Reportage
Cucina libera di montagna
Choose Reis. Il ritorno radicale di Juri Chiotti
Quando un cuoco non può essere solo un cuoco
Da Cook_inc N. 27
Choose Reis. Il ritorno radicale di Juri Chiotti
10 minuti


“Prrr. Teh! Prrr. Teh! Teh!” Un verso acuto e gutturale straccia le fronde degli alberi. Poi il silenzio. Riempito dal graduale frastuono di campanelli portati al collo da un’orda di pecore e capre. A richiamarle a sé, con quel buffo cantico rupestre, c’è un ragazzo col cappello di paglia e le calosce ai piedi. Dicono che sia un cuoco, ma al primo sguardo evoca una pittoresca mescolanza tra Huckleberry Finn e un Mowgli nei meandri selvaggi del Libro della Giungla. Nulla di così fantasioso o tropicale però, l’aria che si respira è quella occitana. Ce lo ricordano le piante di frassino sradicate dal vorace pascolo, insieme a un dialetto incomprensibile per noi. I non indigeni. Questa è la Val Varaita che Juri Chiotti – lo chef che sussurra agli ovini – ha scelto dal 2016 come bacino elettivo per il suo ristorante. Collocato, tra l’altro, a ridosso del sopra-citato siparietto pastorale. Non trovo immagine migliore per introdurre lui, il suo lavoro, la sua filosofia. Perché la scelta di Juri combacia col suo modo di esistere. 

È un ritorno radicale e sentito alla sua casa e alla sua terra. Radici ramificate anche nel nome dell’insegna, Reis che in lingua locale occitana significa proprio radici. Sottotitolo? Cibo libero di montagna. Come è arrivato fin qui, inaugurando un ristoro semi-autosufficiente tra i monti sperduti sopra Cuneo, pare interessare più a noi che a lui. O meglio, a lui importano gli obiettivi, le applicazioni e i perché del suo progetto. A quel che è stato prima pare non voglia dar peso. Anzi, potrebbe passarci sopra in scioltezza a bordo del suo fuoristrada. Ragionevole, ma il suo drastico cambio di vita merita una menzione. Almeno come esempio generazionale, senza troppe romanze. Diciamo che dopo una sostanziosa gavetta in indirizzi stellati (Massimo Camia, Pomiroeu, St. Hubertus Rosa Alpina, Cracco e poi il tandem delle meraviglie con Diego Rossi alle Antiche Contrade, non appena 25enne) ha compreso che quel mondo lì non faceva per lui. Oggi, alla soglia dei 35 anni, dice

“Non ero così cosciente all’epoca per capire che un cuoco non può essere solo un cuoco. Deve promuovere un carico di responsabilità più profonde legate al cibo”.

Quel che possiamo appurare, mentre lo ammiriamo imboccare caprette e raccogliere zucchini dall’orticello limitrofo, è che in realtà quel germoglio agricolo e libero lo ha sempre coltivato dentro. 

La sua impresa ad alta quota parla da sé. Una baita rilevata nella micro-frazione di Frassino, adibita a ristorante dal nulla. Che attualmente vanta un allevamento di circa trenta pecore Sambucane e capre Roccaverano; un’area adiacente per conigli, polli ruspanti e una ventina di galline che assicurano il rifornimento giornaliero di uova. C’è un piccolo orto bio di ortaggi a metro-zero dalle cucine, mentre il grosso delle provvigioni arriva dall’azienda familiare del papà di Juri, che a Costigliole Saluzzo produce frutti rossi (mirtilli, ribes, fragole) e alimenta una serra dedita al ristorante. Un sistema messo in piedi soltanto da due persone in cucina e una in sala. Questa sì che è sostenibilità! Sembra tanto, ma non è ancora tutto. Perché ai piedi del rifugio montano di Reis, il suo influsso benefico ha risvegliato anche il vicino paese di Melle. Semi spopolato fino a qualche anno fa, grazie alla sinergia sviluppata tra Chiotti e la squadra di brewers del Birrificio Antagonisti – capitanata da Enrico “Chicco” Ponza e Fabio “Ferru” Ferrua – sono state promosse azioni di recupero degli stabili dismessi. Ricolorando il centro urbano con nuove strutture di accoglienza. L’aspetto più figo? Non solo ci sono riusciti, ma hanno richiamato verso il suolo natio tantissimi giovani che ora lavorano e animano il paesino. C’è il curatissimo ostello dall’assetto vintage, il Gastro-Pub di vaglia (entrambi a marchio Antagonisti) e anche il bar-gelateria Fioca, dove Juri propone la sua idea di gelato artigianale con latte di montagna. E spacca pure.  

