Qual è l’attrazione preferita dai turisti extraeuropei nel corso dei viaggi in Europa? Natura, città e, of course, enogastronomia che interessa, come motivazione di viaggio, il 35% degli intervistati. Non va troppo diversamente per i turisti europei che indicano tra le tipologie di esperienze preferite ancora la visita agli spazi naturali insieme alle mete enogastronomiche con visite a mercati, cantine, ristoranti ecc.. (31, 9%).
La ricerca, condotta ogni sei mesi dalla European Travel Commission, è stata nel dettaglio analizzata da Roberta Garibaldi, esperta in wine food tourism al BEAM di Bolzano (il15 e il 16 maggio), la manifestazione che, al suo terzo anno, raccoglie un successo crescente tra gli operatori del settore e non solo, confermandosi come uno dei momenti significativi per l’analisi dei trend che stanno già plasmando il futuro dell’hospitality tra AI e innovazione tecnologica. E, proprio guardando al futuro, tra le esperienze che i clienti desiderano maggiormente l’Institute for Hospitality Management prevede entro il 2030 un afflusso sempre maggiore verso destinazioni off the beaten path – micro borghi, zone rurali, aree meno battute – spinti dal desiderio di evitare il sovraffollamento turistico e di scoprire culture autentiche.
“Tutti i turisti – ha spiegato Garibaldi – a prescindere dalle motivazioni, vogliono vivere questa tipologia di esperienze che consente loro di connettersi con i luoghi e le persone. E bisogna essere ben consapevoli del fatto che per ogni euro investito nel settore sette ne tornano. L’impatto economico del turismo enogastronomico sul Pil nazionale segna oggi i 40 miliardi di euro di cui un quarto circa (9,2 miliardi) con impatto diretto su alloggi ristoranti commercio ecc. Dai dati Eurostat emerge in particolare la rilevanza dei piccoli borghi con 48 milioni di visitatori in Italia, uno dei trend dell’anno in crescita che vede il nostro Paese secondo solo alla Spagna”.
Al riguardo si nota ormai l’emergere di modelli di business che vanno oltre la tradizionale offerta di camere o di bed and breakfast. I viaggiatori contemporanei non cercano servizi ma narrazioni. Non vogliono solo comfort ma momenti ad alto impatto emozionale. Secondo recenti studi di HospitalityNet, l’ospite tipo richiederà un viaggio su misura che integri elementi di wellness, esplorazione culturale e attività sostenibili in un’unica storia coerente.


“Il 10 per cento del Pil globale arriva dal settore dell ospitalità e un lavoro su dieci è proprio in questo settore” ha affermato Diane Binder del World Economic Forum e Ceo di Regenopolis (con progetti e iniziative internazionali a supporto dei sistemi locali soprattutto nell’area del Sahel). Binder – con una esperienza ventennale in aziende e organizzazioni internazionali di sviluppo e Ong – ha raccontato del progetto che ha coinvolto il piccolo villaggio marocchino di Tizkmoudine che si è ripopolato grazie a numerose iniziative condivise con la comunità locale. Nel Sahel ha sviluppato una microospitalità che offre sistemazioni temporanee in aree remote grazie alla partecipazione degli abitanti. “Questa esperienza, ha sottolineato, è una leva formidabile per spingere verso una economia rigenerativa”, concetto su cui ha più volte insistito e che ha il suo centro di interesse proprio la collaborazione con i locali. “Abbiamo nelle mani la capacità di trasformare le persone e questo può spingere alla crescita delle popolazioni proprio a partire dai saperi locali. Occorre integrare nella gestione del turismo il loro punto di vista”.
È lo stesso approccio che, dall’altra parte dell’Oceano, in Canada, vede la “radical collaboration” con le comunità locali nel più importante Parco Nazionale canadese, il Banff National Park (4,5 milioni di visitatori e 9mila residenti). Leslie Bruce, una delle responsabili, così la descrive: “Il Parco è una monocultura turistica e con il nostro progetto di ascolto delle esigenze delle persone che abitano quei territori abbiamo potuto contemplare diverse prospettive che limitano l’impatto dell’over tourism. In generale, le persone devono mettere da parte i loro interessi personali, le loro idee precostituite per cercare di trovare soluzioni nuove e diverse. Gli ingredienti di questa collaborazione sono la comunicazione aperta, il rispetto reciproco, la capacità di ascolto. Occorre abbracciare il conflitto, accettarlo come una opportunità di crescita. Noi abbiamo costruito un’agenda condivisa con la popolazione, abbiamo intervistato e raccolto le idee di 2000 persone che si sentono ora parte di un progetto. È un processo di concreazione e di partecipazione attiva che ha un impatto sul sistema di mobilità, sulla sostenibilità. Ad oggi spostiamo 2 milioni di persone con i mezzi pubblici”.
E a proposito di ascolto – un tema molto caro al congresso Beam (che a tratti si è trasformato in una sorta di psicoterapia comportamentale collettiva sollecitando i presenti a raccontare di sé in piccoli gruppi oltre a un momento yoga di concentrazione e rilassamento) è rappresentato interessante l’esperienza portata da Florian “Floko” Zibert con il suo progetto alberghiero Gmund nella valle del Tegernsee in Baviera. A pochi passi dalle rive del lago si trova BLYB, un albergo di 29 stanze ma anche un luogo speciale per l’ospitalità fortemente intrecciato con la comunità locale. In collaborazione con scuole e Università sono stati creati format e spazi per lo scambio, l’educazione e la partecipazione. E per studiare l’impatto che l’ascolto ha sulle persone ci sono 40 volontari formati in questa “arte” a disposizione degli ospiti e non solo con una roulotte isolata nel verde dove qualcuno è sempre pronto ad alleviare ansie e stress orientando il suo orecchio all’ascolto.