Un’apprendista norcina in Macelleria Bacci
Testo di Greta Contardo
Foto di Duru Begum Ozupek
Margherita ha 27 anni, gli occhi vispi e una bella responsabilità positiva tra le mani, letteralmente tra le mani. È nata e cresciuta a Milano con la passione viscerale per il cibo per indole famigliare e la vocazione per il bere bene sviluppata crescendo. Si è laureata all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, ha lavorato per qualche anno nel mondo della distribuzione del vino che tanto la affascina, poi la vita da ufficio ha iniziato a starle un po’ stretta. Rientrata a Milano al principio di questo strano 2020 con la testa annebbiata e il futuro nuvoloso, ha iniziato a dare ascolto a una certa vocina che per tempo ha riecheggiato nella sua testa cercando di indicarle la strada. L’ha sentita spesso ma non l’ha mai ascoltata davvero; finché un giorno qualunque il suo fratellone l’ha invitata a pranzo e l’ha spronata: “Marghe ma perché non te ne vai un po’ dai nonni? Hai un’età in cui lo puoi ancora fare, non hai niente da lasciare; impari e poi facciamo qualcosa insieme”. Bingo.
Margherita è una Bacci. I Bacci sono macellai a Montignoso (un bel paese ai piedi delle Alpi Apuane tra Massa, Carrara e la Versilia) dal 1925; da quando il bisnonno Antonio, noto come il norcino itinerante in bicicletta, decise di non conciare più i maiali a domicilio per aprire la sua macelleria con bottega. Ad Antonio qualche anno dopo si affiancò nonno Vinicio – ancora all’attivo in macelleria alla veneranda età di 90 anni, 74 di lavoro effettivi – al quale si unì lo zio Massimo circa 30 anni fa. Sono quasi 100 gli anni di storia della macelleria con bottega nel piccolo paese di Montignoso. Oltre 100 gli anni di sapere artigiano tramandato e perfezionato che hanno portato questa realtà a esser apprezzata (anche oltreoceano) soprattutto per le lavorazioni dei salumi senza conservanti né zuccheri aggiunti, sfruttando le sole fermentazioni naturali curate con dovizia dei particolari, maestria nella gestione della materia prima di qualità e delle ricette rodate dei Bacci.
Speciali la salsiccia (da mangiare rigorosamente cruda) e la mortadella nostrale, una sorta di salame morbido a macinatura fine proposta in tre versioni: classica, con vino rosso e al lardo. Poi il guanciale, la pancetta, il lardo (stagionato nelle conche di marmo di Carrara risalenti al 1896) e il cotechino. Ancora la soppressata e la specialità più rara e popolare: il biroldo, rilanciato da Massimo, realizzato con le parti meno nobili del maiale amalgamate con il sangue e conciate con sale e spezie. “Un salume che dovrebbe costare oro per la lavorazione che richiede” afferma Massimo.
Con una perla rara così sotto le chiappe e la spinta del fratello, Margherita si decide: sarà apprendista norcina. Non una norcina qualunque, “non voglio sembrare la prima arrivata, ma nemmeno la più brava” racconta Margherita. “Devo sapere tutto il possibile: dal lavoro effettivo in macelleria a come sono allevate le bestie che lavoro. Vorrei andare a vedere tante realtà per avere una visione generale sul mondo dei salumi, così come ho fatto per il vino”. Nonno Vinicio ha sviluppato la parte macelleria, zio Massimo si è concentrato di più sulla parte salumi perché è quello che gli piace fare. Margherita vorrebbe cercare piccoli allevatori speciali per andare a lavorare con loro. “Devo capire come gestire le diverse reazioni delle carni nelle ricette consolidate con materie prime non standard, ci vorranno tempo e pratica”. L’eredità da cogliere, introiettare e sviluppare è grande e il progetto per dare continuità all’attività di famiglia e aggiungere un pizzico di personalità mese dopo mese prende forma. Prima nella teoria: un luogo (dove e cosa si vedrà) a tema salumi, esclusivi; “oltre a questo vorrei dare la possibilità di far bere un bicchiere di vino; il vino che piace a me” prosegue.
