Mini-storia
All day dining
Un nuovo (antico) punto sulla gastronomia italiana: Gabrini a Roma
Dai banchi del mattino al ristorante serale, un’intera giornata nel progetto firmato Castroni, Di Vincenzo e Moroni nel quartiere Prati
Testo di
Lorenzo Sandano
Foto cortesia
Un nuovo (antico) punto sulla gastronomia italiana: Gabrini a Roma
9 minuti

Testo di Lorenzo Sandano
Foto cortesia

Penso che la forma più rappresentativa di gastronomia/rosticceria risieda in un’usanza tutta “all’italiana” (perdonate l’eccesso di patriottismo). Non parlo solo di un frigido bancone riempito con piatti pronti per l’asporto o di una versione sofisticata di bottega dedita alla selezione di prodotti, formaggi o charcuterie. L’immaginario italico profuma di polli rotanti e succosi che danzano sullo spiedo per 24 ore senza sosta; arrosti, contorni e paste al forno fumanti; fritti sornioni d’ogni sorta da sbocconcellare senza orari; panini imbottiti, tramezzini e pizze in teglia che ti svoltano il pasto (nonché l’umore) a seconda degli appetiti quotidiani. Un paradigma di locale, a tratti in via d’estinzione, marchiato a fuoco nel nostro DNA di consumo. Formato che oggi pare poter rinascere aggiornandosi al futuro: la Gastronomia Gabrini a Roma ne è prototipo esemplare.

Riletture senza tempo della “rosticceria di quartiere”

Non solo perché riassume ed eleva tutti i tratti sopra citati lungo sfere applicative in continuo sviluppo, ma anche perché sorge in uno spazio che in passato incarnava l’archetipo della rosticceria all’italiana “vecchia scuola”. L’eredità raccolta da Camilla Castroni, Leonardo Di Vincenzo e il cuoco Marco Moroni è infatti stata quella della storica Gastronomia Franchi nel quartiere capitolino di Prati, che ha chiuso per sempre le serrande nel 2021 dopo decenni di onorato servizio. Gestire il retaggio di un’attività così simbolica non è affar semplice, ma l’intento di Camilla Castroni (titolare dell’omonima insegna di Roma, che sorge sulla stessa via del nuovo locale) era quello di mantenere un continuum con la precedente realtà, rispettandone i connotati primari e proiettandoli verso nuove letture.

In un settore che sbandiera lo stereotipo della “cucina di nonna”, ma che spesso non riflette sul quanto le nonne d’ultima generazione stiano perdendo una connessione con liturgie gastronomiche fondamentali, progetti come Gabrini rappresentano già un patrimonio indispensabile. L’obiettivo dell’atomico trio (Di Vincenzo, Castroni e Moroni), è stato raggiunto alla grande sia dal lato di impatto estetico (prezioso il restyling degli arredi) che da quello dell’offerta, catturando ogni senso appena varcata la soglia del locale. Pizze, focacce e lievitati in mille fogge (dai grandi classici a digressioni sul tema) fiancheggiano imperiose l’ingresso, sfumando placidamente lungo una passerella libidinosa di salumi e formaggi ricercati con metrica da segugi ultrasensibili in ogni antro del globo (rarità italiane e laziali, insieme a Spagna, Inghilterra, Francia, Svizzera, Irlanda e molto altro). Segue un altro corner dei balocchi, siglato dalla versatilità culinaria di Marco Moroni: sin dal mattino, in ottica di allietare l’afflusso del pranzo, la cucina sforna piatti freddi e caldi a rotazione pressoché infinita, assecondando stagioni, estro del momento, ma soprattutto una celebrazione assoluta delle materie prime radunate qui.

