La cucina di Gianfranco Pascucci tradotta con fedeltà per le famiglie in quarantena
Testo di Lorenzo Sandano
Foto di Alberto Blasetti
Illustrazione di Federico Taddeucci
Ma voi ve lo ricordate il mare? Abbonatemi questo deragliamento romantico, ma quando sbuca irruente il sole dal mio terrazzo non riesco a fare a meno di pensarci. Pensare a quando potremo far schioccare di nuovo i piedi sul bagnasciuga. Osservare la spuma dell’acqua che corteggia gli scogli. Scrollare la sabbia indesiderata dai costumi umidicci. Forse anche la pipinara di Ostia mi tornerebbe affabile in questo momento enigmatico. Pensiero palliativo per l’anima, forse. Menomale che il Delivery Report ci avvicina con i sapori anche agli effluvi salmastri del litorale perduto. Menomale che Gianfranco Pascucci c’è. Di lui – cuoco, poeta e surfista degli abissi – ne abbiamo già parlato su Cook_inc.15. Ma ritrovarlo impegnato in un’inedita muta a domicilio, è una novità incoraggiante per me e per il mio compagno d’avventure Alberto Blasetti. Un cavallone anomalo da gestire per Pascucci e il suo team in prima linea che però – come ogni missione presa in carico da sempre – lo ha visto lanciarsi nel tube dell’onda preservando estrema coerenza e un linguaggio conforme alla propria identità culinaria.
Meticoloso, atletico e brillante nel trasporre i piatti di una cucina stellata in un formato d’impronta casalinga. Senza tradire un milligrammo del suo stile, bensì traendone fonte d’ispirazione e inventiva per attraccare nel cuore (e nello stomaco) dei quarantenati. Recapitando prospettive edibili dalla sua amata periferia iodata di Fiumicino. Se il rischio di deformare o corrodere l’immaginario del fine dining è molto più elevato di altre forme di ristorazione, non significa non ci siano applicazioni alternative. Pascucci ha individuato subito che il suo obiettivo doveva puntare verso altri orizzonti: riversare la tecnica, lo studio e la ricerca maniacale della materia prima, in portate dal pronunciato appeal domestico. Per non lenire l’integrità del suo messaggio, restando se stesso anche in questa formula. Lascio a lui le parole, nel consueto del QuarantineQuest, per entrare nel dettaglio di questo ammirevole progetto.
Quando/come hai deciso di scegliere e di impostare l’offerta del delivery in questa situazione di quarantena?
Ho pensato al delivery alla fine della prima settimana di stop. Dovevo assolutamente fare qualcosa, continuare a cucinare, a incontrare i clienti e soprattutto fare qualcosa di nuovo. Vanessa, mia moglie e direttrice di sala, mi ha dato la carica e sono partito in quarta. Ho telefonato a Kerim – il mio secondo – ed era giù di morale, come me di fronte a questa emergenza critica. Si è entusiasmato quando gli ho introdotto il progetto. Ho avuto le idee subito chiare: portare a casa dei nostri clienti un prodotto nostro ma pensato “per la cucina di casa”. Il più buono e facile che potessimo realizzare. Al ristorante mi altero se un piatto aspetta una manciata di secondi al pass prima di essere servito, quindi non ho proprio considerato l’idea di consegnare piatti pronti o tantomeno piatti che richiedano un lavoro di squadra importante come al nostro Porticciolo. Doveva essere qualcosa con studio differente all’origine. Per rimanere fedeli alla nostra filosofia.
Metodo di conservazione, packaging, consegna. Come lo avete pensato? Il valore di ospitalità in un ristorante come il tuo viene inevitabilmente messo in pausa? Si riesce a compensarlo in qualche modo?