La fase uno è già in corso, da poco più di un mese Margherita ha preso dimora a Pietrasanta; è apprendista norcina. “Qui mi sento davvero a casa e non so spiegare perché; quando guardo le montagne, quando entro in questa casa, io mi sento a casa. Sono cresciuta a Milano e lì non ho mai avuto questa percezione. Sto apprezzando tantissimo questa sensazione e i miei nonni, ho deciso di cercare di tirar fuori da tutti loro tutto quello che sanno. Ho un quaderno per le cose della macelleria e un quaderno per le ricette della nonna. Mi sto rendendo conto che devo portare con me questo piccolo angolino d’Italia che non si conosce e quindi tutte le ricette di questo posto come il pane marocco (una pagnottella che si faceva solo il venerdì, con farina di mais, olive, peperoncino, aglio, rosmarino, salvia e sale). Come la pancetta ripiena e la trippa. L’eredità che ho in mano non riguarda solo i salumi, ma anche i piatti di mia nonna; è importante per me dare continuità a entrambe le cose”.
Ma com’è mettersi a fare salumi? “Mettere le mani in pasta mi piace molto. Lavorare con le mani mi da l’idea di imparare a saper fare veramente qualcosa, adesso arrivo a fine giornata stanca morta e pienamente soddisfatta. Ogni giorno arrivano pezzi di carne da pulire: togli sangue, grasso brutto, nervi, le parti che non piacciono a mio zio. Ogni giorno cerco di capire come vanno puliti i pezzi. Sto faticando ancora perché sono ovviamente tutti diversi l’uno dall’altro e per mio zio è semplice distinguere i muscoli. Trovo molto difficile il capire un pezzo di carne, cerco di visualizzarlo, ma capisco che ci vuole tanta, tanta pratica, che è il bello di questo lavoro. Poi ci sono le legature, per ogni salame c’è un nodo diverso, come per andare in barca. Mi sono riempita di vesciche all’inizio, ma come ha detto mio zio: ‘ti si deve formare il callo’. Mio nonno poi è una bomba atomica. Cerco di ascoltare tutto quello che dice, spiega tutto. Ha detto alla verduraia che sono una brava allieva quindi credo di non esser poi così male. Essenziale, lavorando in modo completamente naturale, è stare molto attento agli odori: per esempio il salame quando lo metti a stagionare in un giorno cambia odore, colore, si forma una piccola patina, poi la muffa. Lo zio mi manda continuamente ad annusare le carni, per capire gli odori giusti e sbagliati. Questa che ho con me è una forza incredibile che pochi hanno. Io mi sento una responsabilità positiva addosso: poter tramandare; è un’eredità enorme”.
La giornata tipo inizia alle 8 del mattino: “quando arrivo ci sono mio nonno e mio zio in macello. Ci diamo i compiti da fare, li iniziamo e poi ognuno (uno alla volta) va a fare colazione: chi in casa, chi al bar, chi con la nonna. Finita la colazione scaglionata si torna tutti in macelleria, si lavora fino all’una e mezza e poi nella mattinata, oltre a lavorare tra macelleria e produzione di salumi, spesso c’è da andare a fare la spesa, prendere l’acqua, la frutta (mio nonno ci tiene tantissimo che la spesa sia fatta tutti i giorni). A volte si va a cogliere le erbe, si raccolgono dal giardino di casa di un’amica della nonna con le forbicine e poi si tagliano con la mezzaluna. Vanno pulite benissimo. Poi c’è il momento delle droghe, del dosaggio di erbe e spezie secondo ricetta. Mi hanno affidato questo compito importante, ma mio nonno non si fida tanto, mi controlla!
