Reportage
fumetti a tavola
U Giancu
Pesto e inchiostro a Rapallo
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Paolo Della Corte
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BuenaVista PHOTOCLUB
Da Cook_inc N. 10
U Giancu
7 minuti

9 giugno 2014: è il giorno del compleanno di Paperino. Un fumettoso destino essere da U Giancu proprio quando il papero più amato compie 80 anni, e a farti gli onori di casa ci pensa nientemeno che Carlo Chendi, il quale a Paperino per anni ha messo nel becco le migliori sceneggiature (tanto per dire, Le Grandi Parodie Disney le avete presenti? Ecco).

Carlo ci porta da Fausto Oneto, che è in cucina e si sta preparando per la sera. La loro amicizia è di quelle storiche: “Tutto è iniziato con le riunioni conviviali dei cartoonists in appendice alle genovesi Tre giornate del fumetto e alla Mostra Internazionale dei Cartoonists di Rapallo. Luciano Bottaro, Carlo Chendi e Giorgio Rebuffi frequentavano da tempo U Giancu: li conoscevo come clienti assidui che apprezzavano la cucina ligure e amavano mangiar bene e bere ancora meglio, ma non sapevo chi fossero finché non cominciarono a venire portando i loro colleghi italiani, americani, inglesi o francesi che partecipavano alle manifestazioni fumettistiche di Genova e Rapallo. I cartoonists a tavola, tra una portata e l’altra, finiscono col parlare anche con carta e penna e così ho scoperto che gli autori di fumetti che leggevo da bambino e continuavo a leggere da adulto, erano proprio loro in persona, ed erano nostri clienti! Presi a conservare i loro disegni, a chieder loro (sempre con una certa emozione) di farne per me e ad appenderli alle pareti”.

Correva l’anno 1972 – se proprio bisogna mettere una data all’inizio di un amore – quando i primi schizzi di inchiostro si mescolarono a quelli di pesto nella trattoria di proprietà degli Oneto. 

Arroccato a San Massimo, con sotto Rapallo a fare da spartiacque col Mar Ligure, quel locale all’inizio era semplicemente un bar con cucina aperto solo di sera perché di giorno Ernesto detto “il bianco” (u giancu, in dialetto locale) per i suoi inconsueti capelli biondi, e Rina, sua moglie, lavoravano in campagna. Qualche volta avranno pensato chi glielo aveva fatto fare, tra i campi, gli animali e due figli piccoli, di prendersi anche questo impegno nel 1959, anche se chi glielo aveva fatto fare lo sapevano bene: era stata la zia Lice, maestra delle elementari del paese e un po’ la seconda mamma di Fausto e suo fratello, che per prima buttò là la proposta della gestione del bar. Un bar dove chi si fosse fermato per mangiare un boccone avrebbe trovato né più né meno quello che per cena gli Oneto cucinavano per loro stessi: oggi scriveremmo “piatti della tradizione pensati a seconda della stagionalità e a km 0”, all’epoca, semplicemente era “quel che passa il convento”.

E “il convento” passava verdure di ogni genere, erbe selvatiche, formaggio, pasta fatta in casa, frutta

Cioè la base della cucina ligure del versante appenninico: una cucina rurale, montanara, dove sfilavano minestroni, sformati, verdure ripiene, pansoti, farinata, paniccia, picagge, tomaselle, condiggion, mesciua, fugassa, ratatuie, pesto e preboggion insieme – ogni tanto – al coniglio e alle trippe, allo stoccafisso e alle acciughe. Il tutto accompagnato dal profumo delle inebrianti erbe aromatiche locali, aggiunte quasi distrattamente – ma in realtà con innata maestria – nelle pietanze. 

Non ci volle molto che il bar di famiglia diventasse sempre più punto di riferimento di chi andava in vacanza al mare. Erano gli anni Sessanta, gli anni della “rapallizzazione” – neologismo brutto tanto quanto il motivo per il quale fu coniato – e la gente voleva divertirsi. La vacanza e lo svago erano un imperativo, come imperativo rapidamente divenne l’andare a mangiare al fresco, sotto la pergola di U Giancu. Dei figli di Ernesto e Rina, Fausto era quello che fin da piccolo si trovava a suo agio fra le pentole e i clienti, dedicandosi più che volentieri alle cose che si fanno fare ai bambini, come impastare gnocchi, pulire fagiolini, sgranare piselli e fagioli. “Che arrivava l’estate, a casa, lo capivo perché arrivava il frigo dei gelati. I gelati non li avevamo tutto l’anno, solo da giugno a settembre. E del frigo mi faceva impazzire ficcarci il naso prima che venisse riempito: aveva un odore particolare, sapeva già di gelato, non so se mi spiego”.

