Testo e foto di Luca Martinelli – foto di copertina cortesia di Maurizio Carucci
L’Alta Val Borbera si allarga davanti agli occhi superate le Strette di Pertuso e in un’assolata mattina di dicembre il colore verde domina il campo visivo. Questo lembo di Appennino al confine tra Piemonte e Liguria appare oltre il profondo canyon scavato dal corso del fiume Borbera e per chi vi arriva la prima volta può sembrare un miraggio: la valle non è chiusa, e da qui si possono raggiungere Genova (lungo la Val Trebbia, o passando per Carrega Ligure), Tortona (attraversando la Val Curone) e Bobbio, nel piacentino. L’Alta Val Borbera è da sempre un punto di passaggio, attraversata dalle vie del Sale tra la Pianura Padana e il Mar Ligure.
“Martina e io siamo arrivati qui una decina di anni fa per realizzare il nostro sogno, un progetto agricolo che incidesse sul territorio, un territorio montano, appenninico” racconta Maurizio Carucci, contadino, vignaiolo e cantautore degli Ex-Otago. “Entrambi siamo originari di Genova, io del quartiere Marassi, lei di Sampierdarena. Prima di arrivare in Val Borbera avevo lavorato per sei/sette anni in Valle Scrivia, sempre nell’alessandrino, in un’azienda agricola dove allevavamo pecore, facevamo formaggio e gestivamo un bell’agriturismo. In quegli anni ho militato in molte organizzazioni contadine, dal Consorzio della Quarantina alla Rete Semi Rurali, all’ASCI (Associazione Solidarietà Campagna Italiana)” spiega Maurizio che ha sviluppato, grazie alla militanza, l’idea che il contadino è un attore politico. Dieci anni fa dove oggi ci sono la cantina e il grande salone collettivo con una vetrata aperta sulla valle, con cucina e tavolo sociale, stufa a legna e pianoforte, adatto per degustazioni e incontri, c’erano solo ruderi; oggi questo è il cuore di Cascina Barbàn, un’azienda agricola gestita da un collettivo di quattro persone: oltre a Maurizio e alla compagna Martina (Panarese) oggi con loro ci sono Pietro Ravazzolo e Maria Lúz Principe, che si sono trasferiti in valle con i figli Matilde e Pablo. “Cercavamo da un po’, in tutto l’entroterra ligure, quando un amico ci ha detto di venire a dare un’occhiata. Siamo arrivati e abbiamo visto un agglomerato di rovine, bellissimo, ben esposto al sole e con una piana e un piccolo ruscello permanente” dice Maurizio. “Era una follia, perché non c’era acqua, non c’era luce, non c’era una strada. Erano solo pietre”.
Per acquistare la metà di quei sassi, grazie a un finanziamento di Banca Etica, Maurizio e Martina devono convincere una trentina di proprietari: “Questo dà conto di uno dei problemi più forti del nostro Appennino, l’estrema parcellizzazione della proprietà fondiaria, che rende quasi impossibile immaginare di fare il contadino” dice lui. Quelle pietre portavano con sé un toponimo singolare: siamo alle “Cantine di Figino”, sotto il paese di Figino, frazione di Albera Ligure (AL). “Qua si è sempre fatto vino, e fino agli anni Cinquanta in Alta Val Borbera c’erano oltre 60 ettari vitati. Siamo partiti coltivando ortaggi, come la fagiolana bianca di Figino, e mele tra cui la varietà Carla, ma la proprietà includeva anche dei vecchi vigneti, gli ultimi della valle”. Mentre camminiamo tra i sentieri intorno alla Cascina Barbàn, Martina e Maurizio mostrano tralci centenari che ancora sopravvivono soffocati dalla vegetazione. Le loro vigne vecchie invece le hanno recuperate, e oggi producono il vino di punta dell’azienda, il Barbàn.