Quando si decide di cucinare qualcosa di più laborioso io faccio da spola tra la nonna e il macello. Intorno alle 2 arriva il momento sacro del pranzo in cui ci sediamo tutti insieme a tavola e abbiamo quest’ora di calma in cui mio nonno parla a profusione di cibo (di quello che mangiamo, mangeremo e abbiamo mangiato). Poi si torna nel macello e si continua a lavorare fino a sera. In questo momento ci stiamo occupando principalmente dei salumi, poi riduciamo la produzione: anche se non ci sono salumi stagionali, questo storicamente è il periodo dei salumi. In passato i salumi si facevano soltanto in inverno, soprattutto intorno a Natale. Quando 30 anni fa mio zio ha incominciato a farli fuori dal periodo l’hanno preso per matto, gli han detto “che fai? I salumi si fanno a Natale” e lui ha risposto: “toccherà farli anche fuori Natale. Il resto è storia. Tra le novità in “casa” Bacci c’è la possibilità di un piccolo ampliamento: un fondo, vicinissimo alla macelleria che era l’ex forno del paese, probabilmente diventerà il luogo dove verranno affinati e degustati i salumi, con un bel bicchiere di vino.
“Sono in un momento in cui ho tante idee” conclude Margherita “sono positiva. Mi sto costruendo un futuro solido in un momento incerto. E la creatività esplode così come la voglia di fare, sapere e saper fare. Le mie mani pensano”.
È quasi Natale e nonna Guglielma, detta Guglielmina o Mina, per tradizione prepara la Pancetta ripiena. Ecco la ricetta, raccontata da Margherita.
La pancetta ripiena della Guglielma
“Ti racconto quello che mi ha detto mia nonna sulla pancetta ripiena, che è la versione versiliese della cima genovese. Nota bene: la pancetta può essere a tasca o addoppiata, la prima non va cucita la seconda sì. La nonna prende la pancetta addoppiata, la cuce sui tre lati e il quarto lato lo lascia libero per inserire il pieno (il ripieno) che è fatto così.
Carne di manzo (principalmente) e maiale tritata, un po’ di mondiola (aka la mortadella bolognese) che si è slanciata a definire un etto. La assaggi (è tutto un po’ forfettario, pizzichi e assaggi), poi ci metti il parmigiano, una cascatella di romano (il pecorino), il sale, il pepe, il pivirino (il timo), uno spicchio d’aglio in camicia schiacciato e uova. Ha detto 2 uova però mi ha detto in base a quante persone siete, era un po’ confusa sul quantitativo delle uova.
Procedimento: partiamo con dell’olio extravergine d’oliva in padella, ci mettiamo l’aglio in camicia, togliamo l’aglio, mettiamo a rosolare la carne macinata. Quando è un po’ rosolata la togli e la metti in una ciotola, ci mescoli tutto insieme mondiola, parmigiano, romano, sale, pepe, pivirin e uova. Con questo pieno che si va a formare – ovviamente la Mina si raccomanda di assaggiarlo, trecento volte, fino ad arrivare al gusto desiderato – si va a riempire la tasca. Si cuce e quando è cucita la buchi con un ferro da calza.
Successivamente metti la pancia farcita a cuocere nel brodo, ovviamente di carne, fatto per esser mangiato con i tortellini il giorno di Natale. La fai cuocere, mio nonno dice per un’ora e mezza, mia nonna dice “io lo chiedo sempre al nonno”, quindi lo devi chiedere al macellaio. Poi affondi la forchetta. Se durante la cottura la pancetta vuol tornare su, tu le dai altri buchetti con il ferro da calza. Una volta cotta si toglie dal brodo, si mette in un piatto e ci si mette sopra un altro piatto, poi sopra un peso e si lascia raffreddare così. Una volta raffreddata va servita a temperatura ambiente con la salsina verde.
Per la salsina verde della Mina servono 3 filetti di acciughe buone, 2 spicchi d’aglio, prezzemolo, capperi sotto sale, un paio di uova sode, aceto di vino bianco poco poco, pane raffermo (solo la mollica) e poi olio pepe e sale. Prima metti ammollo la mollica del pane insieme ad acqua e aceto e poi la strizzi, la butti in mezzo a questo pot pourri di ingredienti e triti tutto. La assaggi e se tutto è al punto giusto aggiungi olio a coprire”.
Buone Feste e Tanti salumi a tutti.