Testo di Cristina Ropa
Foto cortesia di Dinner, please!
Illustrazioni di Virginia Giurlani
Di necessità virtù o non tutto il male viene per nuocere potrebbero essere i detti, tradizionali, che cascherebbero a fagiolo nel descrivere come sia uscita dalle nostre menti, e naturalmente dai nostri cuori, questa nuova serie pensata per ispirarci e per ispirare in questo momento davvero atipico. Tant’è che in seconda battuta abbiamo dedotto che una serie così forse sarebbe uscita comunque visto il valore culturale e storico che rappresenta. In ouverture vedrei dunque ancora meglio una semplice e diretta riflessione: quando tutto è stravolto, quando una crisi, un dolore improvviso spazza via progetti di lavoro, di vita, di tutto, quando del domani non vi è certezza, cosa può tenerti ancorato al presente se non la tua identità, le tue personali e uniche radici, il sentirti appartenente a qualcosa? E capiamoci. Possono essere radici anche strappate, possono essere anche fluttuanti nel vento come quelle delle orchidee, come per chi sente che la casa è nel proprio cuore a prescindere dalle pareti che ha intorno a sé.
Di certo sappiamo che ognuno e ognuna di noi le possiede. Single, sposa o sposo con prole al seguito, famiglie allargate, mixate, reinventate… ovunque e con chiunque siamo, queste radici esistono, pulsano e parlano. Se impariamo ad ascoltarle, avranno tanto da dire. E allora va da sé che per scoprirle e valorizzarle dobbiamo passare dalla conoscenza del luogo in cui siamo nati, dal luogo o dai luoghi in cui siamo cresciuti, in cui abbiamo deciso di vivere, in cui siamo. Da questo processo emergono ricordi, a volte piacevoli, a volte dolorosi. Lettere, foto, regali. E spesso appaiono indelebili e vivi quelli legati ai sensi. Odori, sapori fanno da padroni nelle nostre memorie di ieri e di oggi. Perché? Pensiamo alla gioia culinaria di un luogo, quella gioia che riunisce, che scalda i cuori, che fa sorridere. You’ll never Forget it. E così per sentire questo senso di appartenenza forse un pò la stiamo ricercando in questi giorni, non è vero?
Quella indimenticabile gioia della tavola. Le cucine stanno tornando a essere il luogo più abitato della casa per molte persone italiane, francesi, inglesi… Il cibo è una certezza in tutto il mondo. Come poter vivere senza mangiare? Il cibo è vita. Nutre, consola, rallegra. Sia farlo che mangiarlo. Da cittadini del mondo quali siamo questa volta abbiamo deciso di scavare nelle radici autoctone di una zona del nostro stivale che custodisce perle di rara bellezza e qualità. Parlo della zona emiliana dove la pasta fresca ne è la Regina sovrana. Bando alle ciance, alle idee preconcette, a tutto quello che pensavamo di sapere, lasciamo la parola a chi di codesta sopraffina arte ne sa da un bel po’. Sono loro, le nostre eroine della pasta artigianale realizzata con sapienza, grazia e tanta bontà. Le uniche, inimitabili, sagge e preziose, sfogline.
Per questa prima intervista mettiamo sul tagliere la storia delle sorelle Daniela e Monica Venturi, proprietarie de Le Sfogline, storico negozio di pasta fresca presente a Bologna in via Belvedere da 24 anni, le cui origini però affondano in un passato ancor più lontano. Con Daniela, durante un’arricchente chiacchierata, ci siamo tuffati in un flusso di emozionanti ricordi, tradizioni, riflessioni storiche, culturali e immancabili gustose ricette.
Quando e come avete imparato la tradizione della pasta fatta in casa?
Tutto iniziò con nostra nonna, fu lei a insegnarci. Viveva con noi e trascorreva la stragrande maggioranza della giornata in cucina dove ogni giorno puntualmente faceva la sfoglia. Noi eravamo piccoline, avremmo avuto 5 anni. Il taglio della tagliatella o del maltagliato non ci era permesso farlo perché pericoloso ma gli strichetti, chiudere i tortelloni e tortellini sì. Iniziammo da questo e imparammo tutto. Ci mettevamo in ginocchio sulla sedia per arrivare al tavolo, era come un gioco per noi. Il tavolo era di marmo e sotto c’era il porta tagliere con il porta matterello, un classico dell’epoca. Facevamo tanti strichetti, una pasta facile da realizzare, deliziosa da vedere e squisita da mangiare. Il tortellino invece è più complesso. Richiedeva così tanto tempo e attenzione che era veramente considerato il piatto della festa o delle occasioni speciali.
