Testo di Ilaria Mazzarella
Foto cortesia delle protagioniste
In tutto il mondo l’8 marzo ricorre la Giornata Internazionale della Donna che celebra le conquiste sociali, economiche e politiche raggiunte faticosamente negli anni; ma parla anche delle discriminazioni e della violenza che ancora oggi vessano il genere femminile. Perché se è vero che nel democratico Occidente viviamo questa giornata con una mimosa in una mano e del sano scetticismo nell’altra, il gender gap è ancora innegabile. Pensiamo all’accesso al lavoro, alla conciliazione famiglia-lavoro, all’uguaglianza salariale. La scrittrice francese femminista George Sand coniò la metafora glass ceiling (soffitto di cristallo) per indicare le barriere invisibili che complicano la crescita in ambito professionale delle lavoratrici e impediscono di raggiungere posizioni di vertice e responsabilità. Un minus che talvolta ha gravato psicologicamente anche sulle poche elette. “L’alta cucina è una gerarchia antiquata fondata su regole stabilite da stupidi vecchi bacucchi che hanno il solo scopo di impedire alle donne l’accesso a questo mondo”, le parole di Colette, unica donna in brigata nel film d’animazione Ratatouille. Ma si tratta di un personaggio di fantasia frutto delle menti della Pixar. Quanto c’è di vero in affermazioni come questa? Nel mondo della gastronomia, dell’enologia e dell’agroalimentare – come in altri – sono tanti gli esempi femminili che si fanno largo in un mondo tradizionalmente ad appannaggio maschile. Ecco alcune testimonianze che aiutano a incrinare il famigerato soffitto di cristallo.
Arianna Giuliodori – Segretario Generale della World Farmers’ Organisation (WFO)
Arianna è una donna di grande cultura e dall’energia travolgente, Dirigente di una Organizzazione Internazionale e orgogliosa mamma di tre figli, un equilibrio costruito giorno dopo giorno con enorme soddisfazione. E un importante carico, che il più delle volte è totalmente autogestito. Il suo percorso professionale nasce con un master in Management di Progetti Europei che da un paesino nella provincia di Ancona la porta a Roma, ma il colpo di fulmine arriva entrando in contatto con il mondo dell’agricoltura e la sua affascinante visione sistemica: territoriale, sociale ed economica. Approccia con uno stage in Coldiretti a seguito del quale le viene data l’opportunità, dopo un altro master, di diventare Segretario Nazionale dei Giovani Agricoltori. Poi il cuore la porta a Parigi, dove si trasferisce non prima di aver firmato un contratto perché l’indipendenza è quanto di più prezioso. Riparte da zero: da quadro dirigenziale a sales junior in una multinazionale americana di Research & Data. “Nel tempo passato a Parigi son stata promossa due volte e ho avuto due figlie, eppure mi è sempre mancato un pezzo di sogno; non ho mai lavorato solo per i soldi, ma anche per poter esprimere me stessa e fare un passo in avanti verso un mondo migliore”. Si auto-finanzia un MBA alla Sorbonne e torna al suo primo amore, l’agricoltura, con una tesi sull’etichettatura di origine. Si sposta a Bruxelles e torna a lavorare per Coldiretti. “Ho sempre incontrato persone che mi hanno supportato e non ho mai pensato professionalmente a me stessa come uomo o donna, ma sicuramente mi sono imposta ritmi pesanti per far coesistere le dimensioni familiari e professionali, a cui ho sempre dato il massimo. Cercando di non dimenticare la terza dimensione, ovvero me stessa”. Arianna rientra a Roma e viene assunta come dirigente dall’Organizzazione Mondiale degli Agricoltori incinta del terzo figlio del settimo mese. Il work-life balance? “È una scelta di vita ed io ho scelto di essere felice quando lavoro e felice quando sono con i miei figli”
Cristina Bowerman – Chef e Titolare del ristorante Glass Hostaria (1 stella Michelin)
