Barfly
Che cos’è
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Uno spazio in cui raccontare la mixology
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BarFly è una rubrica che nasce con l’obiettivo di creare una conoscenza più profonda e capillare verso la miscelazione. I barflies (mosconi da bar per usare la traduzione letterale del termine) sono quegli appassionati di cocktail e spiriti che, senza essere addetti ai lavori, si spostano di bar in bar, di bancone in bancone, bevendo senza indugio. Nel loro essere abitudinari e appassionati allo stesso tempo, hanno modo di provare menu interi, ricette storiche, le differenze di servizio tra le singole realtà. Il barfly in genere si muove in modo piuttosto sistematico e organizzato. Viaggia e degusta, investe nella scelta di cocktail sopra la spesa media, conosce i professionisti e ama avere i suoi punti di riferimento nei luoghi che frequenta. Esiste un film del 1987, diretto da Barbet Schroeder e scritto da Charles Bukowski che porta proprio questo nome, Barfly. Il protagonista è, senza nemmeno doverlo specificare, uno scrittore scalcinato che vive la sua storia d’amore con una prostituta barcamenandosi tra alcool, eccessi, litigi, bassifondi e mancate realizzazioni.

Mai come in questo periodo storico si sente parlare di miscelazione, di cocktail e di abbinamenti cibo – drink.

Nonostante il trend sia in crescita e il numero degli estimatori sia sempre maggiore, la possibilità di accedere ad un certo tipo di informazioni così come l’educazione in materia restano accessibili a pochi. Se facciamo riferimento all’Italia, prima ancora di altri paesi, bisogna fare i conti con un competitor in qualche modo ingombrante e ben più radicato nel tessuto sociale. Il vino. Da italiani ne siamo amanti, appassionati, collezionisti, e viaggiamo chilometri e chilometri in cerca di ottime annate e cantine sconfinate. Non si può certo dire che vi siano pari interesse o attaccamento verso il mondo degli spiriti. La nostra geografia ha accolto uva prima che cereali, facendo sì che anche dalla più piccola porzione di terra vitata se ne potesse ricavare un guadagno.

L’Italia nasce per una parte come paese agricolo, dove senza guardare in faccia ad altitudini o condizioni metereologiche, si è scelto sovente di coltivare uva per facilità, abbondanza di raccolto, molteplicità d’uso. Un po’ come noi italiani si è sempre stati circondati da grappoli, i messicani lo sono stati di agave. Non a caso la produzione di mezcal e tequila è talmente diffusa che ogni famiglia e ogni casa possiedono il proprio micro-lotto di produzione più che artigianale. Gli Stati Uniti sono da sempre grandi produttori di cereali, destinati a fare da base per alcool puro di grano o frumento. La popolarità e l’apprezzamento verso un distillato come il gin si manifestano sin dalla sua introduzione in Inghilterra alla fine del XVII secolo. Facile ed economico da produrre, il gin conquistò subito i ceti più bassi e divenne un prodotto venduto ovunque e da chiunque (bambini compresi).

In questa frammentarietà intrinseca di settore, vi è un’ulteriore aggravante. Quello che nella ristorazione è un luogo verso il quale l’utente sviluppa un certo sentimento di attesa e di curiosità – il ristorante – nella miscelazione non esiste.

Il cocktail bar è fermo a una condizione prevalentemente ludica e spettacolarizzata.

Salvo pochi appassionati, persone che hanno vissuto anni all’estero o professionisti del settore, la miscelazione vive un raggio tenue dell’aura magica che ha investito il mondo della cucina negli ultimi decenni. Questo cambiamento è avvenuto in parallelo ad un’evoluzione della professione stessa del bartender, che ha iniziato a non essere più sedentario e fisso dietro al bancone ma ha iniziato a viaggiare, a gareggiare per premi e competizioni, ad ottenere riconoscimenti internazionali. ”Il bartender moderno non è più confinato dietro al bar” dice Jim Meehan nel 2016 in occasione del simposio P(our). “Oggi puoi essere un bartender senza stare dietro al bancone tutto il tempo”.

Qui, sarà uno spazio in cui poter raccontare la miscelazione italiana e all’estero, portando in primo piano chi in questo settore ci ha creduto (e ci crede) e ne ha costruito una carriera oltre che uno stile di vita. Chissà che non vi venga più voglia di andare in un cocktail bar per socializzare – ancora prima di bere – e lasciarvi condurre…proprio come succede nei migliori ristoranti.


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