Testo di Barbara Marzano
Foto di Tomaso Lisca e Riccardo Fantoni Montana
Habitat, un menu out of comfort, esce con una seconda release in scena per tutto il mese di novembre da Motelombroso a Milano. Dopo Habitat 1, completamente dedicato al fungo, è il momento di una verticale sull’oca, servita da capo a zampe. Il progetto, nato dall’esigenza di avere un terzo menu, oltre alla carta e a Teorema (più sperimentale), ha sostituito un’estrazione dei piatti più comfort, Armonia, con Habitat, completamente fuori da ogni schema. Alessandra Straccamore e Matteo Mazza, i proprietari di casa, hanno concepito questo secondo percorso dopo prove infinite, orientate dal pensiero del food scouter Nicolò Scaglione e dalla mano di chef Nicola Bonora.
Alessandra: “Armonia era sicuramente la scelta che andava per la maggiore, piaceva e allo stesso tempo dava un’idea della cucina dello chef. Certo è però, che in qualche modo significava restare in una comfort zone anche per noi, di sicuro non troppo stimolante per la cucina. E da qui è nato Habitat, dal rischio di provare a lanciarsi in una sfida, in un nuovo menu con un tema unico, limitativo, più elaborato rispetto ad Armonia”.
Il rischio che tutti gli amanti di Armonia dirottassero la loro scelta sulla carta, da un altro sicuramente più semplice da approcciare, era altissimo ma non certo, tanto che chi ha provato il primo e il secondo capitolo si è già aggiudicato un tavolo per il terzo.
Matteo: “Creare un altro Teorema con una creatività diversa non avrebbe avuto senso, così ci siamo inventati un limite, l’Habitat, non 12 ingredienti o 12 materie prime, ma elementi protagonisti. Chiaro è che, se l’Habitat è di fatto un ingrediente vero e proprio come il fungo o l’oca, lo si assaggerà in tutte le sue declinazioni, ma se è invece una materia come il formaggio, gli elementi che gli gireranno attorno saranno moltissimi”.
Ma nella pratica, in cosa si traduce questo secondo Habitat? Innanzitutto, nella scelta dell’oca, che dato l’umore climatico, altalenante e in ritardo sulla stagione, sembra dare il meglio proprio in questo fresco novembre, quando con un timido freddo l’animale inizia a ingrassare. Ad aprire le danze è il Consommé di oca, con olio alla salvia e filindeu sardo appoggiato sul fondo, fili sottilissimi di semola e farina, intrecciati come se fossero la trama di un tessuto. Un primo incontro con l’oca che può essere approcciato alla vecchia maniera, bevendo prima il brodo e mangiando poi il filindeu sul fondo che nel frattempo si sarà cotto, o semplicemente pescando subito la trama di fili.
Dopo essere entrati in punta di piedi dentro Habitat 2, l’iter vero inizia dal fondo dall’animale, ovvero dalle zampe. Una Chips di zampa d’oca, fatta stracuocere e seccare, per poi essere soffiata e fritta, viene servita con un’insalata di porri alla brace, cime di rapa fermentate, caviale di agrume fatto con finger lime e con le erbette dell’orticello di casa Motelombroso, a rimarcare la parte acida del piatto. È poi il momento, surreale, di Coscia e ali – uno degli apici del percorso – fatte stracuocere insieme al radicchio, messe a riposare sotto una stanca foglia di radicchio, vernaccia di Oristano e polvere di lampone. Una sensazione acetica alle stelle, richiamata da qualche sorso di kombucha, servita a parte per ristorare la parte acida con ulteriori sentori acidi.
Sempre più verticale e profonda, la ricerca e l’utilizzo di ogni centimetro dell’oca, ora focalizzata sulla trippa di collo in umido e fritta:
Nicola: “Ripensando al classico abbinamento trippa-pomodoro, abbiamo ricreato qualcosa di più dolce e profondo per ridimensionare il sapore ferroso della frattaglia. Quindi uno stracotto di cipolle, a mo’ di genovese, che va a integrarsi e a fondersi perfettamente con il collo, grazie anche all’intervento delle erbe aromatiche che sgrassano l’eccesso. In ultimo, una parte croccante necessaria a sferzare tutta la struttura: con la stessa tecnica abbiamo stracotto il collo per poi essiccarlo e soffiarlo per ottenere una doppia masticazione, due strutture diverse e due sapori differenti, per cercare un confine comune”.
A seguire, un matrimonio – ben riuscito – tra le tradizioni di Matteo e le radici di Nicola, che unisce una nuova interpretazione del “comodino”, ora di frattaglie d’oca, con i tipici anelli di pasta nuziale sarda, le lorighittas. Questa l’anticipazione prima del piatto più nobile del menu, un Petto d’oca alla Rossini, dove il foie gras si fa maigre, dato che l’animale viene sovralimentato con latte e miele e che quindi non ingrassa troppo. A rimpiazzare il classico Madeira poi, è il Marsala, accompagnato al tartufo nero in grande consistenza e alla purea amalgamata con il grasso dell’oca, che restituisce un sapore rancido. Non più filetto, non più foie gras, ma sfaccettatura di un Habitat.
Prima di arrivare al dessert, un intermezzo croccante. Un Cannolo siciliano, ricotta, agrumi e cioccolato, impacchettato nell’esofago d’oca. Audace, colpisce prima la testa e poi la pancia. Una seconda declinazione dell’esofago – a quanto pare già sperimentato circa un anno fa nei menu di Nicola – con un ripieno di paté di fegatini. La struttura dell’esofago è la stessa, letta come elemento principe e non solo come un contenitore, risultato di un susseguirsi di cotture in acqua e aceto, essicazioni e fritture, che lo raccontano con una allure di meraviglia.
In ultimo la Crêpe alle erbe, caco, panna montata, castagne affumicate e caramello d’oca, ancora un’inaspettata versione dell’oca, che con disinvoltura mette a nudo il suo lato dolce. Come fa presente Nicola, è naturale che Habitat viva in una dimensione inaspettata, non nasce da un canale univoco, una matrice unica e certa. La mente dello chef ha infatti sempre bisogno di “confondersi” con la percezione di un occhio esterno alla cucina, come può essere quello di Matteo o di Alessandra, ma anche più distante, come quello di Nicolò Scaglione, capace di saper vedere e interpretare quelle che per molti potrebbero sembrare pure astrazioni.
Nicola: “L’obiettivo è un po’ quello di creare una cucina che accolga, sicura ma audace, una casa con nuove concezioni di comfort. La materia prima, di altissima qualità, non deve mai mancare, come anche un filo logico tra tutti i piatti, capace di raccontare un’idea. Ma alcuni sapori, alcune sensazioni, devono in qualche modo riportarti a casa”.
L’oca resterà a casa, a Motelombroso, ancora per tutto novembre, in attesa del suo successore, un profilo 100% mediterraneo che al momento non può essere svelato. Tra i due, come tra tutti gli Habitat, non c’è un filo conduttore tecnico, ma un fil rouge più astratto, che riconosce a ciascun percorso un’identità marcata, concepita in un gioco di intuizioni, prove di coraggio e agganci mnemonici.
Motelombroso
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