Portare Beefbar in Italia sembrava quasi una mossa da autogoal, controintuitiva. Perché mai dovrebbe funzionare un locale che unisce la sostanza della steakhouse a carni pregiate selezionate da tutto il mondo, e un revamp in stile casual luxury della Dolce Vita (prima o poi ci andrà inserito il trademark) italiana?
La creatura di Riccardo Giraudi, seconda generazione di Giraudi, azienda famigliare nata a Monaco (Principato di) nel 1968 per importare carne di vitello francese e olandese in Italia, avrebbe potuto sembrare una cosa dal sapore troppo italiano per sfondare anche in Italia. Belle stampe retrò per ogni location, piatti da collezione per ogni città con illustrazioni sia tematizzate Beefbar (carne, patatine, etc) che locali (la Tour Eiffel, il Duomo di Milano, e così via), un servizio in punta di grembiule ma più caloroso di quello di un bistrot di scuola francese. E, inoltre, un target di clientela decisamente non da osteria.
E infatti dopo l’apertura stagionale di Cala di Volpe, a Porto Cervo, un Beefbar da tutto l’anno in Italia è arrivato nel 2023, a Milano, all’interno degli spazi di Piazza del Quadrilatero, progetto di re-immaginazione dell’ex Seminario Arcivescovile. I vicini di casa: la Lungarno Collection della famiglia Ferragamo e il loro Portrait, l’hotel categoria lusso divenuto ingiuriosamente famoso per aver servito pasta in bianco a 25 euro sotto la guida di Alberto Quadrio (il prezzo era meritato e per nulla fuori mercato, ma questa è un’altra storia). Gli spazi sono firmati dallo studio Humbert&Poyet, di fama mondiale. Il lavoro è effettivamente notevole, tra richiami ai vecchi caffè meneghini nella boiserie di legno a mezza altezza di parete, e le sedute progettate da Vico Magistretti.


Ma oltre l’apparenza c’è di più. Il menu, innanzitutto, diviso in due sezioni: Street food (antipasti), Comfort food (main). E qui bisogna tornare un attimo al “beefboy”, Riccardo Giraudi. Entrato attivamente nell’azienda fondata dal padre nel 2001, l’impronta di Riccardo Giraudi si è fatta sentire nell’ampliamento delle operazioni di import e distribuzione: American Black Angus e Wagyu Beef, Japanese Kobe Beef. Le carni sono naturalmente selezionate da Giraudi e nella carta italiana è compreso anche un manzo italiano. Beefbar è parte di questo allargamento di famiglia e della volontà di Riccardo Giraudi di creare un sistema integrato per il proprio “beef world”. Ah, ecco, naturalmente: il nome di Beefbar non è casuale. Per quanto possa essere pregiato, non troverete un filetto di Lomo Iberico servito qui.
“Il fatto che non serviamo maiale ci mette in target con il pubblico di religione musulmana e di provenienza mediorientale, che infatti costituisce una nutrita fetta della nostra clientela. Anche perché l’esperienza che proponiamo rispecchia quello che si aspettano di trovare in un ristorante di fascia alta, ma che sia più rilassato di un classico stellato o fine dining”.
Lui è Daigoro Ciervo, Head of Restaurant di Beefbar Milano e tra poco continueremo a chiacchierare. Prima però, torniamo sul menu. Quello italiano ha una particolarità. In un’offerta che punta soprattutto sulla proteina, a Milano è stata aggiunta una presenza corposa dei santi carboidrati nella forma di piatti di pasta: Bolognese di Wagyu e vitello, Carbonara di Kobe, Amatriciana di manzo affumicato, Lasagna di vitello e Wagyu. Nella stessa sezione Comfort food, troviamo per esempio un wok di filetto di manzo con pepe di Szechuan e un Merluzzo al vapore (piccola eccezione alla regola della carne). Negli Street Food, una sezione vegetariana (Pizza al tartufo, insalata Super kale, insalata di spianaci Miso spinach) e poi si torna alla carne: Kobe Beef Prosciutto (prosciutto di manzo kobe accompagnato con panettone salato, prodotto ideato da Giraudi e servito in esclusiva da Beefbar), Mini Smashed Burger, ottime Quesadillas. E poi, continuando sulla griglia, si lascia spazio alla fantasia: Chateaubriand, filetto centrale, filet mignon, ribeye, Wagyu bavette con chimichurri. Purè di patate e patatine fritte, entrambi ottimi, ad accompagnare. Dessert? A senso unico: gelato mantecato al momento, accompagnato da topping a piacere.


