Testo di Ilaria Mazzarella
Foto Cortesia Antico Forno Roscioli
La famiglia Roscioli, fiore all’occhiello della gastronomia romana odierna, è un nome noto con solide fondamenta che si sono sviluppate negli anni su tre progetti nel centro di Roma: l’Antico Forno Roscioli, la Gastronomia con Ristorante e il Roscioli Caffè. Pierluigi e Alessandro, che gestiscono le attività di famiglia, hanno seguito le orme di papà Marco e gli hanno conferito una caratterizzazione sempre più marcata fino a rendere l’intera produzione Roscioli una mosca bianca, capace di coniare grandi volumi e mantenere una forte impronta artigianale. Caposaldo di quasi due generazioni, meta per romani e turisti, mette d’accordo clienti e critica. Roscioli è storia. Una storia che parte da un piccolo paese nelle Marche, Rocca di Montemonaco, quella di una famiglia di panettieri da quattro generazioni. Ce la racconta Pierluigi Roscioli, motore essenziale dell’ingranaggio di impasti e forni, raccontando che la nonna Jolanda aveva undici fratelli che hanno imparato l’arte della panificazione per fuggire alla miseria della campagna. Lo zio Franco ha fatto da apripista, grazie a un viaggio in America da dove ha portato la macchina per fare il pane in cassetta e ha aperto il suo primo panificio a Roma.
È grazie a lui che i suoi fratelli che facevano i pastori, uno ad uno, hanno abbandonato la campagna e hanno appreso il mestiere del fornaio. C’era una forte spinta verso l’emancipazione economica, la manodopera a basso costo era interna. Ogni fratello iniziava a lavorare a bottega, imparava l’arte e la metteva da parte nel forno che apriva. Vedi zio Umberto a Tor Pignattara o zio Franco a via Venezia. “Finiti i fratelli hanno cominciato i nipoti – sorride Pierluigi – Nell’ondata dei nipoti c’era anche mio padre. Mia madre ha avuto me e Alessandro tra i 16 e i 19 anni, mentre mio padre ne aveva 21. Con loro ci passiamo meno di una generazione. Papà aveva una sua linea e un suo stile, era molto in forze quando abbiamo iniziato a lavorare assieme e noi, pur sostenendolo e condividendo la sua visione, spingevamo verso un’altra direzione. Per esempio, quando ho iniziato a far i panettoni con un’attenzione maniacale a tutte le fasi, mio padre mi ha chiesto: ma perché tutto sto lavoro? Noi siamo fornai”.
I grandi lievitati di Roscioli: l’eccellenza del Panettone tradizionale
“È stata una battaglia portare il panettone a Roma”. Confessa Pierluigi. Anche oggi spesso, quando si pensa al panettone, l’idea ancora va a quello industriale che si avvale dei preparati. A Roma vent’anni fa pensare di realizzarne uno artigianale era piuttosto utopistico. “Ma il panettone in realtà è l’espressione del lavoro del panettiere, quasi più del pane – afferma Pierluigi, che da allora ha preso le redini del forno dando uno sprint alla ricerca delle farine dei piccoli artigiani – perché si basa totalmente sul lavoro minuzioso della preparazione del lievito naturale; un pasticcere, per quanto bravissimo, fa un lavoro di preparazione “stagionale”, che dura solo per il periodo delle feste natalizie. Per noi panettieri, invece, la lievitazione è nel quotidiano, è una necessità e un recupero. Il lievito in esubero viene comunque utilizzato per la preparazione del pane che viene sfornato ogni giorno. Un lievito così forte ed espressivo su un prodotto come il panettone dà una forte identità”. Il panettone di Roscioli, prodotto e venduto a peso come si fa il pane, non ha aromi aggiunti. La parte aromatica è affidata al lavoro del lievito, sugli olii essenziali dei canditi (Morandin o Agrimontana), sul cioccolato (Valrhona), sul miele (Mieli Thun: d’arancia sul panettone classico e di castagno sulla versione pere e cioccolato). L’uvetta viene tenuta in ammollo finché l’acqua non diventa satura. Viene poi rimboccata continuamente in modo da mantenere la corretta idratazione del prodotto. Appena aperto il panettone ha un caratteristico odore di pane. “Sembra quasi scarico, al contrario del pasticcere che lavora sull’eleganza della parte aromatica”, puntualizza il fornaio. Anche la mandorlatura viene fatta su ordinazione. Perché il panettone tradizionale è quello classico. Nessuno stoccaggio, si sforna quotidianamente. Appena arriva al negozio ha 2-3 giorni, raggiunge il suo massimo dopo 15 giorni e ha una shelf life di circa 45 giorni.