“Abbiamo perso più di 30 anni di cultura legata alle nostre usanze gastro-alimentari, ai gesti dei contadini e dei produttori che rendono possibile il nostro lavoro” spiega Chiotti; “non faccio altro che riportarle alla luce per non rischiare di dimenticarcene completamente. Un po’ quello che dovrebbe essere il cuoco per me. Una sorta di oracolo, perché compone con gli ingredienti dei messaggi educativi che ripercorrono il tempo. Auto-limitando l’ego per occuparsi di cose più importanti che circoscrivono la ristorazione”.

Ci fidiamo. Senza esitare. D’altronde, un tipo che si perde il cellulare ogni 5 minuti, perché troppo impegnato a fissare le recinzioni dei suoi animali saprebbe mentire secondo voi?

Menomale che c’è sua moglie Sabrina, con le magnifiche figlie, a ricondurlo fuori da quell’arboreo universo con cui pare in simbiosi perenne. Menomale che c’è Elisa Micheletti, da 3 anni fissa con lui alle stufe a regolare le redini, mentre è perso nei vagabondaggi tra allevatori eroici, biologi e agronomi eruditi. Gli stessi che l’hanno aiutato a formarsi sulle nozioni territoriali che trasforma in esercizi culinari con tatto estremo. Juri è così, tutt’uno col flusso naturale e selvatico dei paesaggi che ama. Gli s’inarcano le tempie quando sente parlare di circuiti fine-dining e salotti mediatici. S’infiamma di gioia, quando scala dorsali rocciose in verticale (con i Creedence Clearwater a palla nello stereo) per raggiungere una famiglia di pastori in alpeggio. Ronzando col bastone in mano tra pastori maremmani, pecore e vacche, come un bimbo a cui hanno regalato l’accesso illimitato a una sala giochi. Capacissimo di rotolarsi gaio tra le erbe spontanee che non manca mai di catalogare e raccogliere con minuzia. Di passare ore a discorrere con un casaro per carpire l’essenza del Tumin del Mel (formaggio autoctono). E poi fondare un collettivo per tutelarlo e diffonderlo al meglio. Cosa che, tanto per dire, ha fatto sul serio.

“Il valore del cibo è fondamentale. È alla base di tutto” dice “Se ne parla fin troppo poco nei ristoranti e dovremmo ricominciare a farlo meglio anche a casa. A me questo preme. Ciò che esiste prima dell’ingrediente. Intorno e nel fulcro del prodotto. Come, quando e perché non macellare un capretto vale molto di più che utilizzarlo a tutti costi per un piatto. Una ricerca che necessità molto tempo ed energie. Per fortuna che oltre all’Elisa ora in cucina con me c’è anche Paolo”. Con questo nome Chiotti indica Paolo Meneguz. Un talentuoso cuoco con la vocazione per caccia e pesca, che è approdato a fargli compagnia dopo esperienze importanti al Fre di Monforte d’Alba e dalla mitica Valeria Piccini, al Caino di Montemerano. I due hanno condiviso la quarantena da proto-congiunti. E sono pure sopravvissuti senza scoppiare. Al contrario, si auto-definiscono privilegiati e rafforzati dal panorama ampio e fiorente delle distese montane che li ha ospitati. Non li biasimo affatto. Quest’alchimia rafforzata inoltre, fluisce nitida dai piatti che confezionano insieme. Parliamo di una linea anti-istituzionalizzata. Un menu che cambia quasi integralmente ogni settimana secondo provvigioni. Le stesse che dipingono un modello interno autarchico e a impatto ambientale inesistente. Tavoli intagliati in legno, tovaglie di carta e zero pugnette o servizi impostati. Unica protagonista è la montagna. Eruttante pietanze rigogliose, aggraziate e prive di smancerie. Tecniche si, ma spogliate da impalcature inquinanti. Come il palcoscenico incontaminato che la Val Varaita offre ai nostri prodi cucinieri. 

