Testo di Greta Contardo
Visto da fuori è una palafitta in legno sulla spiaggia – che ha tutta l’aria di uno chalet di montagna – visto da dentro è uno yacht retrò, in puro stile marinaro, tutto in legno con tanto di oblò. È un’insegna storica il Marco Polo, sul lungomare di Ventimiglia da sessant’anni tondi tondi. Al Confine di Stato, come geo-localizza prontamente Instagram quando ti trovi al capolinea dell’Autostrada dei Fiori, alla Porta occidentale d’Italia; da una parte la Costa Azzurra, con il suo ambitissimo litorale, e dall’altra la Liguria di Ponente pittoresca tra rocce e case color pastello. L’insegna blu navy ricorda il mare, blu appunto, proprio lì davanti.
Tutto cominciò nel 1960 da una fiabesca storia d’amore d’altri tempi. Il signor Oreste Pani, decoratore fiorentino, innamorato pazzo di Ines Maria Biancheri lasciò baracca e burattini per trasferirsi lì, al confine con la Francia, con lei. Per poi innamorarsi ancora, questa volta dei tronchi di pino sulla spiaggia di Ventimiglia. Il Marco Polo nacque lì, come semplice bar con stabilimento balneare e divenne presto un punto di ritrovo della gioventù ventimigliese del tempo, grazie alle frequenti esibizioni live delle band locali. E mentre Oreste si occupava dei clienti, ai fornelli Maria dava inizio alla storia di una grande cucina di pesce basata sul meglio del pescato quotidiano, con piatti ancora oggi indimenticabili e intoccabili. Come il Risotto alla marinara il cui misto di circa dieci erbe è top secret e tramandato di generazione in generazione. Sarebbe bello raccontare i meravigliosi anni passati del Marco Polo: il passaggio da bar/stabilimento balneare a ristorante, dalla cucina italiana di Maria a quella del figlio Marco (con esperienze in brigata con Gualtiero Marchesi, ai fornelli con Carlo Cracco e Davide Oldani, ed Ezio Santini). Sarà per un’altra volta, ora parliamo di Diego.
Diego è il nipote di Oreste che, cresciuto a Marco Polo e musica, nel 2018 ha preso pieno possesso del patrimonio di famiglia (seppure i genitori per lui sperassero una vita diversa). Ha soli 27 anni, ma ne ha già fatte un botto Diego. Il suo vero percorso di cucina è iniziato in Patagonia con lo chef Philippe Bergounioux, l’amico di famiglia che convinse i Pani a lasciar andare Diego per la sua strada cuciniera. E strada ne ha fatta poi: Vittorio Beltramelli, Joël Robuchon, tre anni al Louis XV di Monte-Carlo a fianco di Alain Ducasse, un passaggio al Geranium di Rasmus Kofoed, un periodo a Parigi da Guy Savoy à la Monnaie de Paris, qualche mese con Lorenzo Cogo a Vicenza e altri giri memorabili. Bello il mondo, bello crescere di qua e di là, ma a Diego premeva ritornare. Ha forse sempre sognato più il ritorno che la partenza. Nel suo futuro c’era, c’è e ci sarà Ventimiglia. La voglia di scrivere il suo piccolo o grande capitolo vista mare a casa sua. E il forte senso di responsabilità di farlo con coerenza e rispetto, step by step, affiancato da una brigata giovane in continua costruzione, con la certezza della presenza di papà Marco a fianco, anche se in sordina, defilato, per lasciare spazio ai giovani Pani (per inciso: Marina, la sorellina di Diego, lavora in sala).
Dal 1960 le caratteristiche del Marco Polo sono eleganza e qualità declinate in: freschezza degli ingredienti (selezionati quotidianamente dal mercato di Ventimiglia), cura dei dettagli, dei condimenti, della contemporaneità delle tecniche con sguardo attento alle radici. Diego non ha la minima intenzione di toccarle e stravolgerle, fanatico del classico com’è, patito dei gesti artigiani d’altri tempi, con quel bagaglio tecnico francofono importante. Le esprime però a modo suo in piatti moderni dal fascino retrò come le portentose Mezze maniche con zuppa di pesce à la presse. “Nessuna crioestrazione supererà mai la bellezza e la potenza di un torchio”, dice, figuriamoci poi se le triglie sono spremute in sala con garbo prima di diventare il veicolo di cottura della pasta.