Abbiamo cercato subito di instaurare una nuova forma di contatto con i clienti. Anche in questa nuova proposta. Abbiamo deciso di consegnare noi in prima persona. Io e Kerim, con aiuti dal nostro team, confezionando autonomamente i nostri kit. Noi li facciamo, li assembliamo e sempre noi li consegniamo. Incontrare i clienti porta a porta è bellissimo in questo momento, ti fa tornare l’energia per pensare positivo e guardare avanti. Avvertendo che quel che hai sempre fatto non è stato cancellato. Anzi, deve solo trovare nuove rotte e nuove modalità di applicazione.
Piatti da comporre e rigenerare a casa. Lo chef che si pone un passo indietro di fronte a una circostanza incontrollabile, senza abbandonare il ruolo e la sua missione di cuoco. Come avete studiato i diversi formati delle proposte e il modo di servirle? Raccontateci le proposte e come le avete studiate.
Dietro un assaggio estremamente ghiotto e fruibile, il nostro fine è stato mantenere alto il tenore di ricerca e manodopera che non abbiamo mai interrotto in questi anni. Partendo dal riadattare anche piatti signature di Pascucci. Il sugo allo stracotto di tonno ad esempio ha due giorni di lavorazione. Partiamo dal tonno rosso del Mediterraneo. Che a contrario di alcune dicerie può essere eticamente valido da utilizzare per sostenere una tipologia di pesca a rischio. Uso la parte della testa, i lobi frontali, sottogola e ventresca, salati per 10 minuti poi fatti asciugare in frigorifero per una notte. Il tutto marinato per 5 ore con erbe e spezie, poi bollito con tutta la marinata per 40 minuti. A questo punto si aggiunge il pomodoro. Un gran pomodoro come quello dell’azienda agricola Paglione, portato a cottura lentamente per circa 1 ora e mezza. Filtro il tutto e realizzo un condimento sofisticato, che però si presenta come un sugo pronto facile da usare anche a casa. Così come il nostro Panino da Spiaggia: una bella scommessa. Ci abbiamo lavorato un bel po’. A oggi il nostro classico panino viene cotto al ristorante e una volta consegnato può essere rigenerato in forno o in microonde; rende benissimo. Il burger si scotta al momento lasciando al cliente la scelta del grado di cottura desiderato. Inclusi nel kit ci sono i condimenti per arrivare al gusto autentico di un boccone per noi iconico, però facilissimo da realizzare in famiglia.
Quali sono i consigli e i tempi per consumare al meglio le pietanze e i prodotti che selezionate? Avete predisposto delle indicazioni per indirizzare i consumatori?
Mi piace molto l’idea del kit che abbiamo strutturato: trovi tutto quello che ti serve e ti diverti con un margine di espressione casalinga. Forniamo delle indicazioni a voce e anche dei video-tutorial sui nostri canali social. Poi puoi decidere tu come gestire alcuni condimenti senza alterare la bontà del piatto. E l’assaggio si completa al momento, con un bassissimo margine di errore. I vari kit vengono preparati la mattina e spediti immediatamente, consigliamo di consumarli entro il giorno successivo alla consegna per avere il massimo risultato. Poi dipende dalla ricetta: lo stracotto diventa quasi più buono anche due giorni dopo.
Salvaguardia e promozione di piccoli produttori, pescatori, ecosistemi locali, oasi e territori incontaminati: un tuo mantra lavorativo che ha sempre definito e accompagnato l’identità culinaria del Porticciolo. Riesci a mantenere un legame con questo processo anche ora?
Certamente, è uno dei motori propulsori che mi sprona a fare e dare il meglio, anche in queste condizioni alterate. Un esempio su tutti, il piatto del pesce in crosta che oltre a riassumere il mio rapporto con i fornitori è anche un omaggio ad Alberto Zafrani: mio primo maestro, faceva questa ricetta tanti anni fa, buonissima, facile e godibile. L’ho modificata e riproposta con il filetto di orata proveniente dalla laguna di Orbetello. Un prodotto nato libero ed eccezionale. Accessibile per costi a un formato come questo mantenendo qualità elevata. Prima di iniziare il delivery con questa ricetta è stato fatto un lavoro insieme a Gino Amoruso di Pesca Pronta per poter avere la disponibilità di questo prodotto unico. Si accompagna con insalata strepitosa dell’azienda Biodinamica Le spinose di Magliano Sabina. I miei nonni (quelli che hanno costruito il ristorante) erano di Magliano. Lavorare i prodotti di Antonella per me significa un po’ tornare alla casa dei nonni.
