Intervista
un posto per tutti
Cucina Franca: spezie, accessibilità e buon senso
Una chiacchiera con lo chef Facundo Castellani
Foto cortesia di
Savour Duo
Cucina Franca: spezie, accessibilità e buon senso
7 minuti

Questa è la storia di Facundo Castellani: un amico, un collega e una cucina che in qualche modo penso di aver visto nascere e crescere. Con Facundo ho condiviso una stagione al Mirazur, il tre stelle di Mauro Colagreco, nell’estate 2022, e da allora non ho mai smesso di seguire i suoi movimenti in giro per il mondo. Prima le “Facu Sessions” – una serie di cene alternative e dinamiche collaborando con locali in metropoli come Milano, Parigi e Buenos Aires – fino al suo progetto attuale, che pochi mesi fa ha compiuto un anno. Si chiama Cucina Franca.

Se vivete a Milano, sicuramente ne avete già sentito parlare: il nome circola e non a torto. È un progetto con una visione ben chiara che prende forma, un progetto di giovani che hanno voglia di essere giovani. Dagli stellati ci sono già passati e le lunghe ore in cucina o in sala le hanno già fatte. Ora l’obiettivo è stare bene e far star bene, sia loro come squadra che il cliente che si ferma a condividere qualche ora nel loro locale. È un progetto audace che non cerca scorciatoie ma sceglie la strada, a volte più lunga, dell’onestà. Anche il nome, d’altronde, parte da qui. Da bambino, Facundo per gli amici era Faca. Poi Fracchia, eventualmente Franca. Questo soprannome è rimasto, tanto che quando i soci stavano pensando al nome del locale, sono partiti proprio da lì.

“Franca è un posto onesto – racconta Facundo – un posto dove ti trattiamo allo stesso modo, che tu venga per un piatto da dieci euro o per il menu intero. È un posto sincero ed è un posto per tutti. E quindi: Cucina Franca”.

È uno spazio aperto e vivace, con una piccola cucina a vista e un soppalco elegante e accogliente, che crea un’armonia naturale tra gli ambienti. È un luogo di condivisione.

È passato appena un anno dall’apertura, ma a Facundo sembra ne siano trascorsi otto. “È stata una corsa veloce che ci ha travolto, però con amore”, dice Facundo ridacchiando, con quella gentilezza ostinata che lo accompagna da sempre. Il “noi” è importante. Cucina Franca nasce da quattro soci: il compagno di viaggi e avventure professionali Gianluca Santamato, insieme a Jacopo Delle Grottaglie, Alberto Piccardo e, appunto, il nostro protagonista Facundo, argentino di origine ma con una vita già spesa tra Messico, Francia, Spagna e Italia. Il prequel è curioso: prima del locale di oggi, il gruppo si era cimentato con un bando culturale legato a un circolo Arci. Il progetto non andò avanti – almeno non il bando – ma l’idea ormai c’era, scritta nero su bianco, e il sogno aveva già sfiorato la realtà. E quindi, “sembra uno scherzo” dice Facundo, quando per caso si presenta l’occasione dell’immobile in via Friuli (zona Porta Romana), strategicamente collocato a due passi dal bar e dall’ufficio di Gianluca, e pure vicinissimo a casa di Facundo. In una settimana l’avevano comprato, senza investitori alle spalle e mettendoci dentro tutti i loro risparmi, e un mese dopo erano pronti ad aprire le porte. Nel frattempo, si erano improvvisati come imbianchini, elettricisti, muratori e quant’altro.

Cucina Franca non ha tovagliato, né sovrastrutture. Non fa fine dining ma non rinuncia alla precisione. Il menu cambia ogni tre settimane, non per virtuosismo, ma per rispetto.

Facundo lavora fin dall’inizio con circa sette fornitori (elencati sul loro sito) e sono loro a dettare il ritmo del menu, in base alla disponibilità della materia prima. Facundo non ama parlare troppo di stagionalità quanto di “buon senso”: lavorare con quello che c’è non solo è più facile e diretto, ma anche più divertente. “Quando mi dicono che non ci sono più zucchine ma arrivano le melanzane, io cambio il menu. Non è una scelta poetica, è buon senso”. E già questo dettaglio sottolinea l’abilità del cuoco nell’adattarsi al ritmo della natura, creando comunque piatti pieni di carattere e sapore a ogni giro.