Se già Camilla portava nel corredo genetico familiare un’impronta devota al prodotto (alcune referenze provengono infatti dall’adiacente Castroni), Marco ha innestato una sorta di mantra inviolabile nella trasformazione di qualsiasi pietanza. “Quando ho iniziato da giovane al Bistrot Bio di Monteverde già lavoravo con elementi agricoli di livello, ma tendevo a stravolgerli per la voglia di esprimere il mio lato creativo – spiega lo chef – oggi mi sento molto più rilassato e conscio dei mezzi e di quel che mi piace fare; quindi, ritrovarmi a maneggiare ingredienti di questa levatura ogni giorno è il più grande divertimento. L’idea è di valorizzarli con semplicità, hanno un potenziale incredibile per sperimentare non annoiandoci mai. Anche la cottura al girarrosto, ad esempio, mi regala soddisfazioni impensabili utilizzandolo tagli di carne diversi dal pollo, sino alle prove con ortaggi e vegetali che cuociono soltanto con i propri succhi concentrando zuccheri e sapore senza l’aggiunta di sale o altro. Lo spiedo mi affascina perché è una tecnica che devi sondare costantemente con cura e intuito. Dal passato non si finisce mai di imparare”.

L’ineluttabile valore umano del prodotto

Assaggiamo il Supplì con fiordilatte di Campofelice (rigorosamente al telefono), riso Carnaroli e pomodoro della masseria La Cattiva per sigillare gaudenti le parole di Moroni, che ci delizia in sequenza con un Lingotto di patate del Fucino fritte con generosa nevicata di Parmigiano Reggiano grattugiato e un turbo-toast con Panbrioche homemade, Cotto Branchi Riserva e un persistenze formaggio Schlossberger simil-Comtè.

La Pizzetta rossa, tonda, bassa e scrocchiarella – pescata dall’angolo del forno – è un trip evocativo senza pari delle merende di scuola; mentre sia la Focaccia dalla struttura alta e ultra-soffice, sia la classica Teglia romana denotano il background tecnico del portentoso pizzaiolo/panificatore Alessandro Pescosolido: un mix così equilibrato tra base crispy/sfogliata e un morso setoso/filante dall’indurre dipendenza. Per immergerci al meglio nelle architetture casearie e norcine selezionate da Gabrini, pendiamo dall’arte oratoria di un mattatore del banco quale Alfredo Colangelo (direttore responsabile). Sa enunciarvi con dialettica ipnotica “vita, morte e miracoli” d’ogni prodotto o produttore presente in questo luogo, oltre a concedervi puntuali assist beverini in abbinamento dalla cantina (notevole la wine-list di chicche locali ed estere, ma anche sul lato vini naturali, craft beer e distillati supervisionato da Leonardo Di Vincenzo). Colangelo sfodera combo dai vari reparti che riassumono lo spirito poliedrico/multifunzionale che anima questo spazio: la Cialda di pizza scrocchia appena sfornata si riveste con un prosciutto crudo di Parma affettato al coltello; mentre lo stracchino favoloso di Caterina Maceroni (Ceprano) sposa il manto della Pizza con patate a sfoglia e rosmarino in match a un perfetto Americano Cocktail della barlady Letizia La Sala.

Colazione, pranzo, cena no-stop

La portata straordinaria del format Gabrini è tangibile tanto in un singolo momento, quanto (con effetto amplificato) nell’evoluzione del suo vissuto nelle diverse fasce del giorno: al mattino, la talentuosa pasticcera Fabiana Velli plasma dolci lievitati, torte al taglio, babka, maritozzi e crostate a profusione utilizzando solo ingredienti top gamma, proprio come il pane da lievito madre e farine biologhe autoprodotto che si alterna a due tipologie “jolly” da mastri fornai di fiducia quali Forno Marè Prati e Triticum Panificio. Il pranzo, oltre alle pizze già menzionate, vede sfilare fritti di varia foggia, insieme a paste del giorno, porchetta handmade, carni al girarrosto, turbanti di vitello tonnato, lasagne, insalate variopinte e piatti di pesce che coinvolgono l’asta quotidiana di Anzio o Fiumicino. L’aperitivo serale sfuma verso il capitolo ristorativo con qualche assaggio espresso realizzato da Moroni (assuefacenti i Gamberi gobbeti fritti espressi con maionese agrumata) per poi concedere un capitolo a sé stante – mai scollato dal resto – al comparto della cena. Questa consecutio di consumi, pietanze e liturgie gastronomiche è stata abilmente scandita anche dalla graduale mutazione della location: se infatti di giorno ci si avvale di funzionali postazioni con ripiani, mensole e sedute sartoriali che accolgono all’incirca 15 coperti, la sera alcuni tavoli a scomparsa e postazioni conviviali si adattano perfettamente allo switch di luci e atmosfere che accompagnano la clientela verso una tranquilla intimità serale. In sala, la finezza briosa di Alexandra Tagliaferri e le competenze della sommelier Cecilia Mace rilegano un servizio che non lascerà deluso alcun tipo di avventore. Chicca in progress, quella della chef table per max 4 persone (locato proprio nel cuore operativo della cucina) che offre una panoramica immersiva nel fulcro identitario brevettato da Marco e dalla sua squadra.

