Un dibattito necessario su come l’avanzamento tecnologico stia cambiando – senza sostituire – il mondo enogastronomico
Testo di Claudia van den Berg Morelli
È difficile oggigiorno parlare di intelligenza artificiale senza cascare nel banale dibattito “uomo VS macchina”, sfociando inevitabilmente nella questione di come – o meglio, quando – questo avanzamento tecnologico porterà all’autodistruzione della nostra specie. Forse siamo troppo influenzati dal fatalismo dei film sci-fi che ci mettono paura, anzi, terrore, dei robot che un giorno ci ammazzeranno tutti. E chi siamo noi per dire che non succederà… (A parte il fatto che nel frattempo ci stiamo ammazzando tra di noi e di quello sembriamo molto meno preoccupati). Ma prima di arrivare alla Scarlett Johansson che diventa una fidanzata virtuale come nel film HER o al robot che sviluppa una coscienza e si ribella al padrone – da cui siamo ben lontani – credo che sarebbe opportuno e anzi, importante, confrontarci e parlare in modo onesto e trasparente di cosa significhi l’avanzamento tecnologico di queste “macchine del futuro” e di come stia entrando nella nostra vita di tutti i giorni, sia a casa che al lavoro.
Questa conversazione c’è stata. Più precisamente il mese scorso a In Cibum Extra – l’appuntamento annuale della Scuola di Alta Formazione Gastronomica In Cibum a Pontegnano Faiano. È stato sorprendente e piacevole assistere a un talk che è stato capace di abbordare questo argomento colossale in maniera interessata, interessante e persino critica grazie al panel eterogeneo coinvolto. Grande riconoscimento a Paolo Vizzari – gastronomo, esperto di marketing territoriale e moderatore del talk – che è riuscito a dar equo peso a tutti i partecipanti e a fare domande mirate e piccanti per far spiccare riflessioni vere, sia dal panel che dal pubblico, creando un’armonia pirandelliana nella sala, demolendo la barriera tradizionale “presentatore/ascoltatore”. Sul palco con Paolo c’erano: Fabrizio Fiorani, maestro pasticciere e responsabile della pasticceria del ristorante Duomo di Ciccio Sultano; Fabrizio Mellino, chef tristellato de I Quattro Passi a Nerano; Chiara Riccardi, coordinatrice didattica della scuola di formazione di sala Intrecci; e Antonio Ascione, innovation manager.
E quindi: in un mondo in cui la tecnologia avanza a una velocità sempre maggiore ed è sempre più integrata nel mondo lavorativo, dove sta il fattore umano nella cucina? (NB: l’obiettivo non è avere un elenco di risposte esaustive, ma aprire il dibattito). Innanzitutto, una macchina non può assaggiare. Un giorno potrà forse avvicinarsi a un concetto di “assaggio”, analizzando dettagliatamente la composizione di un piatto, con percentuali di sale, livelli di acidità, e anzi, restituendo un resoconto di composizioni chimiche ben più precise del nostro palato. Ma non riuscirà (o almeno per ora non ci riesce) a evocare emozioni o a ricollegarle a un ricordo o a un pensiero; il fattore umano dell’assaggio, quindi, va oltre alle papille gustative e diventa elemento distintivo importante. Il fattore umano sta anche nella brigata, intesa come cervello collettivo. Come dice il panelist Fabrizio Mellino, i piatti spesso nascono da un calderone di idee e di spunti, dalle interazioni in cucina e tra le persone che ci stanno dentro. Tutto questo andrebbe perso se la brigata di cucina venisse sostituta interamente da macchine. Forse gli impasti, le creme, i piatti sarebbero più precisi, più “perfetti”, ma “il bello della cucina è anche sbagliare, perché da qui nascono idee e da qui si impara”.
Sarebbe quindi opportuno bandire l’IA e le macchine ultra-tech dalla cucina? Eh, no. Se c’è una cosa che dovremmo aver capito ormai è che il mondo non è o bianco o nero. La tecnologia può essere un grande aiuto, uno strumento utilissimo (e ormai indispensabile) per aiutarci a fare le cose che già facciamo, semplicemente in modo più veloce e/o efficiente. Come un buon coltello aiuta a tagliare meglio o come la rivoluzionaria electronic mail (e-mail) velocizza il nostro modo di comunicare (pensate se dovessimo ancora scriverci con carta e penna e spedire tramite Poste Italiane! Ciao!); così, in cucina oggi ci sono una miriade di applicazioni positive, che non vanno a sostituire ma che possono aggiungere al lavoro di tutti i giorni. Ad esempio: una tecnologia “smart” nelle celle frigorifere potrebbe segnalare cosa sta scandendo per evitare lo spreco di cibo, altro topic importantissimo ed estremamente attuale. Oppure l’IA potrebbe essere utilizzata per suggerire ricette in modo da assicurare una dieta equilibrata e nutritiva per tutti. Oppure ancora, in un ristorante, le preferenze alimentari di un cliente potrebbero essere prese in considerazione per creare delle cene su misura, offrendo così un servizio sempre più personalizzato. In fondo tutto questo aiuta: il tempo che si risparmia quando non è più una risorsa umana coinvolta in determinate operazioni metodiche diventa tempo libero per la suddetta persona da impiegare altrove. E allora: le macchine sostituiranno il lavoro umano e saremo tutti disoccupati? Eh no, dai, non facciamo i luddisti. Il lavoro che rimane all’uomo sarà più concentrato, sarà più focalizzato su ruoli in cui l’input emotivo conta di più (come nell’assaggio) piuttosto che nel fare operazioni ripetitive all’infinito. Anzi, forse con un po’ più di tempo a disposizione, potremmo iniziare a parlare di sostenibilità sociale in cucina, ovvero come non lavorare quattordici ore al giorno e mandare giovani chef in burnout prima di raggiungere i trent’anni. Ma questo discorso lo lasciamo per un’altra volta.
