Senza entrare nel merito dell’annosa questione di uno Stato, il Belgio, la cui anima è divisa tra Vallonia e Fiandre, con la sua capitale Bruxelles che si trova esattamente nel mezzo delle due regioni, il territorio piatto (come lo definiva Jacques Brel) rivela – a un esame più approfondito – motivi di interesse gastronomico non indifferenti. Soprattutto pensando proprio alla capitale, che, nonostante il carattere di una città dove il business, l’economia e gli uffici delle istituzioni europee fanno da padrone – lasciando forse meno spazio alle attrattive turistiche – riesce a sorprendere anche al di fuori del classico binomio belga birra-cioccolato.
In fin dei conti Bruxelles è da più parti definita come una piccola Parigi e molte piazze e quartieri, che vivono anche della presenza di una vivace società multiculturale, rivelano valori gastronomici degni della massima attenzione. Le brasserie, ad esempio, moderne o antiche che siano, rappresentano uno dei luoghi deputati a evidenziare la socialità e la società locale, spesso attraverso piatti e ambienti carichi di storia o semplicemente con la spinta propulsiva delle nuove generazioni. Un buon punto di partenza (o d’arrivo e capirete presto il perché) per iniziare un breve tour tra gli indirizzi da tenere d’occhio può essere quello di concedersi una colazione da Frank, anche se il locale in versione serale cambia nome e diventa – dal giovedì al sabato – Francine, trasformandosi in un brillante wine bar con cucina.
Di giorno invece, da Frank, i due titolari Mathias Smet (cuoco già da Humus & Hortense, il ristorante di fine dining plant-based che ha ricevuto la stella Green Michelin) e Marianne Ceuterick (esperta di specialty coffee) servono breakfast e brunch di alta qualità dove si passa dai Panini al pastrami alle ricche Uova benedict (ribattezzate Benny), fino alle stuzzicanti preparazioni di Socca con finocchio marinato, funghi ostrica e cipolla brasata al burro di tequila. Uno spirito molto veggie e organic, se vogliamo, con prodotti stagionali in evidenza, da vivere in un ambiente giovane e davanti a uno dei migliori caffè preparati in città.
In attesa del lunch, poi, ci si sposta da Janine, un panificio con produzione di birra che vive dell’economia circolare nel riutilizzo degli scarti del pane e della birra. Così tutte le birre sono realizzate da pane invenduto, per combattere contro lo spreco alimentare e lo stesso dicasi di alcuni dei pani, frutto di cereali e lievito delle birre.
L’idea è venuta qualche mese fa a una coppia di giovani, Maxime e Bertrand, subito seguiti dalle rispettive compagne Morane e Carole e completata da un team affiatato che propone anche viennoiserie e pasticcini di buona qualità. Il nuovo progetto di Janine, ormai in fase di lancio, è anche la creazione di CoHop, la prima cooperativa di microbirrifici a Bruxelles, con la nascita di un brewpub nel quartiere di Etterbeek da inaugurare nei prossimi mesi.
A seguire – per il momento del pranzo – si può invece puntare l’attenzione su Barge, un ristorante luminoso situato lungo Boulevard d’Ypres e inaugurato nel 2019. La cucina è quella moderna, ammiccante, libera da schemi e stagionale (i piatti cambiano ogni giorno) di Grégoire Gillard, già alla corte di Sang-Hoon Degeimbre per quattro anni al ristorante l’Air du Temps.
Oggi invece da Barge il giovane cuoco ha allestito una carta agile e pronta all’uso, con piatti ispirati dalla quotidianità, dal mercato e dalla complicità con l’altra metà del ristorante, la sommelier Barbara Hoornaert, capace di solleticare la curiosità dell’ospite riuscendo sempre a realizzare la giusta alchimia con le preparazioni che escono dalla cucina.
Un’audacia che si riflette anche nella scelta di affidarsi spesso a bottiglie di piccoli produttori bio e naturali. Barge offre a chi supera la porta d’ingresso un mondo di gusto e leggerezza, con un pizzico di spirito ribelle.
Infine, la cena non può che indirizzarci verso una delle brasserie che, i colleghi, quelli bravi, come minimo definirebbero iconica, vista la storia, la cucina, le frequentazioni e l’ambiente in stile Art Nouveu. A Les Brigittines, una sala di gran pregio situata aux marches de la Chapelle, a pochi passi dalla stazione dei treni Bruxelles-Chapelle, ti aspetti da un momento all’altro di veder seduto accanto a te un sosia di Georges Simenon o di Rene Magritte.