Due lauree, fluente in tre lingue, prima Presidentessa dell’associazione Ambasciatori del Gusto, alle spalle un ristorante da diciassette anni – Glass Hostaria, stella Michelin dal 2010 – e due all’estero (Buono by CB in Turchia e Glass Xian in Cina), Cristina è una delle chef che da sempre si batte a favore della parità di genere. Originaria di una piccola cittadina in provincia di Foggia, ha vissuto molti anni negli Stati Uniti tra San Francisco, Los Angeles e Austin. Rientrando in Italia nel 2005 Cristina si è sentita dieci anni indietro? “Ho avuto una mamma e una nonna che mi hanno insegnato il valore dell’indipendenza, poi ho avuto una formazione americana basata sulla meritocrazia. In Italia alla donna viene ancora assegnato principalmente il ruolo di moglie/madre. C’è ancora molta strada da fare perché le donne possano affermarsi professionalmente alla pari dei colleghi uomini, occorre senza dubbio rivedere le politiche sociali e la legislazione relativa al mondo del lavoro, ad esempio partendo dal credito agevolato per l’acquisto di un’automobile per favorire l’indipendenza e la sicurezza femminile”. Cristina testimonia che siamo ancora all’inizio di una importante trasformazione culturale, in cui si tende a forzare la mano sulla presenza femminile in cucina, un po’ perché la quota rosa crea appeal mediatico e un po’ perché pulisce le coscienze gravate dai retaggi patriarcali. La vera inclusione dovrebbe prendere in considerazione le sole capacità professionali più che il sesso di un cuoco, eliminando il cosiddetto Pink Washing: raggiungere le Pari Opportunità è una questione di accessibilità, bisogna arrivare a essere inquadrati come professionisti, non come professioniste donne. “Io per prima ho la piena consapevolezza di essere spesso coinvolta nei panel tra colleghi per il solo fatto di essere donna”. E sul gender pay gap? “Con la mia amica e collega Viviana Varese ci confrontiamo spesso su questo tema. All’uomo si offre di più perché c’è l’abitudine a pensare che possa svolgere determinati ruoli e la donna no; l’altra pratica è quella di chiamare più donne per vedere chi è disponibile al miglior prezzo”. Che lascia supporre, in effetti, che una cuoca valga l’altra.
Elena Pantaleoni – Titolare della cantina La Stoppa
Elena si affaccia nell’azienda vinicola rilevata dal papà tipografo quando questi viene a mancare. È il 1991 quando l’allora ventiseienne è costretta a lasciare la sua libreria per abbracciare un nuovo corso della sua vita, inizialmente affiancando la mamma e, dopo quattro anni, assumendo le redini complete dell’azienda. “Mia madre aveva già voglia di cambiare. Un giorno decide di andare a trovare una sua amica in Cile e finisce per restarci venticinque anni. È sempre stata una donna molto volitiva, mai con un ruolo secondario rispetto a mio padre. In famiglia siamo tutte donne con una grande personalità”. Certo, a volte occorre farsi rispettare dai collaboratori in azienda che sono per lo più uomini; Elena ammette che non sempre è facile, qualche volta bisogna impegnarsi un po’ di più. Col tempo poi realizza che la scelta della mamma non è stata istintiva, ma decisamente strategica: se questa fosse rimasta a lavorare a La Stoppa, infatti, sa che non sarebbe mai cresciuta davvero. “Pian piano la sentirai tua” rassicurava la mamma ormai lontana. Dal 1996 infatti l’azienda muta gradualmente, Elena assieme a Giulio Armani – storico e illuminato enologo de La Stoppa – decidono di estirpare i vigneti non autoctoni reimpiantando uve locali come Bonarda, Malvasia e Barbera: una scelta che si è rivelata vincente e consapevole nel lungo periodo. Elena ammette di aver appreso tutto sul campo, sia dal punto di vista tecnico che manageriale. La sua idea di imprenditoria è sempre stata nitida: l’etica sul profitto e scelte aziendali che privilegiassero i rapporti umani, prima tra tutte la scelta di fare vino naturale. “Oggi posso dire che l’azienda mi rappresenta totalmente, è un progetto che mi sono cucita addosso e che quando ho iniziato non sentivo ancora davvero mio”. La mamma di Elena, che è tornata in Italia, oggi ammira orgogliosa la figlia e può ammettere che sì, ci aveva visto lungo.