Tutto chiaro? Perfetto. La morale della favola, è che Beefbar Milano sta avendo molto, costante, successo. E che, passandoci un pranzo informale in un giorno infrasettimanale, si può benissimo capire perché. Il conto, pur restando sulla fascia alta, lo gestisci tu; il servizio ti fa venir voglia di ordinare un entré in più; e alla fine tutto questo flair italiano si ribalta e, visto proprio dall’Italia, fornisce un certo glamour esterofilo. Sarà che la ricetta funziona, dopo test in tutto il mondo: Parigi, Londra, Malta, Lussemburgo, Atene, Egitto, St. Moritz, Kuwait, Hong Kong, San Paolo, New York, solo per dirne alcuni. Ma è di questo che voglio parlare con Daigoro.
“Gli standard sono cresciuti tantissimo negli ultimi anni, sia in Italia che all’estero. Questo vale anche per il servizio, di cui mi occupo in primis e che supervisiono. Ci sono modi più internazionali, e naturalmente Beefbar è molto internazionale. Gli italiani non erano molto abituati a questo concetto prima, ma piano piano stiamo facendo breccia anche dentro di loro”. Il punto è particolarmente importante. Non solo per stare al passo con la ristorazione contemporanea, ma anche perché, se la mentalità di un ristorante classico andrebbe verso l’unicità e la personalizzazione, da Beefbar si ragiona secondo logiche di marchio: in qualunque parte del mondo, Beefbar deve rimanere una certezza. Perciò lo standard deve essere ripetibile, pur nell’unicità di ogni location. “Un esempio: all’entrata tutti i Beefbar del mondo hanno la stessa fragranza, a me ricorda il Beefbar di Monaco, il primo in cui sono entrato. Gli standard sono fondamentali per noi, e non dobbiamo nemmeno dialogare per forza con quelli di uno stellato. Il cliente da noi deve sentirsi a casa, mai in imbarazzo”.
Per arrivare a muoversi con scioltezza in questa equazione, Ciervo ha solo una strada: la gavetta. Tanta, classica, sporcandosi. “Oggi c’è chi arriva ad alte posizioni di servizio studiando tanto. Io sono un fan di una strada in salita vecchio stile, vedere un po’ tutto, cominciare facendo il runner e salire da lì. Naturalmente funziona se si trovano posti di lavoro con cultura del merito, disponibili a farti crescere. Si devono fare tante ore al ristorante, in poche parole”.
Daigoro è 16 anni che fa questo lavoro. La schiena se l’è fatta nel Regno Unito, a Londra. “Mi ero trasferito lì per imparare l’inglese, avevo vent’anni, è andata a finire che ci sono rimasto cinque, sei anni. Lavoravo nella squadra di Buckingham Palace. Il primo servizio a cui ho partecipato è stato il matrimonio di Kate Middleton con il principe William”. Gli chiedo un aneddoto su questi anni regali. “Avevamo tre eventi da organizzare all’anno, interni al Palazzo. Lì ho servito il purè alla Regina Elisabetta, e quando sono andato via, ormai organizzavo quegli eventi io stesso. È stato un bel percorso. Ho ancora i guanti di quella prima volta appesi in camera, insieme al segnaposto del Duca d’Edimburgo”.



Ma torniamo a Milano, perché gli aneddoti non mancano nemmeno a Beefbar. “Il mio preferito riguarda i coltelli che facciamo apposta per i nostri clienti regular. Succede in tutti i Beefbar del mondo, incidiamo il loro nome sulla lama e glielo portiamo al tavolo ogni volta che vengono a mangiare da noi. Qui a Milano, per esempio, abbiamo clienti che vengono tutte le settimane, sia da soli che in compagnia. È stato un successo quasi improvviso, ma naturalmente è una soddisfazione”.
No, nemmeno Daigoro si aspettava così tanto affetto, fin dal primo momento. “I milanesi erano più pronti di quanto ci aspettassimo, e poi la clientela internazionale ha fatto il suo. Era come se la città fosse pronta, come se stesse aspettando Beefbar. Quello che dico dei viaggiatori, per esempio, è questo: in Italia il primo giorno cercano la pasta, il secondo la pizza, e il terzo cercano il comfort di Beefbar”.


Continua: “Riguardo la clientela, non c’è un segmento che prevale sull’altro. A volte abbiamo un 50% non italiano, comunque si parla di un mercato che si affeziona e che ritorna. Magari il milanese viene più per la serata speciale, in cui non si preoccupa e pensa solo a star bene. In generale, comunque, tutte le provenienze geografiche hanno richieste diverse e ordinano in modo differente”. Provando a riassumere, però, si può immaginare un cliente di sicuro benestante, che potrebbe frequentare d’abitudine gli alberghi cinque stelle lusso o indirizzi come Langosteria, Zuma, i tre stelle Michelin. Da Beefbar arrivano per sciogliersi un po’.
La missione riesce bene: tra una salsa che urla vecchio stile, la scoperta di un forno-griglia brevettato solo per Beefbar che facilita la cottura della carne e la famosa reazione di Maillard, viene voglia di quel boccone in più, o di tornarci per riprendere quella portata che si è lasciata indietro questa volta. Una cosa mi pare che dimostri Beefbar con il suo successo: la carne (o il pesce, ma qui non si applica) è ancora il piatto che urla lusso quando si tratta di mangiare fuori. Forse perché dividersi la bistecca è un “piattino da condivisione” ante litteram. O forse per un motivo più semplice, pure piuttosto triviale: quando è buona, come da Beefbar, è buona forte.