Testo a cura di associazione Tempi di Recupero
Foto cortesia dei vignaioli
L’associazione Tempi di Recupero si fonda sulle tematiche di recupero, sostenibilità e soprattutto consapevolezza, in ambito enogastronomico. Nata in maniera informale nel 2013, si è evoluta negli anni diventando una rete di professionisti in giro per l’Italia e non solo. Però, l’associazione nasce a Faenza, in Romagna, dove vivono e lavorano la maggior parte degli associati che questa primavera sono stati travolti da acqua e fango. L’abbiamo visto tutti sui social, sui quotidiani e in televisione. L’attenzione è stata massima per molti giorni, ma le conseguenze si trascineranno per anni. L’alluvione ha coinvolto paesi e città, molte persone non possono ancora tornare nella propria casa, in pianura sono stati annientati peschi, albicocchi e i (divisivi) kiwi, tutti frutti che sono base economica dell’agricoltura romagnola. La collina conta almeno 11.000 frane, il che significa terre scivolate e strade interrotte. Danni enormi a viti, olivi e moria di famiglie di api. Ci sono volute un paio di settimane di confusione e raccolta delle idee e poi ci siamo attivati per sostenere il territorio a nostro modo e nelle nostre possibilità. Abbiamo recuperato la campagna Io Bevo Romagnolo con la quale promuoviamo i prodotti locali. Abbiamo coinvolto i nostri stessi soci e l’associazione Slow Food con cui abbiamo condiviso la campagna che propone l’acquisto diretto di vini romagnoli di qualità, di prodotti gastronomici. In più proponiamo di venire in Romagna per mangiare, soggiornare e vivere i suoi luoghi bellissimi.
Ogni associato ha una storia diversa da raccontare. I ristoratori hanno vissuto i primi giorni in isolamento fisico a causa delle strade interrotte. Poi diverse settimane in abbandono per mancanza di clienti, senza un apparente motivo. La conseguenza è stata un rallentamento dell’indotto generale perché i produttori locali, di vino, di carne, di prodotti caseari, ecc non avevano uno sbocco economico. Timore, disorientamento, tasche vuote sono alcuni dei possibili motivi della brusca frenata, che pian piano, con l’avvicendarsi della stagione calda è stata superata. I produttori di vino hanno invece conseguenze lunghe. Per molti l’annata è andata persa, direttamente per le frane o indirettamente per l’impossibilità fisica di seguire le vigne. Per altri gli effetti porteranno più lontano. Abbiamo chiesto ad alcuni di loro di raccontare la propria visione. Sono riflessioni differenti, che partono da diversi punti di vista ma che portano a prospettive simili, perché la natura di chi vive in Romagna è quella di rialzarsi e trovare le energie per ripartire con più carica!
Marco Ghezzi dell’Azienda Agricola Baccagnano a Brisighella
“Non vedo l’ora che sia novembre” è la frase che più spesso mi trovo a dire a chi mi chiede come sta andando questo 2023, quando le poche uve che si sono salvate saranno state finalmente raccolte, vinificate e chiuse nei serbatoi. Gli eccezionali eventi atmosferici di maggio – e poi ancora di giugno – mi hanno costretto a ripensare il mio lavoro di vignaiolo. Che senso ha l’attenzione spasmodica all’allevamento delle viti, all’inerbimento delle fila, all’utilizzo minimo dei prodotti antagonisti delle malattie in vigna, se poi in vigna non ci si arriva o se la vigna di fatto quasi non esiste più, le testate mozzate dalle frane, i pali trascinati per metri verso il fondo valle. Che senso ha sottoporre la propria vigna alla furia di un trattamento con rame ogni 3/4 giorni per cercare di arginare la forza riproduttiva delle oospore, innescata dalle abbondanti e continue piogge di primavera. Quest’anno per me e per molti vignaioli l’annuale confronto con la peronospora se lo è aggiudicato il fungo e le uve raccolte saranno una percentuale molto ridotta del solito raccolto.
Devo imparare ad alzare lo sguardo e guardare oltre i confini delle vigne e cominciare ad avere cura di tutto il territorio che le circonda, con le sue strade, i suoi fossi, i suoi rivali e i suoi boschi. Devo imparare ad alzare lo sguardo e guardare oltre la vendemmia di quest’anno, guardare alle vendemmie passate e a quelle che verranno come a un unico lungo ciclo vitale che nei suoi alti e nei suoi bassi racconta in maniera compiuta il mio lavoro di vignaiolo.
Francesco Bordini dell’Azienda Vinicola Villa Papiano a Modigliana
Il mese di maggio è iniziato all’insegna delle piogge in tutta Italia con condizioni di estrema criticità nella parte centrale della Romagna dove – tra il 2 e il 3 maggio e tra il 16 e 17 maggio – i picchi di piogge hanno raggiunto livelli impressionanti: 597mm a Modigliana, 530mm a Riolo Terme, 513mm a Brisighella, 501mm a Monzuno, 499mm a Casola Valsenio, 481mm a Tredozio, 480mm Dozza, 383mm a Predappio, 365mm a Santa Sofia, 349mm a Bertinoro. I danni provocati sui territori sono stati enormi: 25 punti di rottura o esondazione di fiumi, enormi superfici agricole e intere città allagate, imponenti fronti di frana su strade, boschi e terreni coltivati in collina e montagna. Si stima che il 44% della superficie agricola utilizzata dell’Emilia-Romagna sia stata colpita da frane o alluvioni. Epicentro delle alluvioni sono stati i comuni di Faenza, Conselice e Sant’Agata sul Santerno, delle frane i comuni di Brisighella e Modigliana. Per ritrovare nella storia eventi meteorici così estremi e calamità così estese occorre andare molto indietro nella storia: 1939, 1848, 1634.