La clientela sta rispondendo bene? Da quali zone arrivano più ordini?
La clientela sta rispondendo molto bene. Le ordinazioni arrivano da tutta Roma, pochissime da Fiumicino in realtà. A dire il vero, ci sono state richieste anche da altre parti d’Italia e questo mi rende ancor più fiero di esserci. Una scelta che ci rende tranquilli però è di fare poche consegne, quelle che riusciamo a fare e che non alterano il livello che vogliamo mantenere. Consegniamo in due persone, due volte a settimana circa.
Il delivery è una forma di attività sostenibile per lavorare in questo momento critico per tutti? La ristorazione può farci affidamento?
Il delivery per me in questo momento è una sfida interessante e utile. Credo che continuerò a farlo anche in prossimità di feste e ricorrenze. Non solo, mi sta fornendo diversi stimoli e idee per ripensare alcuni miei piatti in un formato vendibile su altri canali o piattaforme. Sfidando un mondo controverso come quello industriale magari, ma tutelando ogni mio tratto etico e stilistico. Vedremo. Dipenderà anche dagli eventi e dal mio team. Al momento collaborano con me, Vanessa, Kerim e Francesco. Per l’aspetto di sostenibilità, trovo inadeguata la percentuale di margine che viene applicata dai servizi delivery dai vari distributori. In linea di massima il 40 per cento. Nel mio caso inciderebbe troppo sul prezzo finale e la materia prima secondo mia imposizione non si tocca. Anche per questo abbiamo preferito consegnare personalmente. È stato un gesto naturale che ora mi rende molto felice.
Siete fiduciosi per la ripresa della ristorazione romana e italiana dopo la quarantena? Quali sono le tue impressioni?
Al momento non vedo l’ora di poter tornare a esprimermi nel mio Porticciolo, un luogo per me molto importante, fatto di persone, gesti, cooperazione e con l’ospitalità fondamentale interpretata da Vanessa in sala. Quello che si fa al Porticciolo può essere fatto solo lì. Sono anni che costruiamo una struttura – a volte invisibile – che ci permette di essere creativi, funzionali, attenti al gusto e motivati. In questo momento credo sia importante essere coesi, sentirsi vicini alle persone giuste: collaborare, creare o almeno gettare le basi per collaborazioni future. Sono spesso al telefono, ascolto e parlo con molti amici. Mi danno forza e spero di darne anch’io. Al tempo stesso non esistono assoluti, è tutto così nuovo e in evoluzione. Non riesco a fare previsioni o a dare soluzioni nette per una ripresa. Ho un paio di obiettivi e uno di questi è fare sistema appunto. Augurandomi che quando passerà tutto ci ricorderemo con maggiore affetto di chi abbiamo stimato in questi momenti di difficoltà comune.
DELIVERY REPORT
WApp Chronicles
Io: “Arrivato il pacco. M’avevi provocato? Mo me te voglio vedere a impiattare e scattare le ricette di uno stellato! Ahahahah. Ti salvi in corner forse solo perché la bontà d’animo di Pascucci ha reso questi kit davvero accessibili a tutti. Ogni dressing, contorno, erba aromatica è pronto all’uso con il minimo sforzo. Un lavoro colossale. Tutto brilla di luce marina, anche se il mare da qui è solo un sogno. Ma non ci possiamo lamentare no?”