E se è vero che il fascino del luogo ha pochi eguali in città, anche la cucina solida e tradizionalista del simpatico cuoco un po’ guascone Dirk Myny racconta bene le tipicità belghe. Già a partire dalla classica Croquette ai gamberetti, un piatto nato durante la Prima Guerra Mondiale e che ormai si trova ovunque in giro per il Belgio, accompagnato da limone e prezzemolo fritto.
E poi delizie senza compromessi come il Zenne Pot, vera e propria rappresentazione in un colpo solo della cucina nazionale, con la verza cucinata nella birra gueuze di Cantillon, la Salsiccia secca tritata, i Buccini (i bulots) e il Black pudding; per non parlare della Guancia di maiale nella salsa di birra Stouterik, variazione sul tema della classica Carbonade flamande.
Una cucina di pancia, diretta, emblematica come la sala del ristorante ricavato da un vecchio ufficio postale, con il fine serata spesso destinato, a seconda dell’umore del cuoco, a prendere una piega diversa, sulle note dei dischi, a volte un po’ kitsch, che finiscono sotto la puntina di un giradischi posizionato a fianco della cucina.
La scena gastronomica belga di cucina d’autore e fine dining è storicamente sempre stata ricca di indirizzi stellati o di assoluto prestigio e le ragioni sono piuttosto semplici da individuare. Si va dalla contiguità con la Francia, che ha in qualche modo determinato lo stile dei cuochi più rinomati sino i giorni nostri, fino al tessuto economico di alto profilo e capacità di spesa che ancor oggi caratterizza il territorio nazionale, soprattutto se si muove verso le Fiandre. Per non parlare del fatto che la capitale Bruxelles, nel frattempo, è diventata uno dei centri chiave della politica comunitaria, attirando un mondo costituito da politici, professionisti e imprenditori. Insomma, Bruxelles, per queste e altre ragioni può sempre contare su una serie di ristoranti che mettono in campo valori condivisibili dalle maggiori guide del continente, vedi Michelin e Gault & Millau, oltre a gettare nella mischia di tanto in tanto qualche novità cui prestare attenzione.
È il caso, ad esempio, di Humus x Hortense, delizioso ristorante vegetariano (ha appena conquistato la stella green della “rossa” 2021) che vede in prima linea il cuoco e mixologist barbuto Nicolas Decloedt, integralista del mondo vegetale e paladino del no waste, insieme a Caroline Baerten, appassionata di arte e vini naturali, ceramista (le ceramiche e i piatti del ristorante sono i suoi) e, non ultimo, fondatrice del collettivo Soilmates che riunisce cuochi, agricoltori, artisti ma anche storici, nutrizionisti e attivisti. Non è quindi così strano che il ristorante dall’ambiente che per certi versi mescola con audacia elementi barocchi e puro minimalismo, sia un concentrato di idee originali anche nel menu. A partire dall’idea di creare un percorso wild di full immersion botanica dove molta della materia prima utilizzata viene riproposta su due piatti consecutivi.
Come nel caso del Topinambur che viene prima presentato accompagnato dallo yuzu e, subito dopo, inversione Tartellette, con cicoria e un miso alla nocciola. Cosa che accade, per dire, anche con la Zucca e il Sedano rapa. Ma tutto il percorso (sono banditi pesce e carne, tra gli altri) racconta la natura attraverso le erbe, le verdure, i funghi che vengono arrostiti, affumicati, fermentati e a volte glassati in un esercizio di stile notevole, che trova il suo accompagnamento d’elezione nei mocktails preparati dallo stesso Nicolas, pur essendo a disposizione anche un pairing con vini.
