decades had made, not just to the Copenhagen dining scene, but to global cuisine and the way it gets reported. I also wonder what Copenhagen will be like when and if Noma does close. Is this, as the international news media speculate, the end of fine dining?
René, you have been careful to put sustainability and creativity and mental health as your highest priority, even if it means public mea culpas or gutting your own restaurant from time to time and starting over. I´m happy that you have achieved everything you set out to achieve, and more. There are no accolades that Noma has not won. It has not been easy, and there were days you did not like what you saw in the mirror. Thank you for your honesty and for acknowledging the need for change in fine dining culture. The recipe has always called for blood, sweat, and tears, but the new vision should add respect for producers and workers as well as product. Truly great food is healthy for body, mind, soul and planet, and Noma has always been about great food.
Please keep leading the way to a better way to eat. Happy New Year 2024 and looking forward to seeing the birth of Noma 3.0.
Love
Lydia