Testo di Ilaria Mazzarella
Foto di Andrea di Lorenzo
Mi emoziono sempre un po’ quando siedo a una tavola che ha una storia interessante. Perché il vissuto delle persone, che si annida come un filo nella trama tra quotidiane vittorie e sconfitte, continua a fare capolino. Sminuito se spiegato a parole, si coglie nei gesti, nell’approccio e nelle libere scelte. Niente di più profondo per entrare in sintonia. C’è un je ne sais quoi dietro a un uomo e una donna che nel fiore degli anni, senza essere abili giocatori d’azzardo, scommettono sulla partita della vita cavalcando l’entusiasmo giovanile dell’all-in. Per vincere il piatto o tornare a casa, no-way. Senio da Siena ed Elisa da Rimini si incontrano senza più lasciarsi, a metà strada tra cucina e sala, al Povero Diavolo, allora regno di Riccardo Agostini. Prima di spiegare le ali e spiccare il volo li attende una breve parentesi sudamericana, che segue le esperienze in cucina di Senio marcate da andature differenti, più statica in Casa Vissani e più frenetica nella brigata di Agostini che ha seguito, dopo Vissani e il Povero Diavolo, anche a Pennabilli al Piastrino. Nei locali della scuola di cucina de La Bottega del 30, in quella che anni prima era una stalla di asini, Senio trova finalmente la dimora per iniziare la propria attività con Elisa.
Un assolo caratterizzato dal proprio passo. Si rimboccano le maniche per ambientarsi in quel di Villa a Sesta, frazione di Castelnuovo Berardenga, comune periferico più in disparte del canonico percorso turistico chiantigiano. Una contrada che a oggi possiede un primato di eccellenza in rapporto a ristorazione fine-dining e densità di popolazione, ovvero due ristoranti stellati a fronte di soli sessanta abitanti. Ma procediamo con ordine. Dicevo, siamo in provincia di Siena, anche se molti senesi ne ignorano l’esistenza. La perplessità degli amici che scoraggiano la coppia a rischiare rende la decisione più sofferta. Eppure risponde lei, quella sana cocciutaggine, con una sonora pernacchia. Senio ed Elisa, non con poche difficoltà, trasformano il cantiere in un ristorante nel 2011. Così testardi da scegliere di chiamare la loro creatura nascente l’Asinello. Perché il mulo, o come in questo caso l’asino, è un animale sì testardo, ma soprattutto perseverante.
Si parte in prima, si mette la seconda ma quando arriva il momento di ingranare la terza ci si ferma un attimo, si fa un po’ di retromarcia. Il percorso è in salita, molto tortuoso, reso ancor più ripido dall’arrivo della prima figlia della coppia, a cui seguirà il secondo appena due anni più tardi. I clienti affezionati – che alla prima cena di Natale regalano una sedia ciascuno all’Asinello, con tanto di dedica, sedie che sono ancora lì a ricordare “da dove siamo partiti” – seguono negli anni le piccole evoluzioni, l’assestamento, l’interconnessione sempre più intensa con il territorio e la cucina che prende via via maggiore consapevolezza. Elisa orchestra con eleganza discreta la sala, fatta di diversi ambienti piuttosto raccolti, la chef’s table di fronte alla cucina spaziosa e un curato dehors per godere delle stagioni miti. I formalismi estremi lasciano spazio a un rapporto diretto e sincero con il commensale.
Senio muove i fili della sua cucina con una sobria creatività, con accostamenti che non cercano di stupire, ma piuttosto di incontrare gusti e aspettative di una clientela che continua a tornare negli anni. Che continua a fidarsi di un menu di quattro o cinque portate al buio con la sicurezza di trovare sempre i pilastri della cucina tradizionale toscana declinata in ottime proposte e materia prima genuina proveniente dai fornitori locali.
La partenza è di una semplicità commovente, prosciutto crudo toscano di Lorenzo Chini tagliato a mano, un maiale grigio allevato allo stato brado stagionato sedici mesi, accompagnato da grissini e taralli fatti in casa. Carne e sapori terragni non tardano a imporsi nella tavola, come nella saporita Zuppa di funghi e vitello; ma soprattutto la selvaggina, regina indiscussa del menu e proveniente da una rete di cacciagione certificata, Chianti Wild, che convince piatto dopo piatto, dalla divina Quaglia, albicocche e foie gras, al Daino cotto magistralmente e servito con ribes e friggitelli fino al Piccione di Laura Peri con datteri e cacao.
Selvaggina che non manca di essere presente nella pasta, per lo più fresca, con le Pappardelle con ragù di lepre al coltello e il Raviolo di faraona in umido con zucchine e maggiorana. Le verdure provengono da La Scoscesa di Lorenzo Costa, azienda agricola a Gaiole in Chianti progettata in permacultura. La carta dei vini, ampia ma non dispersiva, in rigoroso ordine di distanza dall’Asinello, strizza l’occhio ai naturali.
A quasi dieci anni dall’apertura, lo scorso anno il riconoscimento che consolida un percorso di sacrifici e sfide raccolte, e vinte. Con la stella Michelin, non agognata ma certamente ben accolta, coronano il loro sogno, insegnandoci che forse la fortuna è dei principianti solo alla prima mano, che dopo occorre faticare, senza inutili bluff, armati di sorriso e buona volontà. Oggi Senio Venturi e sua moglie Elisa Bianchini, ideatori tra le altre cose anche di un divertente “Festival del mangiar con le mani”, Dit’Unto, giunto all’ottava edizione (quest’anno per la prima volta salterà causa Covid), hanno raggiunto il nirvana e ne offrono un angolo a chi sceglie di accomodarsi alla loro tavola in una delle tante sedie (diverse) della loro calorosa casa.
Via Nuova, 6 – Località Villa a Sesta
Castelnuovo Berardenga (SI)
Tel: + 39 0577 359279