Diametralmente opposta è invece l’esperienza che si vive mettendo piede nell’elegante e classica sala art déco di Bozar, uno degli indirizzi più frequentati dalla Bruxelles bene. Il maestro cerimoniere qui è il simpatico cuoco armeno Karen Torosyan, arrivato in Belgio all’età di diciotto anni e passato nelle cucine di mostri sacri quali Bruneau e Devalkeneer, prima di prendere in mano la brasserie Bozar. Con il passare degli anni, la tecnica e la passione del cuoco si sono evidenziate soprattutto nelle grandi preparazioni di pasta brisée a metà strada tra cucina russa e francese, con la Torta salata Koulibiak e i Pithiviers e Pâté-Croûte d’oltralpe. Preparazioni leggendarie ormai difficili da incrociare nei grandi ristoranti, che, nel 2015 hanno portato Torosyan perfino a vincere il Campionato Mondiale di Pâté-Croûte in barba a tanti allievi di Escoffier arrivati dalla Francia.
La mano più delicata del cuoco di sicuro la si avverte in molti dei piatti di avvicinamento a quello che rimane il momento clou atteso da tutti a Bozar e rappresentato da una da uno dei molteplici Pâté, come quello ai volaille di Bresse o con maiale, piccione e foie gras che assicurano lo sguardo estasiato dei presenti in sala. Tutti inevitabilmente da condividere al tavolo viste le dimensioni monstre, ed è questa una caratteristica propria anche della grandiosa Millefoglie che capita in sorte per dolce.
Una curiosità, l’executive chef di Bozar in realtà è una donna si chiama Cassandre Ercolini ed è una belga di origini venete, dal piglio deciso in una cucina, a vista sulla sala, composta da soli uomini. La lista dei personaggi curiosi tra gli stellati di Bruxelles però non si esaurisce qui, e non si può fare a meno di passare a trovare l’istrionico cuoco francese David Martin, che vanta un passato da Alain Passard e ha nel suo curriculum l’attitudine del girovago internazionale ai fornelli, prima di sistemarsi al Meridien di Bruxelles.
Poi, quindici anni fa c’è stata la svolta, con l’incontro di Natalie, la figlia della proprietaria della Brasserie La Paix e l’inizio di un lungo percorso che ha portato a diversi momenti culinari, dalla passione per la stagionatura delle carni alla “scoperta” del Giappone, in un incrocio di idee stimolante e propositivo che oggi rende la cucina de La Paix un magnifico crossover dove si guarda spesso a Oriente e ci si concede significative puntate anche tra Spagna e Francia.
Si passa con agilità dai Gyoza con maiale basco alla Wagyu con fudge di koji e tartufo, dal dolce nipponico Monaka a base di fagioli, alla Seppia marmorizzata con Sujiko, ovvero le Uova di salmone della tradizione giapponese. La Paix compie quest’anno 130 primavere, ma è negli ultimi tre lustri e nel passaggio da brasserie a ristorante che ha fatto passi da gigante nella sua proposta culinaria. Merita sicuramente una sosta.
Infine, un consiglio, che riguarda il quarto indirizzo, quello del bistellato Bon Bon del vallone Christophe Hardiquest. Nelle scorse settimane il cuoco aveva già manifestato l’intenzione di dare una svolta alla sua quotidianità, ma è solo di qualche giorno l’annuncio che chiuderà le porte del suo ristorante il 30 giugno 2022, in un rush determinato da molti fattori, tra cui i tempi difficili del Covid (ma non chiude per problemi economici) e la voglia di investire maggior tempo nella propria vita, senza però abbandonare totalmente il mondo del food.
In attesa di capire quali saranno le future mosse di Hardiquest, c’è ancora tempo qualche mese per gustare i suoi piatti, per apprezzare uno stile che evidenzia la forte identità belga unita a una spiccata creatività, il pensiero di una mente libera che ha sempre spaziato tra il buon senso classico di matrice francese e la curiosità della materia prima d’eccellenza meno conosciuta, al punto da arrivare a portare nel suo ristorante la carne (ottima) di pony del macellaio Geert Vermeire.
Senza dimenticare però la sua opera di riqualificazione della cucina locale con l’attenzione posta nello stringere rapporti forti e duraturi con i produttori belgi. Caratteristiche che hanno contribuito non poco a fare di Christophe Hardiquest uno dei cuochi più apprezzati e conosciuti anche al di fuori dei confini nazionali.
Dopo i ristoranti e i bistrò, il cerchio belga su queste pagine si chiude con una panoramica tra i negozi nei quali divertirsi a degustare ma anche ad acquistare prodotti di qualità, oppure nuovi ed insoliti. Bruxelles, contrariamente a quanto si può pensare, negli ultimi anni, complici anche le molte etnie, è diventata una città vivace e ricca di opportunità gastronomiche.