Discorso a parte merita la farina. Quella utilizzata da ormai due anni in casa Roscioli è Mulino Mariani, una produzione italiana a filiera chiusa. I grandi lievitati necessitano di una farina molto asciutta: l’asciugatura e l’ossidatura della farina, infatti, sono le caratteristiche che permettono un assorbimento ottimale degli ingredienti (burro, uovo, acqua a seconda delle ricette). “Fino alla fine degli anni ‘70 la scelta della farina era esigua: debole, media e forte. E una farina forte non era mai abbastanza forte. L’Italia, per sua vocazione territoriale, non fornisce grani di forza, che richiedono azotature esterne; quando si acquistava la farina forte era quella americana, di manitoba. Oltretutto i mulini erano locali e non c’era richiesta di farina per fare il panettone. Per cui era al panettiere che toccava “irrobustirla”. Ma queste erano tutte nozioni empiriche che il fornaio si era conquistato con l’esperienza”.
Infine, una nota sulla scelta del burro. “Un prodotto italiano, per quanto buonissimo, viene prodotto per servire la gastronomia e per la cucina, l’animale stesso viene allevato con quello scopo. Noi lo usiamo come grasso di mantecatura, al contrario della Francia che lo usa come componente grassa al posto dell’olio. Qualsiasi burro italiano addizionato ad un impasto dà una caratteristica nota di formaggio perché la quantità di caseina è più importante rispetto a quella dei prodotti del Nord Europa”. Ecco perché si preferisce un burro fuori confine per un lievitato privo di aromi.
I grandi lievitati di Roscioli: il secondo anno della produzione di Pandoro
Se il panettone sembra un impasto portato a limite, i veri impasti difficili sono il babà napoletano e il pandoro. La vera difficoltà risiede nel fatto che venti grammi di uovo o di qualsiasi grasso in più (o in meno) fanno la differenza tra un prodotto da buttare e un prodotto eccellente. “Il segreto è combinare perfettamente la proporzione tra farina e grassi, ovvero burro, tuorlo d’uovo e zucchero, che ha una pressione osmotica importante e tende a far collassare gli impasti. Noi lo facciamo con due impasti, dalla prossima settimana partiremo con la linea a 5 impasti”. Anche lo stoccaggio della farina se dura qualche giorno in più può fare la differenza sull’assorbimento degli altri ingredienti. Sostanzialmente il pandoro è tendenzialmente un prodotto legato alla pasticceria, rispetto all’artigianalità propria di un panettone.
L’estensione di via dei Chiavari: il nuovo grande laboratorio
Il microclima e la storia del forno di via dei Chiavari, così come la sua identità, sono irreplicabili. Ma questo laboratorio riproduce molto bene quello che è stato creato negli anni in quel microcosmo. L’artigianalità, marchio di fabbrica della famiglia Roscioli, è rimasta la stessa. Non viene utilizzata nessuna linea di formazione del pane in questo impianto. Il processo segue le stesse fasi: impastamento, formatura a mano, lievitazione e infornamento. Sono presenti due linee d’acqua, una per i meccanismi e quella de-arsenicata e de-clorata per gli impasti. “Mantiene però i sali minerali – puntualizza Pierluigi – Se utilizzassimo l’acqua corrente, che ha una componente di agente disinfettante, abbatterebbe la carica batterica del lievito. Con una linea meccanizzata potremmo fare quantità molto più elevate, ma è stata una scelta ponderata. Questo è quello che sappiamo fare. Non vogliamo snaturare l’azienda”. Questo nuovo laboratorio, aperto ormai due anni fa in via Augusto Armellini, ha dato respiro a via del Chiavari. Ci sono tre squadre che lavorano a regime. Tutto ciò che esce da questo laboratorio è dedicato alla ristorazione e all’hotellerie, rispetto al forno originario che si continua a occupare della vendita al dettaglio.
Il cuore del laboratorio è la camera di lievitazione naturale, orologio che detta letteralmente i tempi del lavoro. Mantiene temperatura e umidità costante, che vengono misurate con un pH-metro. Qui si effettuano i rinfreschi del lievito ogni 2-3 ore circa durante tutto l’anno.
Oltre alla sezione pasticceria, una per la produzione interna di pasta all’uovo e diverse aree di stoccaggio e magazzino, sono presenti due forni a legna e altri due forni dedicati ai grandi lievitati con camere differenti: uno per i panettoni più piccoli e uno con camere più alte per i panettoni da due chili. Qui si fanno tutte le cotture che si possono trovare in un forno: muratura, semi-muratura, elettrica e legna. Ogni pane viene cotto a seconda dell’esigenza che ha. “La cottura del pane è una cosa fondamentale e vale esattamente quanto gli ingredienti, è la caratteristica che lo rende digeribile, che dà sapore alla crosta – spiega Pierluigi – il vero nome del panettiere, non a caso, è proprio fornaio”.
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Tel.: +39 06 686 4045