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Under 35
Giovani voci della Gastronomia a Identità Golose 2025
Tra mancanza di tempo libero, la voglia di tornare a casa e le aspettative degli chef di oggi
Testo di
Maria Costarelli & Ronja Meter
Foto cortesia
Giovani voci della Gastronomia a Identità Golose 2025
5 minuti

L’Italia è l’ultimo paese d’Europa per presenza di under 35. Secondo i dati del rapporto CNEL “Demografia e forza lavoro” il nostro paese è entrato dal 2014 in una fase di declino demografico, che rischia di indebolire la popolazione attiva del Paese. Le conseguenze della “mancanza di giovani” si riversano inevitabilmente su diversi ambiti lavorativi, inclusa, ovviamente, la ristorazione. Nonostante i giovani siano una specie rara, sono tutt’altro che in via d’estinzione: noi di Cook_inc. abbiamo avuto il piacere di incontrarli durante l’ultimo weekend di febbraio a Identità Golose, il più importante congresso gastronomico italiano che proprio quest’anno ha festeggiato i vent’anni. Collaborando con Identità Young – progetto collaterale che vuole dare voce agli chef under 35 – abbiamo colto l’opportunità per capire chi sono, cosa fanno e qual è il punto di vista delle giovani promesse della scena gastronomica italiana. E, cosa altrettanto importante, abbiamo indagato sui loro hobby e sul loro segno zodiacale.

Tommaso Zoboli
Davide Guidara

“Se cucini in un castello, le aspettative che crei sono molto diverse rispetto a quelle che genereresti cucinando in una torrefazione”, ha detto Alessandro Billi, che ha scelto di aprire il suo ristorante – l’Osteria Billis – insieme al gemello Filippo, di fronte alla stazione di Tortona, dopo aver accumulato esperienze culinarie in giro per il mondo. Il luogo in cui si trova un ristorante influenza profondamente le aspettative degli ospiti, motivo per cui Billi sottolinea l’importanza di capire quali esse siano e sfruttarle come leva per offrire un’esperienza che ben vada oltre quanto previsto. La storia dei fratelli Billi fa emergere un fenomeno ricorrente nel percorso dei giovani d’oggi: quello di viaggiare, per poi tornare a casa e investire nel proprio luogo di origine. Sebbene l’esperienza all’estero e la formazione in cucine internazionali rimangono parte integrante del percorso professionale, la tendenza è quella di riportare a casa le conoscenze acquisite, investendo nel proprio territorio. Molti chef evidenziano la posizione dei loro ristoranti come un elemento distintivo della loro identità. Invece di adattarsi passivamente all’ambiente circostante, scelgono di portare con sé la ventata di freschezza che hanno colto durante le esperienze lontano da casa, fondendo ciò che erano con ciò che sono diventati. Un esempio di questo ritorno alle radici è rappresentato da Anisia Cafiero e Pasquale De Biase, che, dopo essersi formati in Scandinavia, sono tornati a Isernia e hanno dato vita a Ausa, un ristorante dove uniscono le tecniche culinarie nordiche con gli ingredienti vegetali locali.

“Tempo libero? Che cos’è il tempo libero?”

Rispondono quasi tutti, scherzando – ma non troppo – quando chiediamo loro cosa amano fare al di fuori del lavoro. La pressione della questione della sostenibilità sociale emerge da quasi tutte le risposte degli intervistati. Ciò nonostante, sembrano essere al corrente di quanto sia importante mantenere un sano equilibrio tra lavoro e vita privata: la maggior parte di loro si impegna ad avere una vita al di fuori della cucina e vede il benessere come parte del successo dell’attività. La vita di uno chef sembra davvero un grande gioco di equilibri. Essere in grado di bilanciare la vita sociale e l’aspetto economico ed ecologico sembra essere la premessa per il successo di un ristorante. Affinché ciò accada, è necessario rivedere molte delle pratiche e delle convenzioni standard che hanno governato il sistema ristorativo per decenni, come le rigide gerarchie e le brigate, la cucina tradizionale e la progettazione dei menu, nonché l’uso di ingredienti e di risorse. Ogni ristorante è un’azienda, e per far sì che non solo sopravviva ma viva e sia attiva, sono richieste anche tante competenze imprenditoriali. 

“Oggi molte persone che diventano chef si preoccupano più della fama che di fare il lavoro vero e proprio”, racconta Andrea Antonini, executive chef di Imàgo a Roma. Molti riflettono sul fatto che la figura dello chef, ormai è vista come un personaggio pubblico, e con essa è aumentata la pressione a mostrarsi anche al di fuori della cucina. I social media stanno alimentando questo fenomeno, creando un altro problema: tutto ciò che si fa e si mette in mostra viene registrato, condiviso e soprattutto commentato. Questo ha portato a un’aspettativa di perfezione costante, dove nulla sembra essere accettato se non rispetta canoni elevatissimi. Come si gestiscono queste aspettative? Qual è allora il vero ruolo di uno chef nel 2025? Per quanto questi temi siano stati già ampiamente discussi, nessuno sembra avere una soluzione, però parlare apertamente dei problemi del settore  è il primo passo verso un cambiamento. Forse è proprio questo ciò che maggiormente che ci portiamo via da Identità Golose di quest’anno. Oltre al fatto che una buona parte degli chef sia nato sotto il segno della Bilancia e del Cancro. Il presente è il futuro, perché ciò che facciamo ora è ciò che plasmerà il mondo di domani, e visti i presupposti sembra proprio che siamo in buone mani.

Paolo Griffa
Pasquale De Biase e Anisia Cafiero

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