Testo di Francesco Sabatini
Foto di Sara Furlanetto
Dopo aver percorso tutta l’Italia a piedi, Va’ Sentiero continua la sua missione: Walk, Discover, Share. L’inaugurazione del “Cammino dell’Unione” – un itinerario ad anello che da Vignola attraversa i borghi delle Terre di Castelli (Spilamberto, Castelvetro, Roccamalatina, Zocca e Guiglia) – è stata l’occasione per scoprire le meraviglie del pre-Appennino modenese. In tutta la provincia di Modena si contano più di duemila acetaie in cui da secoli si produce l’aceto balsamico: un prodotto che ha conquistato i mercati esteri e che in Italia è conosciuto per lo più nella sua versione commerciale, lontana parente dell’eccelso condimento che si usa nelle case dei Modenesi.
Tra le dolci colline di Marano sul Panaro, in località Villabianca, abbiamo visitato l’Acetaia Sereni sotto la guida di Francesco, rappresentante della quarta generazione di una lunga e appassionata saga familiare cominciata più di cento anni fa con la bisnonna Santina. Francesco ci ha accompagnato alla scoperta dei sapori dell’autentico aceto balsamico di Modena. L’aggettivo “balsamico” deriva dalle proprietà benefiche attribuite a questo aceto (in passato era ritenuto ottimo per curare il mal di gola), la cui invenzione è probabilmente riconducibile alla saba (o sapa): un dolcificante ricavato dal mosto di uva cotto, utilizzato già nel periodo romano.
Il “condimento agrodolce alla modenese” (così chiamato un tempo in Italia) comincia a essere commercializzato alla fine del XIX secolo ed è protagonista di un vero e proprio boom negli anni del dopoguerra. Nonostante la diffusione, la sua produzione è stata regolamentata soltanto a partire dagli anni Duemila: l’Aceto balsamico Tradizionale di Modena DOP nel 2000, e l’Aceto balsamico di Modena IGP nel 2009. Nomi e denominazioni che spesso, più che chiarire, confondono: la differenza principale tra i due prodotti è che il Tradizionale deriva dalla fermentazione del mosto cotto, mentre l’IGP viene realizzato aggiungendo al mosto cotto l’aceto di vino. Se l’Aceto balsamico IGP è di fatto un prodotto industriale, nel Tradizionale il sapere artigiano continua a vivere e perpetuarsi all’interno delle stesse botti.
Come ci spiega Francesco, la produzione dell’aceto balsamico di Modena IGP è fondamentale per tenere in vita tutto il comparto produttivo dell’aceto; per usare una metafora cara a questo territorio, tra i due prodotti c’è lo stesso rapporto che sussiste tra i prototipi di Formula Uno e le auto che trovi al concessionario. Anche all’Acetaia Sereni, l’IGP è il prodotto che sorregge l’azienda; ma nonostante rientri nella stessa etichetta di altri prodotti che troviamo al supermercato, abbiamo a che fare con qualcosa di molto diverso.
Il lavoro dell’Acetaia Sereni inizia dai vigneti di Trebbiano e Lambrusco Grasparossa (mentre l’IGP prevede anche l’uso di materia prima proveniente fuori dalla provincia di Modena), dalle cui uve pigiate (70% Trebbiano e 30% Lambrusco) viene ricavato il mosto cotto, realizzato attraverso la cottura a vaso aperto e fuoco diretto. Il disciplinare dell’IGP prevede una percentuale minima di mosto cotto (20%) e, per il resto, un aceto di vino invecchiato almeno dieci anni. Alla Sereni, per valorizzare a pieno la parte più nobile, si realizzano prodotti in cui il rapporto tra mosto cotto e aceto di vino va dal cinquanta e cinquanta fino ad arrivare all’ottanta per cento di mosto e venti per cento di aceto. Se il disciplinare prevede un invecchiamento minimo di due mesi, i prodotti Sereni invecchiano almeno un anno; poi c’è la tipologia “invecchiato”, da cinque e otto anni. L’affinamento avviene in botti di rovere e ciliegio, che donano gusti sorprendentemente differenti – anche un neofita lo coglie in modo evidente.