Il comparto agricolo, quale custode del territorio, si è trovato immediatamente a fare i conti con una situazione molto difficile e minata nei fondamentali essendo venute meno certezze basilari quali la viabilità e le connessioni elettriche e idriche, soprattutto nei luoghi marginali dell’alta collina e dell’Appennino, territori di per sé già molto fragili e da decenni a rischio abbandono. Il settore vitivinicolo – che di sua natura vive di relazioni e continue necessità di logistica – ha sofferto notevolmente le difficoltà di spostamento indotte dalle frane, di fatto rendendo impossibile, oltre le attività enoturistiche, tutte le azioni ordinarie specifiche del comparto quali l’approvvigionamento delle bottiglie e la possibilità di consegnare il vino ai centri di logistica e agli esercizi commerciali.
I primi cenni di “normalità” stanno avvenendo in questi giorni, dopo quasi tre mesi dagli eventi calamitosi con l’apertura provvisoria delle strade franate. Il problema cronico e pericolosissimo che sta correndo il comparto agricolo collinare è che a questa fase “emergenziale” e di riapertura delle strade per i residenti non segua rapidamente il ripristino della viabilità in condizioni di sicurezza: condizione necessaria per riaprire il transito al pubblico e pertanto ai fornitori e ai clienti delle aziende, di fatto ripristinando le attività economiche. In campagna le apprensioni sono altissime, si teme l’arrivo delle piogge autunnali e soprattutto il silenzio istituzionale mina la prospettiva imprenditoriale di molti, soprattutto dei più deboli.
Lo spettro dell’abbandono dell’Appennino deve essere un problema percepito da tutta la popolazione poiché senza presidio la montagna diventa pericolosa per la sicurezza dell’intera regione. L’agricoltura di collina e dell’Appennino va sostenuta dalle istituzioni pubbliche e prima ancora dal consumatore finale che deve cogliere i vantaggi di sostenerla acquistando al giusto prezzo i propri prodotti.
Francesco Bandi dell’Azienda Agricola La Via del Colle a Bertinoro
Vino, miele, pane, confetture, olio e tartufi sono le produzioni dei 34 ha di proprietà, di cui 5 vitati, che conduciamo in regime biologico. Crediamo sia necessario compensare i mancati raccolti valorizzando le produzioni che riescono a superare le criticità atmosferiche (lunghi periodi di siccità o eccessiva piovosità). Con le oltre trenta frane e smottamenti dello scorso maggio abbiamo perso ulivi di 70 anni e querce da tartufo nero pregiato alte almeno 15 metri: alberi che per natura presidiano il terreno ancorando e stabilizzando il suolo con apparati radicali ben espansi, ma che sono risultati insufficienti per fronteggiare la fragilità di un territorio composto in prevalenza da arenaria. Questo tipo di situazioni ci ha dato la misura delle calamità che ci aspettano anche in futuro.
Tra le varie difficoltà che abbiamo incontrato nei vigneti c’è stata una grandinata la seconda settimana di maggio che ha colpito e ridotto in prefioritura il vigneto di sangiovese esposto verso Bertinoro e la notte del 24 luglio una tromba d’aria con raffiche oltre i 100 km/h che hanno abbattuto 8 filari di albana e trebbiano di oltre 40 anni. L’annata è stata molto critica anche per il miele. Custodiamo 300 alveari in 16 apiari sparsi nella provincia di Forlì-Cesena; alcuni sono stati colpiti da smottamenti mentre altri allagati dalle piene dei fiumi. La perdita di raccolto è stata totale per i mesi di maggio e giugno, quando si concentrano le fioriture più significative (acacia, tiglio, coriandolo, sulla e castagno). Questa annata difficile mi ha definitivamente convinto della necessità di cambiare prospettiva nel nostro lavoro, ad esempio, rinunciando al miele monoflora (sempre più difficile da ottenere a causa dei cambiamenti climatici), sottolineando la complessità di essenze botaniche mellifere dei diversi territori che presidiamo. Quest’anno ho deciso di suddividere i 16 apiari in tre macro-areali sottoponendo ad analisi l’unica smielatura 2023, raccontando ai nostri clienti le diverse caratteristiche del miele millefiori, anche a livello nutraceutico. Ognuno dei tre millefiori prodotti rappresenta infatti un’annata e un paesaggio sensoriale unico nella sua biodiversità per una visione di miele integrale che vale la pena riscoprire.
E adesso?
Guardando la Romagna in prospettiva, ovvero cercando di oggettivizzare, il dubbio concreto è: energia, passione, reattività e resilienza, possono torcersi contro il territorio? Ovvero l’immagine di autonomia o, meglio, di autosufficienza può allontanare il sostegno istituzionale e dell’opinione pubblica, e con essi gli aiuti necessari alla ripartenza e alla ricostruzione? L’impegno di Tempi di Recupero è in questa direzione: mantenere vive passioni e attenzioni. Raccontare Romagna e romagnoli, come uno degli esempi territoriali virtuosi, a cui se ne affiancano moltissimi in Italia e nel mondo, e che per fortuna incontriamo ogni giorno. Sostenere le persone, le comunità e le produzioni ampliando e rafforzando la rete dei recuperatori, attraverso messaggi ed azioni consapevoli, sostanziali, pop e ludiche. Il 7 e 8 ottobre saremo a Pianetto di Galeata (FC) per l’annuale Festival del Recupero, in cui si ha l’occasione di incontrare una bella fetta della rete dei recuperatori, degustare, acquistare, imparare, parlare, raccontare, brindare e divertirsi. Ovviamente quest’anno sarà un’edizione speciale, dedicata alla gestione dell’acqua, la tutela dei territori nella prospettiva del cambiamento climatico in essere.