Un ristorante a Milano in cui si sta bene, si mangiano cose originali e si paga il giusto? Sembra impensabile, secondo le regole della ristorazione cittadina, all’insegna delle tendenze effimere e dei prezzi sostenuti. Invece, un locale così esiste e, più che rivoluzionario, è semplicemente…Losko. Lo hanno chiamato così i tre soci fondatori del nuovo locale nel quartiere di Porta Venezia, scritto con la lettera “k. Loro sono Ismaele Marzano, 38 anni, il fratello Manuel (in cucina), 29 anni, e David Ramirez, 32, consulente e curatore della carta dei vini. I due Marzano hanno alle spalle l’esperienza della braceria Artisti Macellai, di proprietà di famiglia. “È un locale sulla spiaggia di Marina di Alliste, nel Salento, che a lungo è stato interamente dedicato alla carne alla brace, perché fino a qualche tempo fa, quando abbiamo introdotto i primi vegetali, in loco il concetto di vegetariano pareva un abominio” sintetizza Ismaele.


Dopo l’esperienza in Puglia, Ismaele ha studiato economia a Parma, lavorato nel marketing di un’azienda e poi si è spostato a Londra mentre Manuel ha fatto esperienze a Da Vittorio, alle Drogherie Milanesi e si è occupato di catering con la chef Cristina Bowerman. David Ramirez invece ha passato anni da Exit, l’ex locale di Matias Perdomo, e poi nel 2020 si è dedicato all’importazione di vini. E ora eccoli tutti qui, in questo locale piccolo, ma suggestivo in cui l’età media della clientela va dai 30 anni ai 55. “Spesso i clienti arrivano per un aperitivo al bancone e poi restano per cena. Però sempre più persone arrivano invece di proposito, informate grazie agli articoli su di noi e ai social” spiega Ismaele, rivelando che il tipo di cucina di Losko attira molte tavolate con persone allergiche al glutine. “Una fortuna perché sono loro che pilotano le prenotazioni e la nostra proposta mette tutti d’accordo” constata.


E veniamo dunque ai capisaldi di Losko in cui proprietari sono stati “folgorati” dalla concentrazione di sapori di Niko Romito e dalla poliedricità di Bittor Arginzoniz e del suo Asador Etxebarri, il luogo per eccellenza della cucina di brace. Come nell’eccelso modello spagnolo, anche qui la volontà è quella di
oltrepassare le limitazioni merceologiche della classica braceria per usare il fuoco in una moltitudine di modi
dal cocktail al dolce, sempre all’insegna della valorizzazione di ogni singolo ingrediente. “Noi non usiamo salse, creme o nappature. Nel piatto c’è in genere un ingrediente in varie consistenze, in modo da esaltarne tutte le parti. Tra i piatti a mono-ingrediente chi scrive ha assaggiato il Carciofo, che viene cotto alla brace, condito con olio di carciofo e finito con polvere di carciofo. Non c’è altro, e onestamente neppure servirebbe. Ottimo anche l’Hummus di ceci e notevole il piatto di bietole e pere in cui “la parte dolce della frutta viene usata per fornire la parte grassa necessaria a soddisfare il palato”, ci spiega Ismaele, mentre nella Lattuga glassata al Bloody Mary è l’acidità del pomodoro a conferire insolita grinta alla verdura cotta.
Poiché, oltre al lavoro sui vegetali, la cucina prevede pure il quinto quarto (e non mancano le Bombette pugliesi con panatura gluten free), consigliamo a chi non l’ha mai assaggiata di ordinare qui la Trippa: con la consistenza del calamaro e abbinata e un goccio di limone è un piatto dal gusto pulito e delicato che fa superare ogni schifiltosità culturale. Anche il dolce, che gioca sulle consistenze dell’ananas, nella sua apparente semplicità finale richiede invece parecchi passaggi: prima viene “impiccato” e bruciato alla brace, e dopo una notte in frigo, ripulito con aggiunta finale di bourbon torbato. All’esiguità del personale (in cucina fa praticamente tutto Manuel, anche perché la stessa ha dimensioni contenute) si unisce il livello costante offerto da tutte le pietanze proposte, la cui omogeneità qualitativa nasce dal giudizio insindacabile di tutti e tre i soci su ogni singolo piatto. E la selezione è implacabile: “Al punto che, per mettere a punto la giusta combinazione per la Patata ancestrale Manuel ha fatto talmente tanti tentativi, tra vari tipi di patate e di caciocavallo, che dopo non ha mangiato patate per un anno”, spiega il fratello.






In attesa di scoprire i nuovi piatti (e ingredienti) in menu, come il tarassaco, introdotto in ossequio rigoroso alla stagionalità dei prodotti utilizzati, consigliamo di provare questa curiosa cucina di brace abbinandola anche a cocktail come il Losko sour, composto con blend di tre rum infusi con ananas affumicato.
Come ultima nota va segnalato che, nonostante la dedizione profusa dai tre soci e la validità delle proposte, Losko si distingue nel panorama milanese anche per la insolita ragionevolezza dei prezzi. I piatti sono pensati per essere condivisi, ma va considerato che ci sono portate a meno di 10 euro e quando li superano restano comunque molto abbordabili. Nella capitale italiana della ristorazione “nata per riciclare capitale”, anche questo sembra sospetto. Invece, come detto sopra, è semplicemente Losko.