Qual è la filosofia del vostro negozio?
Per noi i clienti sono ospiti da invitare a pranzo o a cena nel senso che desideriamo riceverli con lo stesso pathos con cui riceviamo i membri della nostra famiglia quando ci riuniamo. Per noi quindi non è un negozio ma un luogo in cui accogliere, vivere il piacere di ritrovarsi con tante persone affinché possano assaggiare le tradizioni che la nostra famiglia ci ha tramandato.
Oltre a proporre una realtà lavorativa come la vostra come si può preservare e tramandare una tradizione?
Attenendoci sempre alle ricette tradizionali ed educando all’alimentazione le nuove generazioni. Se fin da piccolo ti abituano a mangiare bene sarà un qualcosa che poi ricercherai per tutta la vita. Questo sicuramente porterà avanti la tradizione. Se sei abituato a mangiare fast food invece difficilmente affinerai il palato.
Quali sono gli ingredienti segreti che rendono la vostra pasta così tanto amata?
In Emilia, dove la tradizione è secolare, ci sono delle materie prime straordinarie. Questo fa la differenza. Per fare una buona sfoglia occorre della buona farina di grano tenero 00, con un grado di raffinatezza che ti permetta di fare sfoglie elastiche. Altro ingrediente fondamentale sono le uova. Noi le acquistiamo nella nostra zona di Bologna dove la sfoglia è il must e dove ci sono allevatori di galline che dannomais come mangime. Questo rende il tuorlo parecchio giallo e rende irripetibile il risultato.
E per i tortellini che ricetta seguite?
Il tortellino risale al 1325 e a esso sono legate tante leggende. Questa data permette di capire quanto sia veramente radicato nelle nostre tradizioni. Il tortellino è un piccolo gioiello di 3-4 grammi e in esso vi sono racchiuse le eccellenze di Bologna. C’è il lombo di maiale, la mortadella, il crudo, il Parmigiano Reggiano, il top della nostra città. Il 7 dicembre del 1974 è stata depositata la ricetta ufficiale alla Camera di Commercio. Fu una specie di concorso indetto dal quotidiano Il Resto del Carlino a cui parteciparono varie signore bolognesi. Vinse il ripieno di Maria Lanzoni Grimaldi che è la ricetta che usiamo anche noi. Tre etti di crudo, per noi è ottimo quello di Parma; tre etti di mortadella, in questo caso per noi l’eccellenza è la Felsineo; per quanto riguarda il Parmigiano Reggiano nella ricetta non vengono indicati i mesi di stagionatura ma sicuramente è importante che sia di almeno 24 mesi. Di questo ne servono 4,5 etti. Noi invece usiamo quello stagionato dai 30 ai 36 mesi e quindi la dose va ridotta, 3 etti sono sufficienti. Poi vanno messe le uova, la noce moscata e pochissimo sale essendo già tutti gli altri ingredienti molto saporiti. Alla Camera di Commercio si trova anche la Misura Aurea della tagliatella. Simbolicamente la tradizione narra che rappresentasse i biondi capelli di Lucrezia Borgia. Quando è cotta deve essere 8 mm.
A oggi la pasta fresca sta ritornando come passione casalinga. C’è stato però un grande cambiamento rispetto al passato soprattutto per quanto riguarda il ruolo della donna nell’ambiente domestico. Lei che opinione si è fatta a riguardo?
A Bologna prima della rivoluzione femminista, una donna che non sapeva fare la sfoglia in casa aveva poche possibilità di sposarsi. Inoltre era un’usanza che faceva parte dell’economia domestica della famiglia. Potevi realizzare piatti squisiti, molto nutrienti e a basso costo. Dal ’68 in poi si è diffuso il pensiero femminista che fare determinate cose in casa era come sminuire la figura della donna. L’atto di rimanere a casa e fare la casalinga era visto come altamente restrittivo e quindi, in un momento di massima emancipazione, detestato. Ora che c’è stata un’evoluzione del femminismo e della società si è rientrati a una più equilibrata interpretazione della figura della donna. Stiamo assistendo quindi a un recupero della tradizione di fare la pasta in casa. Per molti bolognesi però queste tradizioni ci sono sempre state. Se non per forza facendo la pasta da soli perché il tempo è meno ma almeno onorando la tradizione comprando in botteghe come la nostra.