Diego ha trovato un modo tutto suo per definire (e applicare) la personale visione contemporanea della cucina di famiglia: Fish is the new meat. Ormai un leitmovit, una filosofia di cucina , è il suo stile di vita (Diego mangia raramente carne rossa) e una gran passione. Spiega in soldoni: “Tratto i prodotti del mio mare con tecniche prese in prestito dal mondo delle carni”. Perché è il mare che ha costantemente davanti agli occhi, ma ha anche “la consapevolezza che mangiare carne rossa troppo spesso e secondo logiche di allevamenti malati è dannoso per noi e per il pianeta”. Diego è umile, super entusiasta del suo lavoro, con tanta forza di volontà e un’incredibile determinazione. La cucina nella sua direzione resta volutamente sintonizzata su collaudatissime ricette vintage (che subiscono una naturale e costante evoluzione) e cambia frequenze di tanto in tanto secondo l’estro, la volontà e lo studio di Diego. È una cucina modernamente classica, concreta, ghiotta. Fatta di pochi elementi netti, diretti. Equilibrata con una stuzzicante deriva citrica in ogni passaggio. Concentrata, ricca di contrasti e soavità burrose. Dogmatica, ponderata, vivace e decisa, energica, dritta al punto.
Sì lo so, vi state chiedendo… e quindi?
Quest’estate si cena in giardino, nel bel giardino sulla spiaggia contornato dalle barche dei pescatori. Un’oasi verdeggiante florida con siepi, fiori, piante e alberi di eucalipto; un riuscito misto tra una giungla salgariana e un paradiso dell’Eden con tavolini al chiaro di luna con mise en place classica e un tavolino speciale on demand in piscinetta pieds dans l’eau (per un’esperienza tra il bucolico e il buffo). L’atmosfera magica non manca di certo; la carta è un percorso nella storia del Marco Polo con i piatti intoccabili e le novità dell’anno (secondo stagione), preparati con i prodotti d’inscalfibile freschezza del mare e della campagna di Ventimiglia e alcuni elementi rubati direttamente in giardino. Non a caso è introdotto dalla citazione “Il futuro ha radici antiche”. Lasciamo fare a Diego, qualche piatto del Marco Polo Estate 2020/Prima parte, che tanto non abbiamo voglia di scegliere con i piedi ammollo e le bollicine alsaziane nel bicchiere.
È tutta un’escalation di gusti misti, precisi, appaganti, base mare mare mare, ça va sans dire. A partire dalla croccantissima acciuga fritta con panatura di nocciole. Tra uno stuzzico e l’altro arriva il cestino del pane a passaggio: un adorabile cestino da pic-nic in vimini riempito di fette di pane a lievito madre servite di volta in volta con la cortesia della sala. Aprono le danze gli Scampetti conditi con olio al sesamo, gelée di eucalipto e finocchio marino che cresce sul ciglio della spiaggia. Seguiti dalla Ricciola come un gravlax, con verza marinata e maggiorana, per un finale di bocca tutto ligure. Diego si diverte con le soffici Capesante con burro alle alghe, finocchiona fiorentina (come la famiglia Pani) e salsa verde piemontese.
E continua a giocare, ricordando gli anni 80 non vissuti, con il revival del bistrattato Cocktail di gamberi: evoluto in cocktail di frutti di mare edolce zucchina trombetta ligure, irrorato con una versione rosé della mayo (la salsa aurora) da manuale e imbastardito con katsuobushi. Ed è subito festa, che continua con il Gratin di pomodoro (al suo top stagionale), con tonno pinna gialla sott’olio emulsione alle taggiasche e condimento alle erbe. Sintesi mediterranea, “Tonno parte uno” commenta Diego. Perché poi torna con i Rigatoni al ragù, con barbatrucco. Il ragù è a pezzi un po’ napoletano, un po’ toscano, un po’ tuccu genovese. “È di tonno enorme, con un po’ di ginepro. Tonno parte due”. Dall’anima verace, super Fish is the new meat; se non si svela la proteina marina del sugo è un attimo scambiarla per vitello. Grazie al trucco del bouquet di aromi, che fa proprio gola.
Terra di mare e di monti la Liguria, come i Ravioli coniglio, ricci di mare, burrata fresca e timo lucidati al burro, il piatto di Diego che continua a piacer di più. Una sua novità del 2016 still rockin’. E poi viene il filetto: il versatile Branzino con tanto di pelle in scaglie abbronzata e pure croccante con un fiore di zucchina farcito alle mandorle (che per qualche strano gioco di assonanze sa di pansoto con salsa di noci) e un pesto di rucola bello denso per un poco di amaro qua e là. Ecco applicato in toto il concetto “pesce come carne” con effetto stupore tra liguritudine e magia che fa fede allo studio quotidiano della materia prima nella sua semplicità, e al feeling tra cuoco e prodotto. Chiude il viaggio il dolcino Frutta caramellata, sorbetto di pera, chantilly leggera e maggiorana. Meno male che sei tornato a casa Diego.
Marco Polo
Passeggiata Cavallotti, 2
18039 Ventimiglia (IM)