Con gli anni, però, per Fausto i parametri per riconoscere l’arrivo dell’estate divennero altri, e alla trepidazione per l’arrivo del frigorifero dei gelati si sostituì quella per l’arrivo delle svedesi: “qui era pieno di stranieri, ma soprattutto c’erano le svedesi che prendevano il sole senza il reggiseno. Una roba mai vista, da diventare matti. Ovviamente, io mi innamoravo di tutte”.

Cambiarono anche le mansioni di aiuto: “Era il 1967, avevo 13 anni quando ebbi per la prima volta un ruolo di responsabilità: c’era una specie di gazebo sotto i rami di castagno, e circa 5 tavoli. In quell’estate mi ricordo ancora che ho servito 500 persone, tutto da solo”.

Nel 1971 U Giancu lasciò i locali della curia e si spostò nell’attuale sede, costruita dal papà di Fausto. Fu lì, un anno dopo, che la strada per San Massimo si incrociò con quella della cosiddetta “scuola di Rapallo”: una fucina di autori di fumetti che ha sfornato negli anni storie, personaggi e autori fra i migliori che l’Italia possa vantare. 

“Le mie due passioni si erano incontrate e ho scoperto che fra me e loro c’erano delle affinità: io divoravo i fumetti e mi dedicavo alla cucina da professionista, loro facevano fumetti da professionisti e divoravano la mia cucina”. 

La terza passione arrivò di lì a pochi anni, quando incontrò Adriana che nel 1978 divenne sua moglie. E se dopo 40 anni U Giancu è forse il più interessante “museo” del fumetto che abbiamo in Italia, con più di 700 disegni originali e i pavimenti decorati da Macchiavello, lo dobbiamo a lei e alla cura che ebbe di quelle piccole opere d’arte che riempivano le pareti a vista d’occhio. 

“Della cucina mi chiedi, eh? Cosa vuoi che ti dica, sono le ricette di mia nonna e di mia madre. Sono quelle per le quali abbiamo clienti che da quattro generazioni tornano da noi e che rappresentano me, la mia storia e la storia della mia famiglia e del posto. Io, ovvio, negli anni ci ho messo del mio, come nel 1998 quando cucinando l’ennesimo preboggion ho pensato ‘belìn, ma queste erbe qui sono buone anche crude’ ed è nata così la mia Insalata con le erbe selvatiche e i fiori che da 16 anni ormai è ininterrottamente in carta”.

Non ha mai avuto un tentennamento, dice, mai una volta un ripensamento sulla sua scelta di lavorare nel ristorante che è casa sua. Rifugio, regno, tana e stanza dei giochi da ‘anta anni e dove, oltre che dedicarsi ai pansoti e ai fumetti, ha cresciuto tre figli, è diventato nonno e ha realizzato insieme a Carlo Chendi tre libri che sono tre perle di cultura gastronomico-famigliare ligure: la collezione di quelle ricette da sempre servite lì da U Giancu, accompagnate dagli endorsement autorevoli (e autografi) di Charles Schulz, Quino, Matt Groening, Carl Barks, Moebius, Sergio Aragonés, Cavazzano, Hugo Pratt, Mordillo, Aurelio Galleppini, Milo Manara, Silver, Bonvi, Enzo Marciante, Altan, Ro Marcenaro, Alberto Breccia, Sergio Toppi, Hermann Huppen, Lorenzo Mattotti, Mort Walker, Jacovitti, Ivo Milazzo, Emanuele Luzzati, Federico Fellini…

Una parata di stelle vere per una “trattoria di campagna”, e che nessuna stella Michelin potrà mai eguagliare.

Nota a margine: non perdetevi i gelati del figlio Emanuele né le sue Galhop, birre artigianali sulle quali sta lavorando nel microbirrificio appena aperto. Godetevi la sfilata di cappelli di U Giancu, da far impallidire quelli di Marc Veyrat. Poi, mentre i bambini giocano e cenano nel parco giochi dedicato loro, gustatevi il tramonto con un cesto di fugassa calda e un bicchiere di Pigato fresco, chiedendo di scegliere voi la bottiglia nella sua cantina così avete la scusa per andare a vederla. Infine, e capirete il motivo quando ci entrerete, andate al bagno. 

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