Testo di Greta Contardo
Foto cortesia di Triple A
Resistentissimo, inossidabile, splende anche al buio, il diamante incarna alla perfezione i principi di fermezza e solidità alla base di un rapporto che dura da sessant’anni. E per l’appunto si chiamano nozze di diamante i sessant’anni di matrimonio a simboleggiare la purezza e la tempra di una unione tanto rara quanto desiderabile. 1964-2024 sono sessant’anni che i vini della cantina Emidio Pepe brillano proprio come la pietra preziosa per eccellenza. Gemme rare, espressione pura e sincera delle evoluzioni del territorio abruzzese. Torano Nuovo – nel teramano, a 10 chilometri in linea d’aria dal Mar Adriatico e a 20 dal Gran Sasso – è stata (ed è tuttora) la culla di una rivoluzione tanto gentile quanto impattante.
Tutto ha inizio negli anni 60 quando il giovane Emidio Pepe, contadino, cambia il corso della storia dopo un’esperienza lavorativa in Olanda: decide di trasformare le uve di proprietà di famiglia – che fino a quel momento erano destinate alla vendita – e fonda la sua azienda, Aurora. Decide di produrre vino con delle precise caratteristiche, sovversive per l’epoca: doveva essere ”una spremuta d’uva”, diceva lui, intendendo un vino assolutamente genuino che facesse bene a chi lo beveva, un vino in completo dialogo con il luogo, un essere vivente. Decide di puntare su due vitigni autoctoni, Montepulciano d’Abruzzo e Trebbiano, e di credere in un potenziale che solo lui riusciva a immaginare. Erano considerati vini da taglio, di poco conto, da bersi giovani, ma per lui quella materia – trattata con le mani giuste e con pazienza – poteva raggiungere vertici impensabili; poteva lasciare il segno in tutto il mondo, poteva aspirare alla longevità dei grandi vini. Ce l’ha fatta e sessant’anni dopo siamo qui confermarlo radunati in una grande tavola ovale di pochi intimi (clienti storici e amici) al Four Seasons di Firenze per celebrare l’anniversario insieme a Sofia Pepe e a suo marito Fabio Gracchi.
“Ma tu lo sapevi già di fare uno dei migliori rossi del mondo? Sì, io sono partito proprio con questa idea” leggiamo nel libro biografico Manteniamoci giovani – Vita e vino di Emidio Pepe di Sandro Sangiorgi che ripercorre le tappe dell’azienda, redatto in occasione del cinquantesimo anniversario (libro che consigliamo caldamente di leggere per imparare valori, ben oltre l’universo enologico).
È una storia di coerenza quella di Emidio Pepe. Coerenza e tenacia. Quando il mercato chiedeva il contrario, lui non ha ceduto a nessuna legge economica e ha continuato a prendere il meglio di quello che la natura offriva. “Lo prendevano per matto, ora lo chiamano maestro – racconta Sofia Pepe, la figlia più piccola di Emidio – ci hanno messo cinquant’anni per capire che era sulla strada giusta. Ho vissuto questo cambiamento perché lavoravo con lui già da una ventina d’anni, prima facevamo una fatica e tutte le mattina, quando andavo a vendere il vino in giro, papà mi diceva: coraggio”. In quell’incitamento c’era la consapevolezza di essere sulla strada giusta, “con i piedi ben piantati per terra e lo sguardo lungo”. Poi d’improvviso tutto è cambiato fuori, l’approccio al vino come essere vivente ha iniziato a essere digerito e tutto il resto è storia recente di una cantina – nota e riconosciuta a livelli internazionali – che si è meritata la stima e il rispetto riservato alle grandi eccellenze. Ora Emidio Pepe ha 92 anni, è ancora la pietra miliare; tutti i giorni cammina i suoi spazi, le vigne, la cantina e guarda sereno il futuro nelle mani della sua famiglia. Sono tre le generazioni di Pepe che compongono il presente.
“La parola famiglia con Pepe è sempre sottostimata” commenta Adriano Zago, agronomo dell’azienda che da anni segue filare per filare i 17 ettari di vigneto della proprietà. La famiglia Pepe ha un rapporto viscerale con la vigna e con la cantina, “si impara respirando”. Sì, perché a casa Pepe il vino e la famiglia sono un tutt’uno, si cresce immersi da capo a piedi nell’ambiente enologico, le nozioni sembrano essere assimilate per osmosi e – spesso – si sceglie l’azienda come proprio futuro. Nessun obbligo, solo sentimento. È successo per Daniela e Sofia, figlie di Emidio, che fin da giovani hanno affiancato il padre, la prima principalmente nella parte amministrativa, la seconda come erede diretta del sapere di vigna e cantina. È successo con Chiara ed Elisa, le nipoti (figlie di Daniela), che si occupano rispettivamente della produzione e dell’evoluzione dell’Agriturismo Emidio Pepe che sta vivendo un brillante nuovo corso (per scoprirlo, leggete l’articolo di Lorenzo Sandano su Cook_inc. 33). E chissà che non accada ancora con gli altri nipoti che già dimostrano talento e vocazione.
