Testo di Cristina Ropa
Foto cortesia di Lac2Lab
Riconoscere la preziosità, la funzionalità e l’indispensabilità di ogni cosa, soprattutto di ciò che comunemente verrebbe gettato, è il cuore dell’economia circolare dove tutto trova un senso di esistere, di resistere e di rinnovarsi. Una creatività, una lungimiranza, un’inventiva frutto di menti eclettiche che guardano oltre la superficie per aprire nuove strade. Pionieri e pioniere del futuro che, se spinti dal desiderio di aiutare la società a migliorare, a percorrere uno sviluppo sostenibile che possa fare concretamente del bene alle persone e all’ambiente, possono realizzare progetti dalla sconfinata originalità. Questo è stato il processo delle menti brillanti di Lac2Lab, start up innovativa a vocazione sociale che promuove l’economia circolare nel mondo delle Life Science e che ha come scopo la rivalorizzazione del latte in scadenza, un problema non da poco visto che in Italia milioni di litri di latte fresco di alta qualità – ritirato per legge due-tre giorni prima dalla scadenza quindi ancora in ottime condizioni – vengono destinati all’alimentazione animale e solo in parte recuperati dalle onlus. Lorenzo Ippolito (Ingegnere Chimico, Amministratore Unico di Lac2Lab) , Arianna Palladini (Ricercatore in biotecnologie mediche, R&D Key Opinion Leader di Lac2Lab), Luca Bertolasi e Paride Acierno, fondatori di Lac2Lab start up già pluripremiata, sono riusciti a individuare in questo alimento ad alto valore nutritivo la possibilità di ricavarne un prodotto totalmente etico da utilizzare nell’ambito della tecnologia delle colture cellulari.
Da dove nasce e come si è sviluppata questa vostra idea?
Arianna: Tutto è nato da un incontro apparentemente casuale – anche se il destino in realtà non lo è mai – tra me che stavo facendo una scuola di business, Lorenzo e gli altri due co-fondatori di Lac2Lab: Luca Bertolasi, economista e Paride Acerno, Ingegnere Gestionale (che in quel periodo erano impegnati in un’esperienza in università relativamente a sfide lanciate da aziende su problemi da risolvere nei loro processi produttivi). Proveniamo da età, da mondi diversi e grazie allo scambio delle nostre competenze è emerso che esiste questo problema del latte in scadenza che viene ritirato dai supermercati e per gran parte non viene più utilizzato. Uno spreco, essendo un prodotto ancora ricco di nutrienti. La nostra idea, dalla quale è nata Lac2Lab, è stata provare a utilizzarlo per nutrire le cellule in laboratorio.
Lorenzo: Questo era già un buon obiettivo perché avrebbe risolto lo spreco di latte che rimaneva invenduto. Poi però abbiamo ulteriormente riflettuto che questa nostra idea avrebbe potuto essere una valida sostituzione per il reagente che viene comunemente utilizzato nei terreni per colture cellulari, ovvero, il siero fetale bovino (noto anche come FBS, Fetal Bovine Serum) estratto dai feti bovini delle vacche macellate. Legato a questo è emerso un terzo aspetto che riguarda la valorizzazione del nostro territorio. La produzione del siero fetale bovino è per lo più localizzata nel Sud e Nord America e in parte in Australia quindi la nostra idea va a rivalorizzare il territorio italiano con il vantaggio di avere un prodotto di origine controllata poiché, essendo destinato a uso alimentare, i controlli sono più restrittivi piuttosto che quelli utilizzati per un reagente per colture cellulari. Forti di questa consapevolezza e del molteplice valore della nostra idea siamo partiti cercando di concretizzarla.
Quant’è diffuso l’utilizzo del siero fetale bovino o FBS?
Arianna: In tutto il mondo. Quello che viene detto e scritto è che impiegano feti di vacche macellati per altri scopi. Non posso dire che sia vero oppure che non lo sia. La nostra idea è di evitare la sofferenza per gli animali laddove è possibile. Quando viene prelevato il sangue dicono che i feti in quel momento non soffrono, ma in realtà sono ancora vitali. Poi lì sta alla propria coscienza pensare: non è nato, ma è un feto e quindi in qualche modo un essere vivente.
Lorenzo: C’è molta letteratura a riguardo, elaborata da associazioni di animalisti. Il mercato dell’FBS è di cartello. Le aziende non hanno mai dichiarato nel dettaglio come lo producono. Non si sanno nemmeno i suoi componenti a livello chimico. È un po’ una formula segreta. Nei certificati di acquisto leggi solo “assenza di virus” e altri elementi macro che per legge devono esserci. È un mondo poco aperto.
Come mai proprio il latte potrebbe sostituirlo?
Arianna: Sembra molto banale ma noi sappiamo per certo che il latte è ricco di nutrienti e di tutte le sostanze necessarie affinché il neonato cresca. Stessa cosa succede in un bovino. Nel latte sono disciolti dei nutrienti come le proteine che noi chiamiamo fattori di crescita e che sono proprio quelle che fanno crescere le nostre cellule in coltura. L’affinità con il sangue è perché è un liquido che contiene questi nutrienti e che li trasporta alle varie cellule del corpo.
