Testo di Barbara Marzano
Foto di Francis Amiand
E se fosse vero? Se davvero la qualità stesse sorpassando il rigore delle stelle per lasciarle in sospeso nel cielo, anziché posarle dentro a una piccola elite di cucine? Della risposta, diretta come nessuna, si fa portavoce l’ultima apertura di Beefbar, il 20esimo meet restaurant del progetto di Riccardo Giraudi. Anche quest’ultima opening, nonostante il palese orientamento, non si scorda del regno vegetale né di quello ittico, con una selezione carnivora circondata dalle proposte del Leefbar e Reefbar, incentrate rispettivamente su verdure e mare.
Il concept di ogni Beefbar è un trittico che piace: comfort food, qualità e condivisione, trasmessi da un menu che ritrae uno squarcio panoramico senza confini, tra bolognese di wagyu e vitello, croque sando, baby kebab e gyozas, e molto altro, prima di arrivare ai tagli reali di manzo, kobe, wagyu e angus. Secondo in Italia, dopo quello stagionale aperto dentro il luxury hotel Cala di Volpe (Portocervo), il Beefbar meneghino è letteralmente incastonato nell’ex Seminario Arcivescovile, un polo rimasto nascosto per oltre 500 anni e riscoperto grazie al progetto di riqualificazione che ha portato alla nascita di Portrait Milano, l’hotel 5 stelle del gruppo Lungarno Collection di proprietà della famiglia Ferragamo.
Executive chef Thierry Paludetto & Riccardo Giraudi
L’embrione di BeefBar inizia a formarsi nel 2005 per mano di Riccardo Giraudi, CEO di Giraudi Group e fondatore di Beefbar, cresciuto dentro l’azienda di famiglia Giraudi Meets. Riccardo, cosmopolita quanto il padre Erminio, nel 2005 apre un piccolo spazio a Montecarlo pensato per accogliere tutti i potenziali compratori, un salotto francese con una cucina molto piccola, creato con l’esclusivo scopo di far provare loro i tagli di carne. Questa visione, dapprima trattenuta in un piacere per pochi, si amplia per sconfinare oggi in 140 coperti a servizio, fino a trasformare il primo Beefbar in quella che ancora è poi diventata un’istituzione. Ogni Beefbar, che sia a Parigi, Milano, Londra, Hong Kong o Dubai, segue senza indugio un pacchetto di linee guida sacrosante, che ruota attorno a ricette segrete e mise en place “di casa”: a Milano il match in tavola chiama all’appello due piatti meneghini, Duomo & borsetta, un omaggio alla città e ai proprietari di Casa Ferragamo.
Ricette e materie prime esclusive estinguono ogni riferimento alla tipica steak house, per far sfilare invece un profilo più alto, se pur conviviale, “Une Louis Vitton de la viande”, come lo definisce l’executive chef Thierry Paludetto, che firma tutte le proposte di ogni Beefbar. Ogni portata è pensata per essere condivisa: la selezione dello street food, tiraditos, ceviche e tartare, proposti con cotture differenti, alla griglia o in salsa, robata giapponese o al vapore, wok e tempura. La carne cotta alla griglia è sempre molto scura, marchio di casa e sintomo di una cottura a dir poco originale. Ogni Beefbar possiede infatti un forno brevettato, aperto, che tocca i 1000 °C, che non è né griglia né forno e che cuoce una carne marinata con del grasso di kobe e un mix di erbe – un preparato segreto che arriva in una box Beefbar di cui nemmeno lo chef conosce gli ingredienti esatti. Il taglio però fa la differenza, e non parliamo solo della selezione della carne – tagliata, filet mignon, center cut filet, chateaubriand, e tutti i tagli di wagyu, kobe e black angus – ma proprio dell’effettiva fetta, nata da un precisissimo taglio.
Kobe beef, hida, numamoto, wine-gyu, miyazaki, hokkaido e kagoshima: questa la capsule collection di japanese wagyu esposta nelle vetrine di Beefbar, coccolata, sistemata e curata come se ancora fosse viva. Vedere il personale di sala massaggiare la carne appesa, o spostarla di pochi millimetri, è un incanto, un riconoscimento al sacrificio che ogni taglio porta con sé, espresso con passaggi da rituale mistico.
Beefbar richiama la moda che lo circonda per come espone nelle vetrine in sala, ma anche per quel che queste contengono, come per il Prosciutto di kobe, nato in Giappone, allevato in Valtellina per 180 giorni e servito con panettone salato, un’esclusività mondiale che ha preso domicilio qui. La condivisione di Beefbar è una mina vagante, vive nelle proposte sharing e rimbalza come una costante nell’animo di Riccardo Giraudi, che quando si innamora di qualcosa sente il bisogno di condividerlo anche con i suoi ospiti. È capitato, non troppo recentemente, con la Marbled chocolate bar, nata dopo un incontro con Yazid Ichemrahen, campione del mondo di pasticceria nel 2014 e campione di pasticceria francese nel 2013.
Riccardo, incantato dalle sue creazioni, ha brevettato insieme al maître pâtisserie una tavoletta di cioccolato marmorizzato in tre consistenze, definita tra acidità e dolcezza, cremosa ma croccante. Un richiamo alla carne, regina di casa, raccontata da una cerchia di sudditi dolcissimi: un brownie croccante al cioccolato fondente 72% puro enezuela e al burro di Isigny zangolato, un croccante di mandorle di Valencia, cioccolato bianco della Costa d’Avorio e fleur de sel de Guérande, una mousse di cioccolato fondente 72% puro Venezuela, vaniglia dall’India, pralina in due stati e un dolce flusso di caramello. Il marmo di Milano ha superato Carrara.
Beefbar Restaurant
Corso Venezia, 11
20121 Milano (MI)
Tel: 02 5003 7500