Lo stupore nel vedere circa millecinquecento botti disposte tutte insieme in una soffitta è qualcosa di indescrivibile. Siamo nel cuore dell’acetaia, il luogo in cui prende vita l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP. Le botti sono posizionate nel sottotetto: questo luogo permette di avere temperature sbilanciate durante l’anno, che consentono di far fermentare, evaporare e stabilizzare il mosto. La fermentazione alcolica del mosto cotto inizia in cisterne d’acciaio e continua nelle badesse, le botti in cui avviene la fermentazione acetica, dove una parte di zuccheri diventa acida. Da un prodotto alcolico si perviene così a un prodotto acido-alcolico, la cui percentuale di alcol viene persa durante l’invecchiamento (ci vogliono una decina d’anni, almeno), fino ad arrivare a un mosto cotto acetificato: un prodotto al cento per cento naturale (senza aggiunta di caramello, pur consentito dal disciplinare) in cui a ricoprire un ruolo fondamentale sono i legni di alta qualità con cui sono costruite le botti. Le famiglie di botti dove avviene l’affinamento, dell’azienda Renzi di Modena (vere e proprie sculture di legno, come le definisce Francesco) si chiamano “batterie”. Ogni batteria è formata da una serie di botti, disposte per litraggio crescente; anno dopo anno le botti vengono rincalzate della perdita per evaporazione con il mosto della botte appena più grande – la prima, che potremmo definire “a monte”, viene riempita con il mosto delle badesse.
Questo procedimento permette all’aceto balsamico tradizionale un invecchiamento dinamico, che prende i sentori dei diversi legni (rovere, ciliegio, castagno, gelso e acacia). La Sereni vanta la batteria più lunga al mondo, che parte da una botte di seicento litri e arriva fino alla botte di Attilio (il nonno di Francesco), da dieci litri, comprata negli anni Trenta: ed è questo il simbolo più forte di quanto viva sia questa tradizione, grazie a un processo che viene curato, come in una staffetta, da generazioni diverse della famiglia Sereni, senza interruzioni. Con orgoglio, Francesco ci spiega che ogni membro della famiglia ha la sua batteria personale, e nessuna è in vendita.
L’imbottigliamento dell’Aceto Balsamico Tradizionale DOP avviene soltanto tramite il Consorzio di Tutela dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP, che si occupa di valutare il prodotto (deve raggiungere un punteggio minimo nella prova di assaggio alla cieca, per ricevere la DOP) e di imbottigliarlo nell’iconica boccetta da cento millilitri disegnata dal designer Giorgetto Giugiaro. Quando nel 2000 fu istituita la DOP, Pier Luigi, il padre di Francesco, era già pronto a certificare il suo prodotto e fu perciò il primo a imbottigliare l’Aceto balsamico Tradizionale di Modena DOP – Francesco ci mostra orgoglioso la “numero uno”. Rimaniamo folgorati dall’assaggio dei due IGP e poi dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP, dei quali il primo invecchiato dodici anni – il minimo per il tradizionale: un sapore decisamente più persistente e complesso rispetto agli IGP. Nell’invecchiato 25 anni si percepisce un equilibrio tra acidità e dolcezza; i tanti anni trascorsi nelle diverse tipologie di botti donano al prodotto gli aromi del tannino, che ricordano l’astringenza e la sapidità del vino. Con l’affinamento, il gusto si arrotonda e l’acidità è sostituita dalla dolcezza; emerge anche il sentore caramellato dato dalla cottura a fuoco vivo.
Concludiamo la degustazione con “Mediterraneo Agrodolce”: un balsamico bianco che ha ricevuto il premio “Miglior Prodotto italiano 2019” a Chicago. Si tratta di un prodotto versatile, adatto alle marinature così come la mixology, realizzato con mosto d’uva concentrato di uva a bacca bianca e aceto di vino bianco tenuto in infusione per cinque mesi con menta e rosmarino (la cottura di quest’uva è fatta a vapore e non passa mai per il fuoco vivo). Fresco, acido e con un sentore piccante, è un passo verso il futuro di questa antica tradizione. Il processo di continuità ed evoluzione mostra appieno il tipico atteggiamento imprenditoriale emiliano, forte delle proprie radici ma sempre aperto all’innovazione.
Francesco è assolutamente convinto della necessità di superare la confusione commerciale attraverso il metodo della degustazione: “C’è tanta ignoranza, si scambia l’aceto balsamico tradizionale per la glassa… una bestemmia”. Per questo negli ultimi anni si è occupato personalmente della realizzazione di una splendida terrazza in cui noi, come tanti altri turisti da tutto il mondo (rarissimi gli italiani), siamo stati rapiti dai gusti dei “condimenti agrodolci alla modenese” godendoci il panorama delle colline di Marano.
I sapori agrodolci mi sono rimasti impressi nelle papille gustative insieme alle domande sul mistero della nascita di questo prodotto, che rimane circoscritto tra i confini della provincia di Modena. In un’atmosfera di altri tempi, tra boccette e calderoni, mi sono chiesto: qual è stata la pietra filosofale che qui ha trasformato la saba, comune dolcificante dei contadini italiani, in un prodotto pregiato come l’oro? Un oro nero che, oggi come un tempo, continua a conquistare le tavole di tutto il mondo.
Acetaia Sereni
Via Villabianca, 3651
41054 Marano Sul Panaro (MO)
Tel: +39 059 705105
www.acetaiasereni.com/it/