Le tradizioni della pasta fresca che memorie rievocano negli abitanti autoctoni della città?
Chi fu bambino all’epoca ha tanti ricordi olfattivi. Quando entravi in casa venivi avvolta da questi profumi meravigliosi. L’odore del brodo, del ragù, del friggione. La tradizione classica bolognese è quella del brodo la domenica. Anche con 50 gradi all’ombra. La settimana veniva definita dalle tradizioni gastronomiche che scandivano ogni giorno: c’era il giorno degli gnocchi, il giorno della pasta e fagioli, e la domenica i tortellini in brodo o la zuppa imperiale o i passatelli. Questa era una cosa rassicurante perché mentre eri a scuola pensavi a quello che avresti mangiato. Era un modo inoltre per variare l’alimentazione e per mangiare sempre cose genuine. Noi ad esempio non abbiamo mai mangiato nella nostra vita una merendina confezionata. La crostata era sempre fresca e sempre fatta dalle nonne o dalle mamme.
Quali sono i principi base che non cambieranno mai della pasta fatta in casa e che cosa invece pensate che sia importante far evolvere?
Per noi che facciamo la pasta all’uovo e abbiamo un negozio tradizionale non trovo necessario far evolvere dei piatti che sono giunti a noi così perfetti. C’è un equilibrio straordinario in ognuno di essi ed è quello che ci è riconosciuto nel mondo. Noi ci siamo sbilanciate solo con le lasagne vegetariane per avvicinarci anche a questa esigenza sempre più diffusa ma la lasagna che fa da padrona rimarrà sempre quella con la carne. È proprio il nostro palato che è stato educato da questo tipo di sapore. Per noi il più grande complimento che possono farci mangiando la nostra pasta è “Ah mi è sembrato di assaggiare le lasagne di mia nonna!”. È come ricevere un premio Oscar alla carriera. Capisco però che ci siano dei ristoranti con un certo look gestiti da ragazzi giovani che abbiano voglia di effettuare piccole trasformazioni. È quello che hanno fatto i ragazzi del ristorante Oltre, per esempio, a cui noi riforniamo la pasta fresca. Sono giovani con la voglia di fare nuove esperienze. Il classico piatto dei tortelloni che solitamente vengono conditi con salvia, burro e parmigiano o pomodoro l’hanno rivisitato e proposto con burro e acciughe del Cantabrico. Essendo vicino al Mercato delle Erbe penso che sia stata una scelta giusta. A me fa molto piacere questo loro desiderio di rivisitare dei piatti che noi abbiamo sempre conosciuto e servito in altro modo. Tutto dipende dall’assetto e dalla connotazione che si vuole dare. Le basi però non si toccano, sono e saranno sempre quelle.
In questi giorni di quarantena sono molte le persone che si stanno dilettando in cucina. Come possiamo riconoscere l’alta qualità al fine di valorizzare la tradizione?
Adesso che si vive su Internet puoi trovare ricette e applicazioni ovunque. Anche noi ne abbiamo fatta una nel 2013 e mia sorella Monica con i tutorial insegna a impastare, a fare la sfoglia, tortellini, tortelloni, lasagne, ravioli, torta di riso e tanto altro. La vera qualità la riconosci tramite la professionalità. E poi bisogna affidarsi a materie prime eccezionali. Il bolognese in questo è molto attento. Chi viene al Mercato delle Erbe ha fornitori validi per cui si può cimentare con materie prime favolose. Tra quello che trovi al mercato e quello che trovi al supermercato c’è la stessa differenza che c’è tra me e Sofia Loren.
Quant’è importante per lei questo lavoro?
Noi ce la mettiamo veramente tutta. Se non ti piace non riesci a farlo. Vado al lavoro per lavorare? No. Vado al lavoro per ricevere ospiti. Vado a preparare pasta fresca per 50 ospiti se avrò 50 clienti. Pensarla in questo modo cambia tutto. Mi evoca piacere. Se si guarda questo lavoro astrattamente e non con il fuoco interiore si vede solo un lavoro durissimo che comporta lo stare in piedi per tante ore al giorno in posizioni faticose. Bisogna guardarlo con gli occhi di dare piacere e soddisfazione agli altri. Per me quindi fare quello che faccio è vivere bene la mia giornata. In questo periodo di quarantena ringrazio sempre di poter venire in negozio e fare quello che mi piace e poter offrire dei prodotti di qualità.