Alberto: “Provocazione a parte, maledetto, mi hai tolto le parole di bocca. Pensavo proprio di scattare con luci molto aperte. Candore, piani bianchi con incursioni marinare. Ove possibile, con gli utensili e i suppellettili che mi ritrovo a casa. E che stanno anche a finì porca vacca. Devo sfoggiare tutta la mia abilità di impiatto e fantasia stavolta. Sarà più dura del solito.
Io: “Ho molta fede in te Blasetti San. E, se posso consolarti, il buon Gianfranco ha evidenziato che dobbiamo divertirci. Sia ai fornelli, che all’assaggio. Quindi questo tono anche potrebbe esser buono per il setting che hai prontamente ideato. Maneggiamo cibarie stellate, dunque massimo rispetto, ma riadattate al focolare domestico. Due visioni vicine ma distanti, come noi due in questa folle impresa di report quarantenato.
Alberto: “La fai semplice tu col tuo romanticismo mangereccio, io qui mi devo cimentare in una frittura gourmet che mi porterà a mangiare il fritto freddo lo sai vero? Piuttosto rimetti i piedi per terra e recuperami qualche foto delle ricette impiattate al ristorante. Così ti sorprendo con effetti speciali.
Io: “Sfida accettata. Tensione solerte sino all’ultimo calamaro pastellato. Ne rimarrà soltanto uno. Non di panino da spiaggia però. Quello me lo sono già sbafato mentre chattavo con te fratello”.
Panino da Spiaggia:
trasformare il benvenuto simbolo del ristorante in un piatto domestico è un’impresa non irrilevante. Pascucci non solo c’entra il segno con il massimo punteggio gustativo (e lo posso affermare bene io, che ne ho mangiati secchielli interi) ma conferisce al suo piatto il valore aggiunto dell’interattività. Nel ciclo istantaneo di 30 secondi netti (cottura del pane in microonde + cottura del mini-burger di pesce) hai già la ricetta completata al 99%. Il resto è puro divertimento e godibilità gestuale: tra la spruzzata di maionese al cipollotto (pronta all’uso in sac à poche) dal timbro assuefacente, il condimento di rucola biologica e il dosaggio a piacere di una umamica e intensa salsa ponzu confezionata a mestiere. Io e il fotografo ci siamo punzecchiati nel tentativo di presentarlo come al ristorante. Ma la fedeltà confortante di questi bocconi iodati si riproduce in ogni scelta d’applicazione possibile.
Tagliatelle allo stracotto di tonno:
anche qui, un cult del Porticciolo, tradotto lungo una metrica di leggibilità futuristica. Nei cinque minuti in cui la pasta Felicetti prende vita nell’acqua bollente, il sugo è già pronto ad accoglierla appena ravvivata in padella. Due salti ondeggianti con manico casalingo e il gioco è praticamente fatto. Sfidando l’idea di uno spauracchio salva cene studentesche come la pasta col tonno in scatola, il piacere dell’assaggio supera il timbro già superlativo della ricetta. Puoi scegliere se mantecare con il pecorino in padella o grattarlo direttamente sul piatto come farebbe nonna, mescolando nella cuccumella da servizio. Due foglie di basilico e favette fresche in dotazione ci ricordano che la primavera sta sbocciando anche lungo mare. E quel sugo profondo, saporoso e orientaleggiante ci lascia imbarcare con la mente ben oltre i margini del nostro appartamento. Il Blasetti non solo l’ha impiattato/divorato con classe invidiabile ma ha fritto gli avanzi in padella (secondo sua ricetta brevettata) ricevendo complimenti e approvazione dallo chef. Pure raccomandato mo’!