“Tra i filari ci sono più di venti diverse varietà. Abbiamo capito da subito che sono un patrimonio, anche se da molti vengono viste con una sorta di compassione” spiegano Martina e Maurizio. Non sono un gioco, però, come dimostra il foglio che mi mettono davanti, frutto di un lavoro di ricerca condiviso con il vignaiolo Andrea Tacchella – che nel 2014 qui vicino a Sisola ha avviato la sua cantina, Nebraie – e con l’ampelografo del CNR Stefano Raimondi: è un (primo) elenco dei “vitigni coltivati in Val Borbera (alta)”, e tra i pochi nomi conosciuti – barbera, timorasso – ce ne sono anche tanti assolutamente nuovi, dal nibiö al mostarino (che Cascina Barbàn vinifica già) dal moscato nero al neretto di Marengo, passando per la durasa e la lambrusca di Alessandria. Le vigne vecchie sul sito di Cascina Barbàn vengono descritte come “una grande giostra, un circo di biodiversità, praticamente un miracolo dei giorni nostri”. Gli ettari vitati oggi sono quattro, i nuovi impianti si realizzano a partire dal recupero della genetica delle viti già presenti in azienda.
Un circo che torna nei vini, nel Barbàn, nel Mostarino e nell’Albera (i tre rossi), nel Boffalora e nel Pian del Tè (i due bianchi) di Cascina Barbàn. L’ultimo è un timorasso in purezza, vinificato con una lunga macerazione sulle bucce, gli altri sono uvaggi, che nel caso del Barbàn nascono già in vigna. L’agricoltura è biologica, la vigna è lavorata a mano, la vinificazione non è altro che trasformazione dell’uva raccolta, non si aggiungono nemmeno solfiti. “Siamo in Appennino, chiusi da montagne che raggiungono i 1.700 metri d’altezza in cima al Monte Ebro, tra la Val Borbera e la Val Curone. Anche qui a 500 metri d’inverno la temperatura scende a meno dieci e ci sono sbalzi termici notevoli. Questo fa sì che i nostri vini siano più delicati, più fini, con gradazioni alcoliche più basse, che superano raramente i tredici gradi” racconta Maurizio Carucci. I vini della Val Borbera rientrano nell’area DOC dei Colli Tortonesi, e chi rivendica la denominazione (come la cantina di Ezio Poggio) può indicare in etichetta la sottozona Terre di Libarna. La differenza tra le due aree però è significativa: “Là sentono di più la Pianura Padana, le estati sono calde e umide. Da qui ai colli ci sono almeno venti giorni” sottolinea Maurizio, e intende dire che l’uva è matura e pronta per la raccolta tre settimane dopo.
A metà novembre del 2019 i vini di Cascina Barbàn sono stati presentati al pubblico insieme a quelli degli altri vignaioli della Val Borbera, nel corso di una serata presso la Foresteria La Merlina di Dernice (AL). Titolo: Bevi la Val Borbera. Obiettivo, ambizioso: ricucire la storia enologica di questo territorio appenninico. “Un evento doveroso” racconta su Facebook l’associazione Oltre le Strette, che ha organizzato la cena ed è formata da un gruppo di abitanti della Val Borbera che partendo da formazione, esperienze e percorsi in campi diversi desiderano mettere in comune i loro saperi e i loro talenti per diventare uno stimolo e un fermento nel territorio. “Abbiamo ancora un sogno, una filiera legata al grano di varietà tradizionali e alla produzione di un pane, il Borberino. Sono in molti in valle a coltivare cereali e a Cabella Ligure (AL) c’è un panificio che nasce per trasformarli. Come racconta Maurizio: “crediamo sia importante sviluppare filiere ‘che nutrono’ che portino a far riconoscere l’identità di questo territorio, che può essere legata a cibo e vino di qualità. L’innesco di processi, tuttavia, non è semplice”. Nel primo fine settimana di luglio Cascina Barbàn ospita il Boscadrà, un festival per parlare di agricoltura e fare cultura. “Nel 2020 parleremo di ‘vino e vitigni’, il lavoro che stiamo facendo. Negli anni abbiamo affrontato i temi della panificazione con la pasta madre, della trazione animale, lavorando la terra con i nostri asini. Nel 2019 solo il sabato sono arrivate mille persone. Portiamo gente a conoscere questo territorio: anche questo per noi significa lavorare per lo sviluppo della valle”.