“I passaggi generazionali non sono stati mai facili, ma sono stati meravigliosi, è un piacere lasciare che l’entusiasmo e l’energia dei giovani prendano in mano l’azienda per portarla sempre più in alto – spiega Sofia – con la capacità di rimanere sempre competitivi perché piantati per terra ma con lo sguardo verso l’infinito”. Ricorda che l’evoluzione generazionale a Casa Pepe è un passaggio delicato che intreccia l’entusiasmo dei giovani e l’esperienza anziani e si basa sulla fiducia. Sofia ha iniziato a 18 anni a lavorare con il padre e dopo tanti anni a vendere il vino finalmente Emidio le ha concesso di affiancarlo in vigna e cantina. “C’è voluta la pazienza la diplomazia delle donne per far sì che lui ci lasciasse con tranquillità l’azienda – commenta – commettevo errori, ma in ogni situazione sapevo che c’era papà a cui potevo chiedere, a cui potevo farlo riferimento. Adesso la stessa cosa cerco di farla con Chiara… ma sono un po’ meno rigida, Chiara ha un atteggiamento più aperto perché ha girato il mondo”. Dicono che il tempo migliori ogni cosa, ma in questo caso sono le generazioni a farlo. Sofia ha introdotto l’approccio biodinamico dimostrandone a Emidio le virtù (con fatti alla mano), ora è Chiara – entrata in azienda nel 2020 – ad avere a che fare con i drammatici cambiamenti climatici e a reagire all’imprevedibilità degli agenti atmosferici con grinta, testa e cuore. Custodendo, valorizzando e salvaguardando ogni giorno il gran lavoro di Emidio. “La vitalità e l’energia di questa famiglia rendono la complessità funzionale e il punto di sintesi rimane sempre il vino” commenta Zago.
Complessità è un’altra parola chiave – che si aggiunge a coerenza e famiglia – di questa storia. Ha un’accezione positiva e si ritrova in notevoli aspetti. È complessità nelle forme di allevamento (con il tendone per il Montepulciano che consente ai grappoli di maturare quasi all’ombra delle foglie; nella gestione dei vigneti con la presenza di alberi; nei suoli che più sono complessi più specie ospitano; nelle vedute che non si stancano mai. Ed è complessità anche e soprattutto nelle 350mila bottiglie che riposano nell’impressionante cantina di affinamento. Rappresentano 40 annate, una preziosa rarità di profondità, “sono la storia di un vino” commenta Sofia. “Il vino è come un essere vivente che vedi crescere” commenta Sofia. Ogni anno solo parte delle bottiglie va sul mercato – e tutto dipende dall’annata – mentre le altre maturano in cantina e solo quando la famiglia le riterrà pronte verranno immesse nel mercato. Il tempo è un fattore fondamentale.
Per l’azienda Emidio Pepe l’età non si misura in anni, ma in emozioni. E le emozioni sono date dai vini, o meglio ancora, dalle annate. Non a caso l’annata è la prima cosa che si vede nelle etichette di Emidio Pepe. “È il vino che detta i tempi e i modi per essere trattato” diceva Emidio e così in ogni annata è sempre una nuova sfida che si ripete solo e soltanto nei gesti, nella tattilità del Trebbiano pigiato con i piedi e del Montepulciano diraspato a mano, nelle fermentazioni con i lieviti indigeni, nelle lunghe soste sulle fecce fini, nelle macerazioni corte, nelle estrazioni delicate… nel cemento vetrificato che accoglie il mosto che diventa vino perché “è la miglior casa”; nell’imbottigliare il vino senza filtrarlo per “i travasi impoveriscono il vino. Al primo travaso il vino si leva la giacca, al secondo travaso si leva la camicia e poi una volta che il vino si impoverisce non dura”; nel delicatissimo processo di decantazione e controllo effettuato manualmente da Sofia (un tempo era Rosa, moglie di Emidio a occuparsene) cui sono sottoposte tutte le bottiglie con almeno venti anni di invecchiamento prima di essere vendute.
Torniamo al Four Seasons di Firenze e a quella grande tavola ovale di pochi fortunatissimi. Era la prima tappa italiana del tour di piccole degustazioni alla scoperta di annate storiche di Trebbiano e Montepulciano d’Abruzzo, aneddoti e storie di vita per celebrare i sessant’anni dell’azienda. Un viaggio tra le tre generazioni negli energici ed emotivi Trebbiano 2022, 2019, 2004 e nel “velluto” dei Montepulciano d’Abruzzo 2022, 2020, 2000, 1998 e tra i cambiamenti di un territorio. Prima in solitario assaggio e riassaggio e poi – dopo un aperitivo a base di Pecorino 2022 – insieme al menu studiato da chef Paolo Lavezzini per sentire l’evoluzione simbiotica di ogni sorso con ogni boccone.
Sensazioni dinamiche, guizzi di acidità inaspettate, intensità di frutto, esuberanza e maturità. Se chiudo gli occhi sento il sapore del Montepulciano d’Abruzzo 2000, quello che Sofia ha presentato come “l’alter ego di Emidio”, ha tutte le caratteristiche esemplari del vitigno. Gli oltre venti anni in bottiglia lo hanno forgiato di un equilibrio d’insieme sottile, avvolgente. È un sorso quasi magico, che sa di tutti i sessant’anni di storia della cantina in cui è maturato e ha il confortante retrogusto del presente che è già futuro solido e resistente.