Un tour tra le corde emotive della Chef, tra produttori, memorie istriane e le novità di Hisa Franko
Testo di Lorenzo Sandano
Foto cortesia di Hisa Franko
Al nostro arrivo Ana Roš è distesa in mezzo all’orto a piedi nudi, in compagnia di sua figlia e dei suoi amati farmers intenti a confezionarci un magnifico pranzo agreste. Penso sia il fotogramma migliore per descrivere le sfaccettature di questa grande donna – madre e cuoca – che nel tempo ha issato il territorio sloveno sotto i riflettori globali attraverso il suo ristorante Hisa Franko a Caporetto. Dietro all’insegna però, fulcro di tale forza, appare una propulsione caratteriale e umana fuori dal comune. Se infatti nello scenario citato trasmette una beata spensieratezza, è facile coglierne lati diversi – coerenti a sé – quando indossa i panni da chef: perseveranza, sincerità affilata e tenacia nel percorrere le idee, sono tratti a lei propri e promossi senza mezze misure. Indispensabili per conseguire i risultati raggiunti, ma anche per sorreggere le numerose responsabilità ammonticchiate negli anni di esposizione mediatica (solo quest’anno, la conferma delle 2 Stelle Michelin, la 34sima posizione ai The World 50 Best e la 9° al The Best Chef Awards).
La pressione è stata tanta e continua a esserci, ma è proprio grazie a quest’anima composita, in cui affianca tempra ferrea a estrema sensibilità, che Ana prosegue nel forgiare progetti ambiziosi, collezionare traguardi ed elevare gli ecosistemi gastronomici a lei cari. Da questo presupposto, nasce un tour – battezzato Surf & Turf – che ci scorta alle origini odierne e remote della cuoca in una prospettiva fedele all’assetto in cui la troviamo: denudata da vincoli formali e connessa con ogni centimetro del corpo alla terra che ha reso celebre con tanta passione.
Foreign Farmers
Partiamo dal villaggio montano Srednje, in cui Jeanne Dumas Chalifour e Matteo Monterumisi (i Foreign Farmers) ricoprono il ruolo di suoi fidi fornitori agricoli, riservandoci una storia che rifulge di speranza e autenticità. Lei, canadese con formazione in studi antropologici, ma anche nel mondo dell’arte e del teatro, trasuda spiritualità ipnotica in ogni movimento. Lui, bolognese dall’indole cosmopolita e dotato di skills poliedriche, si fa le ossa come general manager nella ristorazione a Londra. Entrambi pellegrini del mondo, fedeli a una vita intrapresa senza risparmiarsi, si trovano dopo mille esperienze proprio nella citta1 britannica, durante una fiera sui vini naturali: amore comune (per il vino) suggella anche quello sentimentale. L’incontro, un po’ magico, li porta alla ricerca di nuove direzioni sempre su rotte enologiche: si trasferiscono in Slovenia per l’attrazione verso la scena dei vignerons locali e individuano una zolla di terra immersa nel nulla apparente, custodita dallo sguardo vigile delle Alpi Srednje con l’intento iniziale di produrre vino. La struttura che rilevano (e dove vivono) veniva snobbata per le fattezze trascurate e dismesse, ma grazie al loro tocco si tinge di tepore e poesia rurale, la stessa che hanno dentro. Il nucleo famigliare si è ampliato rapidamente con la nascita dei due splendidi bimbi, Lou e Romeo, coinvolti attivamente nelle giornate tra i campi.
“In un momento cupo della mia vita ero convita di esser diventata sterile – afferma ora radiosa Jeanne – ma di pari passo alla fertilità sbocciata qui, anche io mi sono trovata inaspettatamente incinta. Senza smettere mai di lavorare, perché non riesco a star ferma neanche con il pancione”. E i due lavorano sodo in chiosa integralista: fuori da qualsiasi dottrina, assecondando le pulsioni di Madre Natura con logica ossequiosa. Una missione intrapresa a tutto tondo: oltre a vinificare artigianalmente in micro-quantità, curano la produzione casalinga di formaggi e yogurt ottenuti dal latte delle loro capre (strepitosi!); sfornano pane, pizze e focacce da farine autoctone. E soprattutto coltivano assiduamente un orto modellato sui loro profili: puro, dinamico e libero nella sua morfologia. “Parlare di biologico al giorno d’oggi per me ha già poco senso di suo, figuriamoci se devo utilizzarlo per etichettare quel che facciamo” esorta Matteo, ben riassumendo la visione rigenerativa applicata ai loro 14 ettari.
Una passeggiata con Jeanne poi, rigorosamente a piedi nudi, rinforza la filosofia adottata qui: “Ascoltiamo e sondiamo la risposta del suolo di stagione in stagione, provando a piantare quel che ci piace e che attecchisce senza interventi invasivi – spiega – amo che ci sia un ordine di colori, di piante, fiori e ortaggi che si sostentano a vicenda. La parte cromatica è importante perché, a mio parere, riporta un equilibrio nel terreno, non solo estetico. Partiamo da semi biologici smarcando gli ibridi, poi cerchiamo di dar spazio alle varietà indigene o antiche, ma non abbiamo limiti nello sperimentare varianti esotiche. In questo l’incontro con Ana è stato ed è determinante, è stata la prima a sostenerci nel territorio, motivandoci fin dagli inizi e fornendoci spunti su cui lavorare. Si è creato uno scambio quasi simbiotico anche con la sua cucina: noi cerchiamo di coltivare quel che le serve monitorando i risultati e crescendo insieme al tempo stesso. Un rapporto totalmente spontaneo che sta regalando tantissime soddisfazioni”. I due farmers sono arrivati a seminare circa 350 tipologie di ortaggi, cereali e legumi che ruotano nel corso dell’anno: tantissime aromatiche; fiori eduli; peperoncini e pomodori in tinte variegate da tutto il mondo; il maiz morado mexicano (che Ana trasforma puntualmente ai fornelli); ma anche girasoli; alberi da frutta (con pere e mele realizzano il sidro); qualche ulivo; piselli; lenticchie; ceci e cipolle di Tropea. Quest’ultimi finiscono rispettivamente in una corroborante Zuppa (densa di erbe e legumi) e in cima alla soffice Focaccia panificata in casa (perfino i gambi di cipolla, come altri vegetali, li mettono in conserva come pickles).
In chiosa la Torta ai frutti di bosco, colti in loco, viene guarnita con petali edibili scelti uno a uno dalla piccola Lou. Cala una lacrimuccia di gioia, perché è palese quanto il flusso vitale condiviso in questo luogo, da queste anime, risulti unico, poeticamente fuori dalla realtà e perfettamente allineato ai valori che Ana ha mobilitato nella rivalutazione del terroir sloveno. È lei che fa il carico di erbe e verdure a fine pranzo per dirigerci al ristorante, oltre a illustrarci come Jeanne e Matteo stiano simultaneamente gestendo anche l’orto privato che detiene sul retro di Hisa Franko. In realtà i farmers torneranno protagonisti anche in un altro capitolo del tour, ma intanto andiamo a cena.
Continua…