Non tutti, però, si mostrano solidali nei confronti dei nuovi abitanti: “Sappiamo che l’unico modo per provare a stare in montagna è farlo in una maniera parzialmente inedita, portando qui molta città, intesa come reti e relazioni. Prevalgono in alcuni sentimenti di vergogna, di invidia. Questo fa nascere barriere: questa valle è stata abbandonata, pochissimi ci hanno creduto, e arriviamo noi, dalla città, e vogliamo viverci e anche bene. C’è anche fastidio: per alcuni la campagna è ancora il modello dei padri e dei nonni, 4 vacche, 15 quintali di grano, e questo nuovo modo di vivere l’Appennino, di cui non abbiamo l’esclusiva, mettendo al centro la questione della biodiversità, non riescono a capirlo del tutto” spiega Carucci.
Anche Andrea Tacchella dell’azienda agricola Nebraie è nuovo in valle, anche se il suo è un ritorno. La famiglia era originaria di Sisola. Lui nel 2015, a 35 anni, ha lasciato un lavoro a Milano, come commerciale, ha acquistato dei terreni che insieme a quelli del papà e del nonno oggi ospitano il suo vigneto di timorasso. Nelle foto d’epoca la spalla della collina che ospita i suoi filari era tutta vigne. Oggi la sua proprietà confina con quella dell’azienda agricola Sassobraglia, di proprietà di Fabio Cogo, che dalla primavera del 2019 è anche sindaco di Rocchetta Ligure (AL). “È difficile convincere gli abitanti della Val Borbera a sperimentare cose nuove, c’è molta chiusura” spiega. Di fronte alle vigne di Andrea Tacchella e di Fabio Cogo, Stefano Uggioni ha piantato un ettaro di timorasso a 800 metri, nel territorio di Roccaforte Ligure (AV). Ha 56 anni, e da oltre quaranta un laboratorio artigiano di finestre in alluminio. “Sono originario di Genova, vivo qua avendo sposato una ragazza di Roccaforte. Non tornerei in città” racconta. Sta ristrutturando una parte della abitazione della famiglia della moglie, per ricavare la propria cantina. Tutta la Val Borbera può tornare a parlare la lingua del vino, e anche quella del Pop, che è la preferita da Maurizio Carucci. “L’Appennino, in questo momento, a livello storico-economico e sociale, potrebbe svolgere un ruolo di fermento, utile a tracciare nuove strade di fronte a quelle interrotte, in quest’epoca un po’ turbolenta, con le fabbriche ormai chiuse e uno spaesamento collettivo” racconta. Nel 2020 uscirà il documentario AppenninoPOP. Viaggio in Val Borbera tra vini, temporali e rivoluzioni possibili. Maurizio lo sta realizzando insieme a Elisa Brivio (producer e co-autrice), Cosimo Bruzzese (regista) ed Eugenio Soliani (social media manager): “Voglio raccontare questo lembo di terra, e con questo l’Appennino, di cui la gente ha un’idea non proprio aderente alla realtà. L’Appennino deve tornare a essere contemporaneo. L’Appennino è un’opportunità, uno spazio che può permettere, a chi lo desidera, di ricominciare da capo, da un bianco, un punto neutro. Oggi per la prima volta l’essere umano si trova dinanzi a questa possibilità: vivere una vita rurale, contadina, ma connessi al mondo, grazie alla tecnologia”.
La storia di Cascina Barbàn, in anteprima su Cook_inc. è una di quelle raccolte da Luca Martinelli nel libro “L’Italia è bella dentro”, in uscita a fine gennaio per Altreconomia edizioni. La presentazione del libro è a questo link.
Cascina Barbàn
Loc. Le Cantine di Figino
15060 Figino (AL)
Tel: +39 347 8364991
www.cascinabarban.com