Marianna Vitale – Chef e Titolare del ristorante Sud (1 stella Michelin)
Premiata dalla Michelin prima con una stella nel 2012 per il suo ristorante Sud e poi nel 2020 come Miglior Chef Donna, due tavole calde moderne dal nome Angelina all’attivo a cui aggiunge l’ultimo progetto di bar con cucina MarLimone a Pozzuoli, Marianna è l’esempio più squisito di determinazione e concretezza femminile in cucina (e nell’imprenditoria di settore). Oggi è una donna di talento sicura di sé. “Forse quello che mi ha ferito di più agli inizi, all’apertura di Sud, fu il commento che avrei avuto successo solo perché sono donna, quasi come se un marchio di genere potesse identificarmi. Non nascondo che per smarcarmi da questa idea, per un periodo tendevo a nascondere la mia femminilità, eliminando il trucco e legando i capelli. Poi col tempo mi sono ovviamente lasciata tutto alle spalle, perché accettazione e consapevolezza sono la base del successo”. Marianna ha un figlio che, come tanti figli di mamme professionalmente molto impegnate (e appagate), non ha mai avvertito la sua assenza perché è stato sempre normale trascorrere con la mamma altri momenti, come il giorno libero o i viaggi. “Mentre la maggior parte delle mamme prepara la cena per la famiglia, io la sto preparando per gli altri. Ho scelto per mia volontà un mestiere che implica delle rinunce ma ne sono consapevole e ho imparato a gestirle”. Marianna riflette sul fatto che la nostra generazione è ancora legata a certe convenzioni e retaggi, ma se non ha cambiato mentalità finora, lo farà mai? La fortuna è che invece le nuove generazioni sono cresciute con una mentalità completamente diversa dalla nostra, per loro non esistono ruoli maschili e femminili, hanno una ricchezza di più generi con cui confrontarsi. “Ben vengano le pari opportunità, ma ci sono ruoli e compiti che è davvero difficile sradicare, ecco per esempio non posso non chiedermi: ma la domenica pomeriggio, dopo il luculliano pranzo in famiglia, chi è che si alza a lavare i piatti?”
Ella Capaldo – Direttore Marketing e Ospitalità del Gruppo Tenute Capaldo – Feudi di San Gregorio
Sono tredici gli anni che la brillante Ella trascorre nel settore delle relazioni istituzionali dopo i quali sceglie di dedicare le energie nell’azienda di famiglia del marito Antonio Capaldo, il più grande gruppo vitivinicolo del Sud Italia che comprende le cantine Feudi di San Gregorio e i due Cru Goleto e Gulielmus in Irpinia, Campo alle Comete a Bolgheri e Basilisco nel Vulture. L’era Covid le ha permesso un’entrata soft per tarare in che modo apportare valore al gruppo. In pochi anni molti obiettivi centrati, come l’impegno rivolto alla differenziazione dei brand sulla base del target di riferimento, la mirata formazione interna degli agenti, il dimezzamento delle 90 etichette a sole 50 e l’ottenimento delle certificazioni B-Corp ed Equalitas. Ella appura che chi non proviene dal mondo del vino è una tabula rasa, senza alcuna zavorra, in grado di apportare una visione nuova e fare rete dando visibilità a un territorio naturalmente vocato alla biodiversità come quello dell’Irpinia: qui il vino, ad esempio, viene fatto da un agronomo – Pierpaolo Sirch – e non da un enologo. “Contribuisco con orgoglio a un progetto profondamente radicato in Italia e nella sua migliore espressione valoriale: l’apertura culturale, la ricerca artistica, il gusto per l’esplorazione, il rispetto per la natura e le persone, la creatività e la curiosità”. In Tenute Capaldo circa il 50% delle posizioni dirigenziali sono ricoperte da donne, che sono mediamente meglio organizzate, precise e puntuali dei colleghi. Come concilia Ella gli impegni di lavoro con la prole? Senza sensi di colpa, dando valore al tempo assieme e portando i figli nei viaggi di lavoro. “Ho avuto una mamma che non lavorava: oggi ne comprendo la frustrazione e ho cercato di evitare i suoi errori accompagnando le gioie della maternità con una professione gratificante”.
Roberta La Piana – Pastry Chef del ristorante Follie, Villa Agrippina – Gran Melia Hotel*****
Roberta con la passione per la pasticceria ci nasce. Da adolescente mette da parte i soldi per pagarsi un corso di cucina e a 19 anni lascia Reggio Calabria con destinazione Roma, dove si fa le ossa per due anni in una piccola realtà alberghiera e approfitta delle stagioni estive per fare esperienza. Inizia a lavorare nella Pasticceria Barberini, dove entra in contatto con la pasticceria da laboratorio, poi al Ristorante 1978 fino all’Antica Fonderia accanto ad Alba Esteve-Ruiz e Valentina Pacifici. “È stata un’esperienza bellissima lavorare con due donne. Fino a quel momento non era mai capitato, sempre e solo uomini in cucina o nei laboratori. Non che questo mi avesse mai intimorita, nessuno si è mai permesso di trattarmi diversamente. Ma i loro discorsi tipici in cucina finiscono per essere poco coinvolgenti e tendono a isolarti”. Roberta ha fatto una lunga gavetta, è fiera di dover tutto a sé stessa e alla propria determinazione. Lavorare nella brigata di un cinque stelle lusso oggi è gratificante, soprattutto al fianco di una guida come Luciano Monosilio che punta in alto mantenendo un clima di lavoro sereno. Gli orari di lavoro sono talvolta ancora un problema: “I miei genitori continuano a chiamarmi mentre sono in servizio”. Tutta la famiglia è ancora a Reggio Calabria, a Roberta manca la sua città natale? A volte si affaccia un po’ di nostalgia, essere lontani da casa non è sempre facile; a Reggio oltretutto è davvero difficile vedere donne in cucina, al massimo nelle trattorie tradizionali o in sala. “Giù c’è ancora molta strada da fare e di certo so che non riuscirei a sentirmi realizzata come qui a Roma. E questo mi spinge a continuare imperterrita nella mia strada di crescita professionale. Senza mai mollare”.