Fritto di calamari con confettura di cipolle rosse senapate:
il fritto ottimale – a casa e al ristorante – è sempre un campo di prova ostico, ove muoversi con cautela. La premiata ditta Pascucci ha studiato in maniera ferrea una versione aderente al fritto fine dining che presenta in carta partendo da un mix di farine idonee per la panatura. Poi un bilanciamento scientifico nelle dosi della pastella: capace di reggere lo shock del trasporto, di apportare giusto collante e croccantezza, ma anche di essere rigenerata solo con ausilio di frullatore per chi non possiede un sifone in casa (la versione originale la prevede infatti sifonata). Una meccanica talmente certosina, che sta indirizzando Gianfranco anche all’idea di metterla in commercio su larga scala come Kit per tempura homemade. Io sono con lui, perché il risultato è fenomenale. E stavolta non spendo lacrime eccessive (scherzo) per il fotografo che lo avrà mangiato forse un po’ over-temperatura. L’esito per la frittura perfetta con questi elementi è davvero a portata di tutti. Intingete rapidamente i lembi di calamari (pre abbattuti) nella proto-pastella emulsionata e tuffateli in sequenza nella farina e nell’olio di semi bollente (presente nel box). Appena dorati – ma non troppo – raggiungono una texture dal crunch inenarrabile. La confettura di cipolle appena scaldata sprona al più vivace contrasto sweet&sour, con picchi orientali. Poi si può fare i fighetti con scarsi esiti come me, giocando con le erbette aromatiche nella decorazione. E qui il Blasetti vince a mani basse. Anche se il fritto è bono caldo e questo mi riporta in semi-parità.
Orata in crosta di patate: superare i propri limiti, restando a casa. Anche per uno chef ambizioso si può arrivare a tanto. Questo piatto sintetizza tanti tratti primari del Delivery firmato Pascucci: umori, movenze e tracciati familiari condensati in un filetto al forno con il level up materico di un prodotto di rara foggia e una praticità esecutiva imbarazzante: 180°C in forno per 12/14 minuti e il piatto è pronto. Lasciando sempre il timone di comando sul grado di gratinatura esterna, sulle patate della crosta. Come side, un pot-pourri vegetale di insalate biologiche, erbe marine, fiori eduli e una salsa acetica dalle grintose note nipponiche. Alberto – corrotto dalla sua competizione d’impiattatore – ha preferito posizionare il condimento a parte per non appesantire l’estetica dello scatto. Io ho fatto un bagno alle verdure come quando si prende la rincorsa per tuffarsi in mare senza prender troppo freddo. Elettrizzante, ma quel che sorprende è la complessità minimalista del pesce: la pelle ricreata dal manto di tuberi irradia l’olfatto di ginepro, olio buono e rosmarino. Il filetto, intaccata la crosta, si impone umido, scioglievole e vivido nei suoi succhi. Riempendo tutta la cucina di inebrianti profumi ancestrali. Uno scrigno d’accesso alla felicità più profonda dei fondali marini, riportata a galla come ancora di speranza e ristoro in questa quarantena.
Note, in chat, a margine
Io: “Sei vivo?”
Alberto: “Si, bro. E stavolta più che mai mi è sembrato davvero di stare a fa un servizio sul campo. Cribbio che tensione. Mentre impilavo quei calamari fritti mi sembrava di avere gli occhi di Pascucci puntati come un far su di me. Però penso di non essermela cavata così male. Sono abbastanza soddisfatto. E poi, sono quasi certo di averti battuto. Pur di mangiarti le cose calde avrai commesso qualche passo falso sicuro”
Io: “Non credo se non vedo. Ma temo di sì. E lo sai che ti dico, in fondo il bello è proprio questo. Capiamo sempre di più qui da casa: io continuo a ragionare da gastronomo e assaggiatore, tu da fotografo professionista, pure quando dobbiamo cimentarci con gesti comuni. E nonostante mi rode perdere queste dispute sceme, penso sia una delle ricchezze più grandi da riscoprire in questi giorni. Ritrovarsi integri e fedeli al proprio ruolo, alle proprie passioni, autentici nei nostri limiti, come siamo noi, come lo è quel fenomeno di Gianfranco Pascucci. Anche in Delivery”.
TO BE CONTINUED
Episodio 3: A Rota di Eufrosino con Negroni dell’Italian Cocktail Club