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casa fuori casa
Ma che cos’è esattamente la trattoria oggi?
La prima edizione del festival Hypertrattoria a Roma
Testo di
Greta Contardo
Foto cortesia
Ma che cos’è esattamente la trattoria oggi?
9 minuti


“Dobbiamo scrivere un libro sul concetto di trattoria”, dice Cesare Battisti, patron di Ratanà a Milano. Partiamo da qui. La Treccani la definisce: Pubblico esercizio, con una o più sale, dove si possono consumare pasti completi; ha in genere tono più modesto rispetto al ristorante, ma spesso il nome di trattoria è assunto anche da ristoranti caratteristici di alto livello. Corretta questa definizione enciclopedica, però manca qualcosa. È un luogo in cui si mangia, vero, ma i significati che si porta dietro e dentro vanno ben aldilà del cibo in sé e per sé. Legata al culto del prodotto, del territorio e del far star bene.

La trattoria è sempre stata la casa fuori casa, ma anche uno specchio del suo tempo, per definizione in costante cambiamento. E oggi non è più solo un luogo dove si mangia bene e si spende il giusto. Sta diventando molto di più: un crocevia di relazioni, una forma di pensiero. Un posto dove si cucinano anche concetti, non solo pastasciutte.

Ed è qui che la trattoria diventa hyper: quando smette di rappresentare qualcosa e comincia a trasformare qualcosa. E si concentra in Hypertrattoria: un festival, ma più che altro un movimento, per prendere coscienza, fare rete, raccontare quel che non si è mai raccontato. Nato dalla collaborazione tra Stefano Costi e Simone Brengola (soci nella produzione di eventi e proprietari di Vinificio e Pastificio San Lorenzo a Roma) e Laura Lazzaroni (giornalista). Obiettivo: fare il punto. Per tracciarne una sorta di perimetro, perché stiamo parlando del format più amato della nostra penisola, quello che effettivamente identifica una italianità anche all’estero. Eppure, gli italiani non sono mai stati bravi a raccontarlo, fino ad ora.

Ne avevamo avuto un assaggio il 4 maggio a Cascina Lago Scuro. Un grande prato verde nella magia della Cascina con la brace, le pizze, i vignaioli a sbicchierare e una manciata di trattori contemporanei: i padroni di casa di Cascina Lago Scuro, Erba Brusa e il duo FeG a fare da mangiare. Una giornata all’insegna dello stare bene in convivialità, appunto. Poi è arrivata Roma, dove l’Hypertrattoria ha preso forma dal 18 al 25 maggio: una settimana di cene, pranzi, piatti celebri, incontri, musica e vino artigianale che ha avuto il suo culmine nel fine settimana alle Officine Farneto con tre giorni di comunità temporanea e reale. Una specie di raduno di trattorie contemporanee da tutta Italia che hanno messo sul tavolo cosa voglia dire fare trattoria oggi. Non è stata una fiera, non è stato un simposio accademico e non ci sono state degustazioni guidate. È stato un festival, o meglio, un’esperienza. O forse, meglio ancora, un esperimento. Di una comunità temporanea e reale, al grido provocatorio del “Non se semo inventati un cazzo alla fine” lanciato da Alessandro Roscioli dell’omonima, storica, Salumeria Roscioli nella Capitale.

Identità è sicuramente la parola chiave che lega e scollega tutte le realtà che inseriamo nel grande calderone delle trattorie contemporanee.

Non c’è ce n’è una uguale all’altra. Mantengono tutte quel culto del territorio, dei prodotti local, di una qualche tradizione tradotta con un linguaggio personale derivato da esperienze di mondo. “È casa mia, e in quanto tale c’è la mia contaminazione, la mia visione” dice Francesca Barreca di Mazzo in un interessante talk tra giganti – intitolato La trattoria non esiste (o meglio cambia in fretta) –che ha messo seduti Diego Rossi di Trippa, Cesare Battisti di Ratanà, Marco Baccanelli (the other side of Mazzo), Alessandro Roscioli e il giornalista Marco Bolasco. È proprio casa mia a racchiudere lo stato d’animo della trattoria: estremamente personale, con quel non so che di famigliare, che mette a proprio agio.