Un buon punto di partenza può essere il bel negozio La Fruitière, a un tiro di schioppo dal celebre Manneken Pis, dove perdersi nei meandri di un fornitissimo cheese shop con tasting area. Tra delizie fornite da Guffanti (se l’Italia è il vostro orizzonte), ma soprattutto con una selezione che spazia dalla Francia alla Svizzera, ricordandosi di mettere ben in evidenza i formaggi locali, che in molte occasioni sono nati all’interno delle abbazie dove in passato si produceva anche la birra.
A guidare la degustazione all’interno del negozio ci sono i due titolari, Véronique Socié, francese originaria del Jura (nel 2016 è stata la prima cheesemaker del Belgio) e Léo Begin, tra invitanti Brie de Meaux guarniti con frutta secca, Camembert all’aglio nero, Raclette in edizioni limitate e sfiziosità che accompagnano la sosta, come nel caso di diversi vini naturali. La Fruitiere però è anche il luogo dove incrociare un nuovissimo e stimolante progetto del giovane Thibault Fournal chiamato Sweet, che mette in fila piccole boccette di salse naturali, perlopiù speziate.
Delizie per palati abituati a soffrire, in alcuni casi, se si pensa al Pears for Fears con pere organiche, cipolla, aglio, peperoncino Habanero e spezie, oppure al Fumata che contiene peperoncino Carolina Reaper (ufficialmente il più potente al mondo…), pepe di Cayenna affumicato, cipolle rosse, aglio e zucchero di canna. Ma ci sono gusti più delicati, all’occorrenza, e in ogni caso l’intera gamma permette di muoversi sulle ali di una versatilità che porta a combinazioni piacevoli con formaggi così come con verdure, pesce crudo, pollame e, perché no, burgers.
La prossima tappa invece ci conduce nella periferia nord-ovest della città, nel quartiere di Ganshoren dove Geert Vermeire ha il suo piccolo negozio, che è diventato nel giro di qualche lustro (ha inaugurato nel 1997) il punto di riferimento per gli amanti della carne di cavallo e di pony. Al punto che in molte occasioni si forma una fila di clienti esterna al negozio, in attesa di fare acquisti.
Geert dal 2015 ha iniziato a lavorare direttamente con i farmers e i produttori arrivando a vendere quasi 900 chili di carne alla settimana. Perfino cuochi di fama come Christophe Hardiquest (tra i suoi piatti c’è anche un katsuobushi di filet d’Anvers) si servono da Vermeire, che tra i clienti più affezionati annovera anche il grande maitre chocolatier Pierre Marcolini. Qui si viene per assaggiare e comprare, tra le altre cose, una squisita bolognese fatta con carne di cavallo e ottimi paté.
Ritornando invece verso la zona turistica centrale di Bruxelles, nella celebre Galleria Saint-Hubert (ma ci sono anche altri due punti vendita), il negozio Gaufres&Waffles rende ben chiaro già dal suo nome il campo d’azione. Queste delizie dolci però sono state riviste dal bistellato Yves Mattagne, che insieme al figlio Sebastien e ad altri due soci, le ha reinventate per forma e contenuto.
Innanzitutto, nella versione a cono, da passeggio, dove i Waffles sono ridotti a piccoli quadrati conditi diversamente (crema al tartufo, formaggio, cioccolato), oppure nella versione tradizionale rettangolare con mela caramellata, tartare di carne o veggie. Un’idea vincente in grado di svecchiare uno dei fondamentali della gastronomia belga conosciuti in giro per il mondo. Infine, toccando il mondo alquanto vasto delle birre belghe, quando si è a Bruxelles non si può perdere una visita alla Brasserie Cantillon, in quello che è considerato il Sancta Sanctorum delle cosiddette “acide”, ovvero le gueuze e le lambic.
Ad accogliere gli appassionati spesso è il mitico Jean Van Roy, che rappresenta la quinta generazione di una famiglia che ha iniziato a produrre birra nel 1900 facendo a tutti gli effetti la storia dello stile a fermentazione spontanea. Tra botti e tanks di un museo affascinante dove alla fine del tour ci si trova seduti al banco di una brasserie a degustare prodotti a tiratura limitata, blend di lambic con fiori di sambuco, ciliegie, rabarbaro, o esperimenti in collaborazione con vignerons francesi ed italiani.