In pasticceria – arte della tecnica e della precisione – i macchinari e l’innovazione tecnologica sono più facili da immaginare e/o assimilare. Alla fine di due ore di cena, l’attenzione ormai non c’è più e il commensale va conquistato facendogli “mordere un’idea”. Questo significa che un dolce deve andare a toccare l’anima e il cuore e non la pancia, come dice Fabrizio Fiorani, “nessuno mangia dolci per fame, li mangia per voglia”. Per fortuna, anche in pasticceria riusciamo a individuare tocchi umani indispensabili, come nel caso della sfogliatella, ad esempio: Fabrizio spiega che è un processo che deve avere per forza un intervento manuale (almeno per ora). Quindi finché la tecnologia capirà come sostituire anche quest’ultimo passaggio, ricordatevi sempre che dietro a ogni sfogliatella, qualcuno ci ha messo le mani, quelle vere.
La sala invece? “La sala è la voce e il pensiero dalla cucina” commenta Chiara Riccardi. E proprio come nella cucina, si può pensare di avere delle macchine a sostegno del lavoro umano, come un robot per asciugare i bicchieri. Il tempo liberato da questa task ripetitiva potrebbe allora essere meglio impiegato sulla ricerca e sull’approfondimento di un cliente, di un prodotto o di un produttore. Il tutto, di nuovo, per poter dare un servizio ancora più completo e personalizzato. Esiste un robot di sala, Jimmy mi pare si chiami, ed è uno di tanti nuovi esperimenti del momento. Non escludiamo il suo aiuto, anche se l’idea di avere una macchina di metallo al tavolo può fare impressione o addirittura ribrezzo. Potrebbe aiutare ad apparecchiare, a sparecchiare, a portare i piatti al tavolo, ma non potrà (o di nuovo: a oggi non può) personalizzare il rapporto con il commensale come lo fa lo staff di sala. Perché l’arte della sala sta nel capire chi si ha davanti e continuamente adattarsi alle loro esigenze. Richiede sensibilità ed empatia che Jimmy non ha, anche se magari compensa parlando un Mandarino perfetto, o sicuramente meglio di noi. Alla scuola di accoglienza Intrecci non si ignora affatto la tecnologia, ma si punta molto anche sulle soft skills di cui la sala necessita, come l’empatia. Una frase che i docenti ripetono agli studenti e che mi è rimasta impressa è: bisogna sapere, saper fare e saper essere. Il saper essere, nel contesto di questa conversazione, è chiave.
Vizzari dice che abbiamo creato la tecnologia per le nostre esigenze, perché fondamentalmente noi umani siamo pigri – e credo che abbia ragione. Allora utilizziamo queste tecnologie come strumenti innovativi di assistenza, liberando lo spazio e il tempo che serve per aggiungere quello che sappiamo fare meglio: il tocco umano. La perfezione non esiste e il suo inseguimento utopico è fine a sé stesso. Alla fine, come abbiamo visto in questo talk, conta l’intelletto umano. Non è un caso – discute il panel – che avendo toccato un apice della parabola della tecnologia in cucina come in pasticceria, abbiamo visto una tendenza a tornare indietro: pensate al recupero del “fatto a mano”, al ritorno alle osterie o alla cucina a fuoco vivo.
Forse viviamo in un modo ciclico (in passato, vari filosofi lo hanno ipotizzato) e sarà solo questione di tempo prima di tornare a vedere un picco tecnologico in cucina. L’importante – a nostro parere – è non smettere di interrogarci su dove siamo e su dove vogliamo andare. In questo talk, con esperti e leader in diversi settori, abbiamo avuto il coraggio di aprire la discussione e di guardare in modo olistico l’impatto che l’IA può avere nell’ambito della gastronomia, senza esprimere troppi giudizi e senza cascare nel banale “moriremo tutti”.