In che modo le colture cellulari portano beneficio alla ricerca scientifica?
Arianna: Ne sono la base. Ci permettono di studiare, ad esempio, il comportamento delle cellule che possono essere normali tipo cellule neuronali oppure cellule tumorali. Essendo un modello vengono utilizzate per studiare farmaci o cosmetici come, ad esempio, testare la capacità che un prodotto cosmetico ha di irritare la pelle. Ci permettono di studiare inoltre se una sostanza è cancerogena. In questi casi stiamo parlando di una prima fase di ricerca. Poi però ci può essere la necessità di utilizzare le colture cellulari per la produzione di vaccini. In questo caso non siamo più nella fase di ricerca e di sviluppo, ma di produzione. Dietro tanti prodotti e tante ricerche ci sono sempre le colture cellulari che rimangono una delle tecniche più antiche. Adesso si parla sempre di tecnologie come il sequenziamento, ma alla fine qualsiasi dato che tu ottieni richiede poi una validazione in un modello che è la cellula e generalmente nelle colture cellulari. Quindi in realtà è il punto chiave dove finiscono tutte le ricerche.
Vengono anche utilizzate in ambito alimentare? E se sì in che modo?
Arianna: È abbastanza nuovo come ambito, ma vengono utilizzate anche qui per produrre la carne sintetica. Si prendono le cellule del muscolo di bovino, si coltivano in laboratorio, in modo tale da ottenere un tessuto che sia una bistecca. Questo comporta il fatto che non sono necessari i bovini perché tu le cellule le puoi propagare all’infinito senza utilizzare gli animali. Secondo me è molto interessante da un punto di vista alimentare. In Asia stanno impiegando molti sforzi su questo campo perché può essere una soluzione dove c’è carenza di cibo.
Come si sta evolvendo il vostro progetto?
Lorenzo: Al momento siamo concentrati sullo sviluppo del prodotto. Abbiamo in piano di ottimizzare le sue performance e finalizzare il tutto tramite un brevetto. Questo è il nostro focus principale. Contemporaneamente per completare anche la parte di business siamo in contatto con alcune aziende produttrici del territorio che ci hanno confermato la loro disponibilità per valorizzare il latte in rimanenza. Poi ci sono i piccoli e grandi supermercati che, attraverso interviste che abbiamo condotto, sono disposti anche loro a rivalorizzare questa materia prima. Infatti, solo una piccola parte del latte che viene ritirato uno o due giorni prima dalla scadenza per logiche puramente commerciali viene dato ad associazioni benefiche o ad aziende che lo trasformano per ottenere mangimistica animale. Per quanto riguarda il consumatore finale ci indirizziamo ai laboratori universitari o anche privati. Vorremmo comunque estendere il ventaglio anche ad aziende nel campo della cosmetica.
Voi a oggi siete gli unici ad avere individuato questo tipo di alternativa?
Arianna: L’idea di partire dal latte in scadenza è un’idea nostra e originale a cui nessuno finora aveva pensato. In passato negli anni ‘80 c’era stato qualche studio preliminare, qualche tentativo di brevetto ma partendo dall’idea dell’utilizzo di latte e non di latte in scadenza. Un’idea che poi non è mai stata portata avanti poiché nei nostri laboratori non lo utilizziamo.
Lorenzo: Un altro elemento è anche l’originalità del processo per ottenere l’additivo finale partendo dai fattori di crescita delle proteine. Questa è la peculiarità che consente di avere certe prestazioni sulle linee cellulari.
A livello personale come vi sentite nell’aver ideato un progetto così lungimirante e prezioso per uno sviluppo sostenibile?
Arianna: Nessuno di noi è stato imprenditore prima di adesso e ci sono tante difficoltà da affrontare per cui è una sfida combinare tutte le nostre competenze. Da una parte sono una qualità e dall’altra richiedono un grande impegno di interazione. E questo lo sto riportando anche in altri ambiti. L’idea di curare per poi poter migliorare la ricerca di altri ti dà la visione di fare qualcosa di veramente grande e utile per tanti. Mi piace accettare queste sfide perché poi quello che ti ritorna in termini personali è molto più grande.
Lorenzo: C’è tanto da fare ma questo è un progetto che regala altrettante soddisfazioni. Siamo partiti da un’idea e abbiamo cercato di concretizzarla. Questa è un’esperienza di grande valore. Stiamo portando inoltre un avanzamento nelle conoscenze scientifiche. A parità di costi che un laboratorio di ricerca deve sostenere, il nostro prodotto permettere di effettuare più esperimenti. Poi non c’è una questione solo di costi. Stiamo rispondendo a un bisogno e questo dà una grande soddisfazione.
Che feedback state ricevendo dalle persone?
Arianna: I vari premi che abbiamo vinto sono il principale feedback perché stiamo assistendo a come persone di diversa estrazione riescano comunque a cogliere interesse nella nostra idea. Da un punto di vista professionale quello che per me è la cosa più importante è vedere che ai colleghi universitari, con anche più esperienza di me, l’idea piace e convince. Questo secondo me è il principale supporto al fatto che vale la pena andare avanti.