Testo di Letizia Gobio Casali
Foto cortesia di Alfio Ghezzi
“È quando non sai e non conosci che si generano le condizioni per progredire. Trovare il senso implica seguire una direzione, andare avanti dove prima non ti saresti spinto. Ma evoca anche la sensorialità, il piacere di lasciarsi guidare dai sensi”. Così Alfio Ghezzi, chef di Senso, ristorante stellato inaugurato nel 2019 all’interno del museo Mart di Rovereto, chiarisce perché ha battezzato così il suo locale. Un nome scaturito sotto la suggestione di un video di un base jumper norvegese, intitolato The sense of flying, che nello chef ha suscitato l’idea che la libertà si attivi nell’incertezza, la creatività nella mancanza di effetti speciali, la coerenza nella sperimentazione. La cucina dello chef, infatti, è simile a quel volo in parapendio che lo chef pratica, e che implica l’abilità di sorvolare un territorio cogliendone e riconsegnandole le specificità, ovvero le ricchezze e i tesori, ma anche le asperità e i limiti. Dalla morfologia delle native montagne, che proteggono ma al contempo rinchiudono un contesto geografico, Ghezzi sostiene di aver appreso il senso del limite.
E infatti il suo menu si compone di scelte nette, improntate più alla voluta selettività che all’inclusione di ingredienti, tecniche, portate. Tanto per cominciare il menu è uno solo: un crescendo di intensità in cui agli antipasti, che evocano subito il territorio e le tradizioni locali, con portate “tipiche” (ma sapientemente rivisitate) come polenta, funghi e patate, o raviolo di mele e mortandela cotta nel vino, come si usava alle fiere paesane, subentrano 2 primi (nel caso di chi scrive un riso e una pasta). Seguono 3 secondi (qui si tratta di scegliere tra bovino, profezeni (un piatto con pane fritto e cervella) e una portata a base di castelmagno) e un pane da condividere, accompagnato da burro di malga, posizionato qui “per non farne mangiare troppo all’inizio del pasto”. Si conclude con un dolce.
Eppure, per quanto il mono-menu possa apparire come un’imposizione e un limite, non solo gli stimoli sensoriali sono moltissimi, ma la severità delle esclusioni determina una serie di portate dal valore aggiunto. Infatti, come ci ricorda lo chef “poiché l’offerta di pochi piatti elimina la necessità di avere un magazzino o di abbattere e trasformare un elevato numero di ingredienti, sono volutamente eliminate le complicazioni tecniche”. L’obiettivo è di rendere piatti in cui le materie prime siano il più riconoscibili possibile”. Riconoscibili non significa però non reinventate, come avviene nei fiocchi di trota o nei germogli di lenticchie, bensì intense, essenziali, primigenie.
Per converso, la semplicità del richiamo alla tradizione e alla tipicità dei piatti non si traduce in un’edizione di lusso di piatti tipici perché Ghezzi distingue tra l’ossequio formale alla consuetudine e il rispetto filologico dello spirito della ricetta. In primo luogo, tutti gli ingredienti sono di provenienza locali e di produttori conosciuti perché spesso, imitando le ricette tradizionali con surrogati economici provenienti da altri luoghi, “la tradizione non è rispettosa del territorio”, spiega Ghezzi, riprendendo un’affermazione di Bottura. In questa linea si inserisce anche l’inserzione di sottaceti nel menu, che appartiene alla cultura contadina di vaste aree del mondo. Il cui uso, però, lo chef lo ha riscoperto al Geranium, tristellato ristorante di Copenhagen, dove Ghezzi, già titolare di due stelle Michelin alla Locanda Margon di Trento, ha voluto rimettersi a “imparare” ripartendo dal ruolo di ordinario stagista (ed è poi stato riconosciuto da due colleghe). Per il piatto Finocchio e trota, per esempio, lo chef si è appropriato dell’intera produzione di finocchi di un agricoltore locale, e l’ha messa in vaso, prima che nel menu.
Questo perché “l’antica usanza di conservare il più a lungo possibile gli alimenti, che oggi associamo ai vasetti scadenti di pickles dei supermercati, non era un modo di integrare gli scarti della produzione, bensì di prolungare la vita delle parti migliori e più pregiate, utilizzando il modo di conservazione più naturale possibile, come la fermentazione o la conserva in aceto o nel grasso”, racconta Ghezzi dopo averci mostrato un apparecchio appena arrivato in cucina e destinato a produrre succhi e conserve per ridurre ancora di più gli scarti vegetali. Da Senso anche i ritagli di carne finiscono sotto forma di salumi, a proseguire l’opera antispreco, e non si trova l’insalata d’inverno, rimpiazzata da carciofi e cavolfiori. Ma anche se dal collega Ettore Bocchia, geniale innovatore al Mistral di Villa Serbelloni (Bellagio), Ghezzi ha derivato l’attenzione al prodotto migliore e alla filiera verificata, per lui la sostenibilità non dev’essere un’imposizione assoluta, bensì un’inclinazione sempre perfezionata. “Essere coerenti significa farsi guidare da un valore, non essere fondamentalisti. Non sempre la consapevolezza si sviluppa seguendo una linea retta, ma può prevedere inversioni e volute, come un tornante della montagna dove, non a caso, sono nato”.
Per lo chef montanaro, ma anche per l’esperto di parapendio, l’avanzare richiede rispetto e coraggio perché occorre coniugare flessibilità e lucidità, adattarsi alle circostanze, ma anche sapere sfruttare le opportunità quando si presentano. Dopo essere passato dagli studi universitari all’insegnamento delle tecniche di cucina, aver guadagnato i blasoni della Michelin e ricominciato da capo nelle cucine di grandi chef, Ghezzi è arrivato a elaborare un pensiero logico, ma non dogmatico, con la curiosità di chi sa che, viste con la giusta prospettiva, le cose vicine possono essere altrettanto interessanti di quelle più lontane. Per questo il suo menu non suggerisce la chiusura in un localismo doc bensì lo sguardo di chi sa cogliere il bello dove non te lo aspetteresti. E lo trasmette creando nuove relazioni spaziali e temporali. Se è vero che “il cuoco è un artista dell’effimero”, la cucina di Senso rispecchia la libertà creativa dello chef insieme all’abilità della replicazione continua. Come se fosse in parapendio, Ghezzi cucina avanzando secondo regole precise, ma inventando ogni volta un nuovo tracciato, sconfinando per poi tornare a casa. Il menu è un percorso, sicuramente originale e segnato da una forte personalità, che emoziona il cliente e lo trascina idealmente in volo sul territorio, alla scoperta dei suoi tesori stagionali, ma rinnovati e ritrovati nella loro purezza, come se li si assaggiasse per prima volta. E in un certo Senso, è proprio così.
Senso Alfio Ghezzi
Mart Hotel
Corso Bettini 43
38068 Rovereto (TN)
www.alfioghezzi.com