I piatti hanno una forte anima vegetale, con contaminazioni provenienti da tutto il mondo. Facundo ama la cucina italiana, ma non sbaglia quando osserva che a volte può essere un po’ troppo tradizionalista – come quella basca, d’altronde, che ha conosciuto da vicino nei suoi anni a Bilbao, prima studiando al Basque Culinary Center e poi lavorando al ristorante Nerua (dove, tra l’altro, ha incontrato Gianluca). Le spezie, per lui, sono una passione: le maneggia con equilibrio e libertà, senza mai renderle protagoniste invadenti. I suoi piatti uniscono una tecnica raffinata a suggestioni raccolte nei viaggi. Come quella volta in Marocco, da cui è tornato con l’ossessione per il Ras el Hanout – una miscela di spezie che può includere coriandolo, cumino, cardamomo, cannella, pepe nero, curcuma e zenzero – o per l’Harissa, una pasta a base di peperoncini rossi. Il risultato? Una caponata con Ras el Hanout, o una parmigiana di melanzane arricchita con harissa. Facundo fa questi twist su piatti tradizionalmente italiani e, per fortuna, vengono accolti con piacere dal pubblico meneghino. Più recentemente, Facundo ha inserito nel menu un piatto che omaggia sempre Palestina, ad esempio utilizzando un’altra spezia mediorientale come lo za’atar. “La cucina ha una forza enorme nel mostrare le cose, nel raccontare una storia. Tutto quello che facciamo è un atto politico, ma in fin dei conti noi cuciniamo, e il ristorante deve funzionare. Facendo un piatto così non cambieremo il mondo, non risolveremo niente, ma possiamo almeno scegliere da che parte stare”.

Cucina Franca guarda alla sostenibilità in tutte le sue dimensioni – ambientale, economica e sociale – senza però farne uno slogan.

Qui non si spreca nulla e si sta attenti a qualsiasi spesa: anche un chilo di limoni in più o in meno può incidere sui conti. Recentemente hanno iniziato a collaborare con Recup: una ONG che recupera frutta e verdura destinata allo scarto dai mercati milanesi. Con questa azione ridanno un valore sociale a un alimento che ormai ha perso valore economico. Nel ristorante nasce il “piatto Recup”, il cui ricavato viene poi devoluto al progetto.

L’accessibilità, per Facundo, è sempre stata importante. Quando lavorava negli stellati soffriva dal fatto che i suoi amici o la sua famiglia non potessero accedere a quel livello di servizio. “Mi sembrava una contraddizione: cucinare bene in posti dove la mia gente non poteva mangiare”. Ora, nel suo ristorante, decide di fare diversamente. A Cucina Franca hanno una sezione di street food più accessibile (ad esempio empanadas o tacos a €8-12), il menu alla carta improntato su piatti da condividere, oppure un menu degustazione – non stile fine dining ma improntato come una selezione di sei piatti in modo da poter assaggiare più cose – a 40 euro. “Non posso definirli prezzi bassi, ma almeno non sono gonfiati e ci sono opzioni diverse”.

Facundo oggi non è più il cuoco che ho conosciuto qualche anno fa a Mentone, è molto di più. Lo dice lui stesso quando mi racconta che ha imparato cosa vuol dire essere imprenditore. Oggi è una forza motrice che con amore e gentilezza ha il potenziale, nel suo piccolo e senza obiettivi di strafare, di veramente cambiare le cose: dalla percezione di un ingrediente, al sapore di un piatto, al bilancio vita-lavoro di un dipendete. “Cucinare per me è naturale. Ma imparare a gestire persone, a capire la responsabilità, a fare quadrare tutto… è difficile ed è affascinante. Perché quando funziona, senti che il ristorante lavora anche quando tu non ci sei. È vivo”. A Cucina Franca sono passati dai 4 iniziali a una squadra di 12 in un anno; tutti hanno uno stipendio adeguato, due giorni liberi a settimana e orari sostenibili. “È duro, ma bellissimo. Vogliamo che qui la gente stia bene. È raro, ma possibile”.

A giugno hanno festeggiato il primo anno con una grande festa: 500 persone, un DJ set, la cucina aperta. “C’erano amici, famiglia, clienti. Era tutto quello che volevamo”, racconta Facundo. E adesso? Si cresce, ma con prudenza e visione. Primo catering quest’estate, prime richieste di pop-up dove la cucina di Franca esce dai suoi confini, viaggia e si racconta altrove. O accogliere altri, sempre con lo stesso spirito che li contraddistingue. Nel frattempo, il presente è qui: con attenzione e con amore, con due zucchine e un fiore (e sicuramente qualche spezia), può nascere un gran piatto.

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Cucina Franca

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