A questo punto bisogna fare un po’ di semantica gastrofilosofica. Perché no, non sono la stessa cosa. L’osteria e la trattoria hanno in comune lo spirito dell’accoglienza popolare, ma divergono come due sorelle di segni zodiacali diversi. Oggi l’una, nei casi migliori, confluisce nell’altra e quella linea sottile non c’è più che un tempo faceva la differenza non c’è più. L’osteria era l’epica dell’immediatezza fatta di vino, chiacchiere e qualcosa da mangiare. Un luogo anarchico, disordinato, con una persona centrale a tenere le redini: l’oste. La trattoria invece è sempre stata meno improvvisata, più affettiva, il posto dove andare a mangiare e stare bene. Entrambe mettono la parte umana al centro, con personaggi di carattere e spessore rispettivamente in sala e in cucina. Entrambe lavorano sul ruolo sociale della tavola, sono luoghi dove la convivialità incontra la consapevolezza, e la semplicità non è mai banale. Sono tavole aperte, e non solo perché l’informalità è una delle fondamenta, ma perché questa informalità è una forma di rispetto e cura.

In un’epoca in cui la ristorazione spesso insegue modelli, numeri, narrazioni standardizzate, la versione hyper della trattoria ci sembra la soluzione ideale per prendere il meglio di entrambi i mondi aggiungendo coscienza per fare dell’accoglienza un progetto culturale. Per fare un qualcosa che non è solo una comfort zone, ma è un luogo dove si sta bene perché qualcuno ha pensato a come fartici stare bene.

Quindi, Hypertrattoria è la trattoria che prende coscienza di sé.

È una sorta di trattoria dopo un viaggio nel tempo. Prende la memoria della trattoria e la proietta nel presente con lo sguardo rivolto a domani. È un dispositivo relazionale. Il dialogo del secondo giorno, infatti, atterra proprio qui. Moderato da Paolo Ferrarini, esplora come definire l’identità contemporanea della trattoria italiana attraverso la progettazione: parlando di materiali, sedute, atmosfera e codici esperienziali. Eleonora Carbone di Naessi Studio – un laboratorio creativo multidisciplinare che unisce narrazione strategica, arte direzione e design – e Sarah Cicolini di Santo Palato hanno raccontato come l’architettura e il design narrino la tradizione e ne disegnino il futuro. L’idea è quella di mantenere invariati i messaggi degli oggetti che definiscono la trattoria, ma ripensandoli e traslandoli in chiave moderna. Tutto questo si vede concretamente nel progetto che hanno realizzato insieme nel nuovo Santo Palato.

Non stiamo a raccontarvi di quanto erano buoni i piatti spadellati nei tre giorni da quella quindicina di trattorie da tutta Italia che ha animato Officine Farneto. Neppure del bel vibe. Peccato se ve lo siete perso, vedete di non perdervelo alla prossima. In quei tre giorni, noi, ci siamo divertite a chiedere in giro il sentimento trattoria, sia ai protagonisti che ai partecipanti, per capire cosa accomuna le trattorie che ci piacciono. Quelle vere, quelle vive, quelle contemporanee.

La trattoria è in primis convivialità.

È semplicità, conforto, stagione, cultura, famiglia, dialogo e condivisione. Queste sono le parole sulla bocca di tutti. È chiaro che non si tratta di solo cibo: ma è il contesto che lo rende necessario. La trattoria è accoglienza, radici, gesto semplice. È il piatto della nonna, ma cucinato con una certa consapevolezza. È un luogo dove si celebra la cucina del quotidiano. Non c’è una definizione unica, ma un coro di voci, di esperienze, di dettagli. Perché la trattoria è un luogo, ma anche un modo di stare al mondo.

