“Ne ho viste di tutti i colori.
Però, i Colori sono belli visti da dietro.
Tu l’hai mai visto il Rosso da dietro? Non sta fermo, cambia. Se gli vai addosso, schizza via come un gatto. Però, se c’hai la chiave, vedi i colori più belli. Gli spettacoli i più belli.
Li ho visti anch’io, però tanto tempo fa. C’era una crepa sul muro: io stringevo l’occhio e guardavo il fiore del grano; notte e giorno, giorno e notte col naso incollato al muro.
Poi decisi di entrarci dalla crepa. Perché bisogna capire nella vita”
Uomo d’acqua dolce – Antonio Albanese
Copenaghen ti affascina e ti stordisce sotto i raggi cocenti di un sole imprevisto. Nel corso di un paradosso climatico di fine estate, che la vede disinibita e spogliata dalle sue gelide fattezze. Colorata come non mai. Macchiata dalla gamma cromatica di mille culture in rotte divergenti. Strade affollate di corpi e biciclette in moto gioviale. Così come di variopinte realtà ristorative che fioriscono senza intervalli. Marcati da identità cosmopolite, che ritraggono questa città – a oggi – come una delle attrattive culinarie più rilevanti e movimentate d’Europa. In poco più di una decade, quello che era un deserto di offerte legate al sincopato mondo food & wine, si è tinto di nuances gastronomiche di ogni genere ed estrazione sociale. Evoluzione notevole. Mentre la capitale danese si infiamma di vita, ammiccando all’insolito tepore stagionale, noi sfrecciamo a bordo di una piccola jeep. A 45 minuti di distanza dal centro urbano. Lasciandoci alle spalle l’architettura nordica, che poco a poco si dissolve e si amalgama con nuovi colori. Quelli agresti e incontaminati della campagna, disegnando una delle mete primarie del nostro viaggio.
Alla guida del mezzo c’è un celebre cuoco dallo sguardo deciso e dalle mani segnate. Ha il look di un avventuroso ranchero in borghese, ma in realtà si tratta di Christian Puglisi. Chef-titolare di ben cinque locali proprio in quel di Copenaghen.
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