Ludovica Rubbini – General Manager e Titolare del ristorante San Brite Cortina (1 stelle Michelin)
Bolognese classe 1985, si trasferisce ventiduenne a Cortina quando si innamora di Riccardo Gaspari e inizia a lavorare con quelli che sarebbero diventati i suoi suoceri nell’agriturismo di famiglia, dapprima solo in sala, poi lentamente apportando una ventata di cambiamenti, come il menu cartaceo, le tovaglie e alcuni elementi di design. Riccardo all’epoca non si occupava dell’agriturismo, preferendo le piste da sci, ma pian piano l’armonia che stava costruendo Ludovica inizia a essere una grande calamita, tanto che pochi anni di intenso studio lo portano subito in cucina. Ludovica si specializza anche come operatrice della trasformazione lattiero casearia per aprire il Piccolo Brite, caseificio con annesso punto vendita. Ma il vero punto di svolta arriva con l’apertura del San Brite, che dopo soli tre anni viene insignito della stella Michelin e poi della stella Verde. Ludovica si è mai sentita penalizzata in quanto professionista donna? “Nella mia vita lavorativa mi sono accorta spesso di essere ascoltata diversamente, anche dai miei dipendenti uomini. Ho sempre sdrammatizzato certe situazioni, non ho mai permesso a nessuno di tarparmi le ali, anche grazie al supporto di mio marito che è il primo che rispetta le mie decisioni. Allo stesso tempo non ho mai avuto paura di chiedere aiuto quando serviva, non sentivo il bisogno di fare la super donna né temevo di sembrare più fragile”. Nei momenti di sconforto Ludovica riceve il consiglio più importante proprio da Riccardo, che da un lato è paradossale, e per questo va saputo leggere. “Cerca di fare l’uomo”, ovvero cerca di prendere le cose alla leggera: la sensibilità innata della donna la porta a empatizzare spesso con tante situazioni che finisce per interiorizzare. “Mi insegna a essere più distaccata e razionale quando occorre. D’altra parte, ci si compensa in coppia. Quello che ho consigliato io a lui invece è di godersi i momenti di gioia: è un ex sportivo e non riesce a fermarsi per vivere il momento perché la testa lo porta già al traguardo successivo”. Ludovica è mamma di due bambine con una preziosa tata a supporto. Le figlie crescono serene: vedono la mamma appagata e un papà presente che condivide equamente le responsabilità di casa. “Il mercoledì il ristorante è chiuso ed è il nostro giorno. Lo abbiamo chiamato family day. Il problema per me talvolta è superare i sensi di colpa”. Che son quelli che il retaggio patriarcale ha inculcato alle donne, che dovrebbero sempre tenere a mente che il loro contributo professionale arricchisce la famiglia. E soprattutto la società.