La trattoria è “l’espressione migliore del convivio”, dice la vignaiola Maria Ernesta Berucci. Per le donne di cantina Bera invece è tradizione, certo, ma anche apertura, possibilità di dialogo e contaminazione, ma anche stagionalità e prodotti del territorio. La trattoria è anche il luogo comodo, semplice, rassicurante, come dice Salumeria Malinconico. È fuoco, essenzialità, parole giuste dette da chi sa, come al Podere Arduino: prodotti semplicissimi, un buon oste, e il calore di qualcosa di vero. I Trecca la descrivono così: un luogo dove godersi il bello e il buono della città, dell’Italia, in compagnia di amici e familiari. Ma anche un posto dove si condivide ben di più dei pasti: esperienze, pezzi di vita. È casa senza esserlo davvero, è il senso pieno della convivialità. Con Mimì alla Ferrovia si aggiunge un’altra parola chiave: cultura. La trattoria come storia e passione, come memoria che si cucina ogni giorno. È il piatto che ricrea l’infanzia, la nostalgia che diventa “tanta robbba”. Cibo che connette, unisce, ricuce pezzi sparsi.

Per Alessandro Lazazzera, dal banco di Mazzo (ora cuoco del nuovissimo Tantecarecose al Pigneto), è comfort allo stato puro: un posto dove sentirsi vicini a casa anche se si è lontani. Mentre Ratanà chiama in causa la famiglia, l’ospitalità, i fornitori, la genuinità: è cultura, tanta cultura, fatta anche di relazioni. Sarah Cicolini di Santo Palato la vede come un archetipo che si aggiorna. La trattoria di oggi è ispirata a quella di ieri: cibo vero, gente vera. È un’immaginazione collettiva che si completa nel piatto. Un affresco popolare, attuale e antico insieme. Per Buccia, è condivisione attiva, vissuta: piatti da assaggiare tutti insieme, chiacchiere sciolte, inclusione tra chi sta in sala e chi in cucina. È un posto dove si parla di cibo e di vita, dove niente è rigido, tutto è relazione.

Franceschetta ci mette la gioia: il tavolo come luogo di scambio emotivo, i piatti come veicoli di valori. La condivisione non è solo tra i commensali, ma anche tra chi cucina e chi mangia. Un dialogo profondo, continuo. Eleonora di Studio Naessi aggiunge una sfumatura moderna: la trattoria come luogo dove tutti stanno bene, qualunque cosa stiano cercando. È familiare, ma non è casa. È rifugio, ma anche partenza. Il Pastificio San Lorenzo richiama invece le emozioni di una volta, con una cucina spartana e sincera. Non alla portata di tutti, ma per tutti: un’uguaglianza che si conquista nel gusto.

Francesco di Collebrunacchi affonda nella psiche: è il luogo del cuore, il cibo ancestrale, la coccola della mamma. È l’origine, il primo gesto d’amore che si cerca di nuovo, ogni volta, in trattoria. La memoria di una carezza nel gusto di un sugo. E poi ci sono i giovanissimi ragazzi di Annuccia, con la loro torta caprese ricetta originale e il suo doppio sguardo: da una parte la convivialità, l’amore e la passione per la cucina. Dall’altra, il ricordo dei piatti della nonna, il calore di casa, i sapori familiari che si fanno “miracolo” quotidiano. E infine, per Laura Lazzaroni – la curatrice dell’evento – che cos’è la trattoria?

“È felicità”. Una definizione essenziale e assoluta.

E allora viva le trattorie, soprattutto quelle contemporanee. Quelle che non hanno paura di cambiare pur restando sé stesse. Quelle che ci fanno sedere a tavola per condividere il mondo. Quelle forme buona di felicità, con la pancia piena.


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