Testo di Eugenio Signoroni
Foto di Mattia Mionetto, cortesia dell’Argine a Vencò
Bisogna arrivare fino al punto in cui l’Italia finisce per trovare una delle cucine più significative della nostra epoca. Quella di Antonia Klugmann è tra le espressioni più nitide di ciò che la scena italiana contemporanea può essere quando non ha paura di prendersi dei rischi e di seguire sentieri non già battuti. Quando sceglie di approfondire le potenzialità della materia e poggia su una tecnica impeccabile, ma non mostrata al commensale che nel piatto trova semplicità costruttiva e immediatezza gustativa.
La cucina dell’Argine è impossibile da incasellare. Non somiglia a nessun’altra. È una cucina di prodotto. Certo. Ma non nel senso più classico di questa formula oggi ormai abusata. L’obiettivo è quello di indagare gli ingredienti catalogandone gli elementi da preservare e che vale portare al palato quasi intatti e quelli che invece meritano di essere concentrati, evidenziati, rarefatti attraverso cotture, estrazioni, canditure, fermentazioni. È una cucina di sovrapposizione nella quale il legame tra gli ingredienti sembra reggersi su fili che mi ricordano quelli di una ragnatela, sottilissimi, quasi invisibili, eppure resistenti come poche altre cose al mondo; meravigliosi nel loro complesso minimalismo.
Una cucina personale che nasconde però tracce di tradizione e omaggi più o meno espliciti. Come l’impiego della frutta, che qui è facile condurre a una matrice mitteleuropea e che nella mente della Klugamm si sviluppa in una ricerca di aspetti meno evidenti e, per questo, più sorprendenti. O nel recupero di piatti classici della cucina italiana – i pisarei, i cannelloni, la panzanella – totalmente nuovi anche se pressoché identici alla fonte di ispirazione. Una cucina, infine, che, come in altre grandi interpretazioni contemporanee sceglie di abbandonare quasi del tutto la violenza del fuoco (punto di partenza, per contrasto, di altre notevoli declinazioni odierne), optando per un approccio di cottura più soffice, ma non per questo meno incisivo.
Venendo quindi ai piatti. Il pasto si apre con un Fico condito con una salsa di pomodoro dolce e acidula, profumata da diverse essenze. È solo l’inizio, ma già si intravede l’intero percorso: la centralità del vegetale e dei profumi, la tecnica sussurrata – il fico è cotto ma potrebbe tranquillamente essere crudo – l’equilibrio dei toni, la sottile intensità.
Poi il Cefalo confit, cotto dolcemente in olio e servito con tartufo nero e finferli in agrodolce è un piatto che porta il pesce in superficie per poi riportarlo in profondità stavolta terrene che ne amplificano la dolcezza e la consistenza, quasi callosa delle carni.
Le Cozze sono ormai un classico, servite con biete, elicriso e finocchietto. Un piatto luminoso e sapido, verticale nei toni verdi e lungo in quelli marini.
Quello che segue è il piatto più sorprendente della sequenza, arriva a questo punto del pasto, a chiudere la sequenza di mare, ma potrebbe tranquillamente giungere alla fine. Sei piccoli bocconi nei quali si sovrappongono Mou di pesca, scorza di arancia candita, bottarga e riccio di mare (raccolto in profondità da palombari), fiore di ruta e aglio nero. Una preparazione che mette in luce una sensibilità fuori dall’ordinario e mette in mostra la capacità infinita della Klugmann di tessere i fili di questa ragnatela gustativa che intrappola il nostro palato in un’esperienza dinamica nella quale una dopo l’altra si presentano diverse sfumature.
La Panzanella di kiwi è quasi un trompe-l’oeil gustativo, divertente, freschissimo e goloso. Un inno all’estate e l’esplicitazione più evidente dell’incredibile lavoro sulla frutta fatto da queste parti.
Il Cannellone di ricotta e ortiche è rassicurante e intenso. Una preparazione in cui è il ripieno a essere protagonista che l’involucro, nella sua trasparenza, ha il solo compito di contenere e aggiungendo un minimo di masticabilità. Quasi una riflessione sulla consistenza che torna nelle Lenticchie arrostite e affumicate con glassa di peperone e trifoglio, croccanti e sottili in un gioco di rimandi che, grazie a queste note intense di peperone e sottili di fumo, portano immediatamente ai gusti intensi dell’Est che qui appaiono più come un familiare borbottio di sottofondo. Come i Pisarei, conditi con crema di fagioli, pasta di nocciole e peperoncino e origano. Rassicuranti e sorprendenti.
Il Raviolo al pomodoro è un omaggio a Pierangelini e, come tale, è un piatto nitido, dove le note del pomodoro, tutte, si susseguono boccone dopo boccone, amplificate dall’acqua del frutto e dalla presenza, di nuovo, eterea della pasta. Un piatto millimetrico nella composizione, ma ricchissimo nella restituzione di sapori.
Infine, quello che appare un ricordo di Trieste e dei suoi bufffet, una Pancetta di maiale bollita profumata di rosmarino e liquirizia e servita con radicchio rosso leggermente arrostito e sott’aceto.
I dolci per chiudere, un perfetto Gelato al fiordilatte, con miele, brodo di tarassaco ed erbe del giardino, una sorta di camminata gustativa intorno al ristorante e poi pera e latte di avena, un finale coerente con il percorso, misurato nella dolcezza affidata quasi totalmente alla naturalità dei suoi elementi costitutivi.
PS: Fuori carta e per la più piccola commensale al tavolo sono arrivati anche dei Fusilli al pomodoro. E sapete come si dice no?! La grandezza di un cuoco si misura dalla pasta al pomodoro… non credo di dover aggiungere altro.
L’Argine a Vencò
Località Vencò
34070 Dolegna del Collio (GO)
Tel: +39 350 521 2804
www.largineavenco.it