Sara Scarsella – Chef e Titolare del ristorante Sintesi (1 stella Michelin)
Classe 1992, si diploma all’Alma e colleziona stage in alcuni dei migliori ristoranti del mondo, partendo da Caino – dove incontra (in cucina ovviamente) l’amore, poi a Copenaghen fino a Sydney, mentre apprende tecnica, esperienza, passione che riporta a casa sua. Apre Sintesi assieme al compagno Matteo Compagnucci e la sorella Carla, in piena pandemia, il primo marzo 2020 difficoltà che anziché buttar giù i giovani imprenditori, li tempra per planare nell’olimpo dei premi: per Sara arriva Migliore Chef Emergente nel 2022 e Sintesi riceve la stella Michelin nell’ultima edizione della Rossa. Riconoscimento che contribuisce alla visibilità di un ristorante un po’ nascosto nella cittadina di Ariccia (Castelli Romani), area celebre per le fraschette popolari, l’ottima Porchetta e la famosa Romanella, ma non certo per la proposta di fine dining. Grazie alla stella sono arrivati residenti dei Castelli che ancora ignoravano l’esistenza del ristorante e molti altri avventori. E Sara come vive l’esperienza di donna in cucina? Quando si è affacciata per la prima volta in una brigata all’estero si è sentita dire: “Preparati che il tuo fidanzato si troverà un’altra”. Non si è mai lasciata spaventare dal sacrificio, dagli orari logoranti o dal fatto che non potesse esser libera nei giorni tradizionalmente di festa. Il supporto familiare è alla base del lavoro e di una costante resilienza, così come di una crescita consapevole da imprenditori che reinvestono tutto nell’azienda perché migliori giorno dopo giorno. Lo Stato non agevola di certo la donna se desidera una famiglia, soprattutto da imprenditrice. “Ma guardiamo il lato positivo: al Geranium hanno scelto il mio curriculum e non quello di Matteo perché Rasmus Kofoed preferisce le donne nella sua cucina: secondo lo chef, abbiamo una sensibilità spiccata e un maggiore senso estetico”.
Carla Scarsella – Sommelier e Titolare del ristorante Sintesi (1 stella Michelin)
Non aveva nemmeno trent’anni Carla Scarsella quando è stata catapultata in sala – tre anni fa – dopo essersi appena laureata in Scienze della formazione primaria. La passione per la ristorazione è di famiglia perché prima di aprire Sintesi, nel febbraio 2018, si diploma sommelier AIS. Carla è sveglia e solare, apprende in fretta, cresce assieme al ristorante, con il contatto con i clienti e grazie alla squadra unita che contraddistingue Sintesi. Se a volte si è sentita giudicata in quanto giovane donna? Avere una squadra mista in sala serve anche per capire quale tavolo desidera empatizzare e chi preferisce maggiore privacy. Il cambio di clientela dopo la stella è stato evidente, ma se la Michelin li ha premiati con un macaron è giusto che continuino con il servizio che li ha sempre contraddistinti senza doversi necessariamente standardizzare. Più che la direttrice di sala – le dicono – è strano trovare una donna nelle vesti di sommelier, ruolo che si immagina più spesso (in Italia?) incarnato da un uomo. “Ciò che è certo è che con mia sorella Sara si litigava più quando si viveva sotto lo stesso tetto che ora che condividiamo le tante responsabilità di gestione del ristorante”. Il paradosso? Che le ore passate assieme sono molte, ma molte di più.
Nicoletta Loreti – Titolare della Cantina del Tufaio
Nicoletta da bambina viveva la cantina di famiglia – che suo padre Claudio nel 1994 tramuta da realtà squisitamente contadina ad azienda – come fosse una sorella vorace. Alla vigna – da cui viene tenuta spesso lontana – vengono dedicate molte attenzioni che la ragazza inizialmente non riesce a comprendere. Dopo gli studi in Economia e un anno alle prese con una professione attinente ai suoi studi, sente che la sua vocazione è legata alla terra, la sua terra. È il 2016 quando Nicoletta si riavvicina definitivamente all’azienda di famiglia e inizia a lavorare con il papà. Non è subito facile: il fatto di essere figlia unica le ha fatto spesso avvertire il peso di dover assecondare i desideri del genitore, acuendo quei conflitti generazionali fisiologici, che sono anche e soprattutto utili spunti di discussione. Ma i due presto capiscono di aver bisogno l’uno dell’altra per dare un futuro roseo alla Cantina del Tufaio. “È fondamentale per me il supporto di mio padre, per un certo periodo sentivo di dovergli sempre dimostrare qualcosa. Nel giro di questi ultimi anni sono riuscita a emanciparmi dal suo giudizio, anche se i conflitti tra noi per decidere la direzione aziendale non mancano”. Nicoletta ha convinto il papà ad avviare la conversione in biologico e si è recentemente appassionata alla biodinamica (il prossimo step?). Ha conquistato l’orgoglio paterno rendendo l’azienda meta di un turismo enologico sempre più importante, con visite in cantina e degustazioni. Nel 2018 ha realizzato la sua prima vinificazione, che ha dato poi il via a una sua linea di vini che prende il nome di 6 Gemme, perché con lei è partita la sesta generazione di vignaioli della famiglia Loreti: “un progetto nato dalla mia curiosità e dalla voglia di sperimentare, tornando sulle orme di mio nonno, grazie al supporto e allo stesso tempo alla stimolante reticenza di mio padre”.