Ti interroghi su come possa esser così buona una bruschetta all’aglio d’aperitivo – che qui chiamano Sòma d’aj – ma poi arrivano le Carote novelle al miele con panna acida e foglie di fico. E allora capisci che i due giocano senza risparmiarsi. Hai presente l’idea di selvaggina cui sei affezionato? Scordatela. Chiotti ne conia inedite letture e oscillazioni papillari, in un trittico che scaturisce dal rispetto assoluto della materia. Succoso Midollo di cervo alla brace con topinambur e cavoli fermentati; Tartare di camoscio, kefir, capperi e aglio orsino; Tataki di fegato di capriolo al sesamo nero dall’inebriante vocalizzo orientale. Fermentazioni che non appaiono per moda, ma come cenno ad arcaici metodi di conservazione locali. Nulla proviene da buste sottovuotate. Niente cede a logiche fashion o casuali. Neanche le Lumache, tenere, callose e floreali, sprintate da meringa al cacao amaro, burro al prezzemolo e mirtilli (di papà). “Sono le Helix pomatia di varietà alpina” specifica con entusiasmo, a sottolineare l’ennesimo traguardo territoriale. Fattore ricorrente su questa tavola, soprattutto quando entra in ballo la tradizione. Prendi, ad esempio, la ricetta occitana di Patate, tomino e salsa aioli. Deliziosa di suo, ma un po’ saturante. Quindi ri-arrangiata con falde di tuberi extra-croccanti e una spuma tanto eterea quanto persistente dell’agliata maionese. Idem per le Ravioles: emblematici gnocchi di patate oblunghi, onnipresenti in zona, spesso conditi con vagonate di panna, burro e formaggio. Juri ne leviga e ispessisce l’impasto con uovo e formaggio Tumin. Non lesina sul ruggente burro nocciola che ne veste i volumi (senza addizione di panne) e chiude il fraseggio con parmigiano grattato e pepe nero. Clamorosi. Sento storcere il naso degli assennati modernisti. Calmi. La tradizione è anche un trampolino di lancio per approdi più sofisticati. Il Risotto al pesto d’aglio orsino, riduzione all’aceto di mele e pepite rosticciate di mustardela (sorta di iper-sanguinaccio) metterà a tacere ogni borbottio molesto con la sua atleticità progressiva e aromatica. C’è anche un tributo alla Valeriona nazionale – con l’intervento solista di Paolo – a base di Trippa di daino alla toscana con profumo d’arancia. Intestini cotti con metro esemplare. Aggrovigliati in morbidezze coriacee e collaginose, quasi a riprodurre la texture di funghi spugnole. Dalle retrovie ci avvertono che lo Spiedo di coratella di castrato, avvolto nella retina di maiale con albicocche bbq è un piatto improvvisato la sera stessa del nostro assaggio. Peccato che sia da paura anche quello. L’istinto è un dardo scagliato dritto al bersaglio, quando c’è un dialogo così serrato con gli ingredienti. Si plana poi dolcemente sulla Panna cotta di Juri, intarsiata dai sentori rurali di fieno e dallo sciroppo di mirtilli tanto cari allo chef. Sino all’ode piemontese di Meneguz per il dessert alle Pesche ripiene (Persi pien). Per l’occasione in guisa estiva, con insalata di pesche, sifonata d’armelline e crumble al cioccolato amaricante.

Una cena da urlo. Che dico, da yodel! Già un propulsivo manifesto d’intenti, pur non volendosi arrestare qui.

“Il sogno di definire una realtà coesa al 100% col concetto etico di autosufficienza e salvaguardia delle biodiversità mi ha portato a trasferire Reis in un altro contenitore a mille metri d’altezza e 10 km scarsi dall’attuale sede” interviene Chiotti. “Se vogliamo, un posto molto più coerente con le radici impresse nell’insegna: perché è dove sono nati i miei nonni e mio padre”. Il luogo, che abbiamo avuto onore e piacere di visitare, si chiama Chiot Martin e rientra nella borgata di Valmala che ha visto crescere i suoi avi. Dai frammenti ancestrali di posate, mobili antichi e foto familiari, l’audace cuoco vuole tirar su uno spazio totalmente autosufficiente e migliorato nelle possibilità strutturali. Forse, in un futuro prossimo, anche apportando delle stanze per gli ospiti. “Gli ambienti sono quelli che desidero e che mi rappresentano senza compromessi” conclude. “Lavori e autorizzazioni permettendo, potremmo già esser pronti nel 2021. Con un’azienda agricola maggiormente organizzata e protraendo la nostra missione di valorizzare in profondità tutto ciò che è selvatico delle nostre valli. Non solo frutti ed erbe spontanee, ma volendo anche un upgrade rivolto alla selvaggina. Sempre se Paolo me lo permette”. Ride, lanciando un’occhiata complice al suo compagno di avventure. Un ritratto genuino e benaugurante che riassume lo spirito eroico di questo ristoro agricolo montanaro. Per noi, un pretesto ulteriore per tornare ad arrampicarci sin quassù. E beare nuovamente dell’aria libera della Val Varaita. Di questa fulgida e radicale scelta di vita.

Posto
Europa/Italia/Piemonte/Cuneo
REIS – Cibo Libero di Montagna

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