La cucina di Marco Moroni

Accomodati fronte-pass (con playlist musicale modulabile a piacere dagli ospiti) possiamo affermare che questa fase di esaltazione materica e minimalista del cuoco gli conferisce una rinnovata verve di libertà ed entusiasmo rintracciabile in ogni boccone sin dallo start. Gioiosa la Pizzella fritta (realizzata in ottica no-waste con l’impasto in esubero della teglia) con mortadella naturale, Parmigiano Reggiano e olio di Coratina “Torrerivera”; elettrico e corroborante l’assemblaggio di Fagioli, grano cotto, cipolle addolcite e brunoise di verdure stagionali a crudo; penetrante il morso della Focaccina alla brace con paté di fegatini, puntarelle, mosto d’uva e chutney di cachi in conserva. La Trippa di polpo alla romana (pomodoro, pecorino e menta) è un’intuizione geniale che sfrutta la consistenza callosa della testa del cefalopode per ricreare medesima texture della popolare frattaglia. “L’ho ideata per l’esigenza di non scartare tutti quei tagli del polpo inutilizzabili nelle insalate di mare. A Prati vanno a ruba nelle pause pranzo” spiega ridendo Marco. “Questo quartiere e questo locale ti generano ispirazioni impensabili partendo da aneddoti di consumo elementari”. Teorema basico, ma che non lascia affatto indifferente il palato, come nel sontuoso bis di primi a base di Tortellini del Pastificio Secondi con panna fresca (che magnifica coccola!) e un fenomenale Tagliolino al burro francese, Parmigiano Reggiano 24 mesi e porro che rimarca la limpida cifra essenziale raggiunta da Moroni. Si chiude con un clamoroso esercizio capace di unificare l’identità di rosticceria e ristorante in un unicum senza tempo. Il Pollo ruspante dell’Az. Scudellaro cotto magistralmente al girarrosto e nappato con un fondo vegetale, servito in compagnia di ortaggi e verdure glassate al burro (con una sapiente cottura “nature” in più tempi per ogni tipologia vegetale). Dopo quest’assaggio, non avrete altro pollo allo spiedo all’infuori di questo.


Scivoliamo soavi nella coltre di crema alla vaniglia dei Bignè e della Torta della Nonna quale rimando finale al legame ciclico con la pasticceria esposta al banco dal mattino. Conclusione ancor più dolce – per sondare la veridicità del progetto – quella di seguire Moroni dopo cena in un tour sotterraneo delle sconfinate aree dedite a magazzini, celle e laboratori che ci spalancano gli occhi dinnanzi al lavoro monumentale (nonché ordinato/incasellato al millimetro) che l’organico di Gabrini sta ereggendo a partire dalle sue stesse fondamenta. E per apporre un ulteriore punto a questa prodigiosa impresa gastronomica, Marco ci saluta illustrandoci un ipotetico spazio futuro che avrà come fulcro quello della mixology: il “Punto G”. Zero anticipazioni di idee fasulle, ma solo tanto genuino godimento a profusione, come ogni gesto messo in campo da questa Antica Nuova Gastronomia.

Posto
Europa/Italia/Lazio/Roma
Gabrini

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