Emozioni, ricordi, viaggi olfattivi e gustativi, non sono più solo un’esclusività del cibo. Attraverso la continua ricerca e scoperta degli elementi vegetali, ricchi di inaspettate e preziose meraviglie, anche il mondo dei succhi, spesso poco conosciuto nel sud Europa per le sue incredibili possibilità, si sta tingendo di sapori e colori unici, di nuove esplorazioni, di una complessità ed eccellenza fatta di accurata sperimentazione e capacità di sorprendere. A pochi giorni dal lancio del suo nuovo progetto abbiamo incontrato Giulia Caffiero, Assistant Restaurant Manager e Juice Maker del ristorante Geranium a Copenaghen, autrice del libro Juice Pairing. Tecniche per la preparazione di succhi e abbinamenti naturali a tavola e bellissima anima creativa.
Quando ci siamo conosciute per l’evento del juice pairing al ristorante Erbavoglio mi hai raccontato dei tuoi studi in archeologia ma ho scoperto di recente che hai studiato anche come fashion designer. Albori pieni di arte. Perché hai deciso di proseguire nel mondo della ristorazione?
Ho una parte creativa innata. Mi piace la bellezza in tutte le sue forme. Fin da piccola disegnavo tanto e pensavo di fare l’insegnante da grande. Un sogno che in realtà sto realizzando perché dal 31 marzo insegnerò servizio di sala alla Scuola Alberghiera di Copenaghen dove faremo anche dei workshop sui succhi. È stato proprio il desiderio di studiare fashion design a Milano che mi ha aperto le porte alla mia attuale professione. In quel periodo, per sostenermi economicamente, ho iniziato a lavorare al ristorante 28 Posti con Marco Ambrosino e Iris Romano. Ho potuto così conoscere da vicino questi due mondi, moda e ristorazione, e cambiare idea sul mio futuro. Ho trovato tanta bellezza, gioia e amore nel lavorare al ristorante con Marco e Iris, nello stare a contatto con le persone, farle stare bene.
Ora sei Assistant Restaurant Manager e hai fatto evolvere questa nuova frontiera del juice pairing creando un servizio unico, inclusivo, sano, estremamente creativo. Com’è avvenuto questo passaggio?
Quando sono arrivata al Geranium, il mio grande obiettivo lavorativo, c’erano due ragazzi che si occupavano di juice pairing. Creavano succhi organici molto semplici preparati con frutta e verdura organica. Ho chiesto di entrare nel team e mi sono appassionata sempre di più fino a quando ho deciso di fare nuove proposte come quella di realizzare succhi con una struttura più complessa e con più elementi stratificati fatti di frutta, verdura e erbe. Ho studiato e svolto tanta ricerca sperimentando varie miscele e passando anche da tanti errori, robe imbevibili, per arrivare poi a risultati eccezionali. Ho capito che quello era il modo ideale per esprimere la mia arte.


Qual è il processo di creazione di un succo in abbinamento a un piatto?
Lo assaggio e cerco di capire in quale direzione voglio andare. A volte ci sono elementi nel succo che si trovano anche nel piatto per dare continuità e persistenza, altre volte vado per contrasto come quando c’è un piatto con alimenti grassi e quindi cerco di portare un succo che rinfreschi e prepari il palato a sperimentare e percepire appieno i successivi sapori. Ci sono tanti modi per giocare tra le varie combinazioni, sempre veicolate anche dal mio gusto personale. C’è qualcosa di romantico quando creo e sicuramente c’è un’influenza legata alle mie radici sarde, alla mia infanzia, alle mie esperienze così come alle stagioni e ai vegetali che ho disponibili in un determinato luogo.
Cosa ti stimola di più in questo lavoro?
Il diretto contatto con la mia forager con cui vado spesso a raccogliere le materie prime. Mi fa esplodere il cervello: scoprire nuovi sapori, odori, conoscere nuove manifestazioni della natura. Certi vegetali da crudi hanno un sapore e da cotti, in infusione, ti possono catapultare in un altro mondo. Faccio questo lavoro da 15 anni e ho mangiato e provato tante cose. Questo è stato fondamentale per riuscire a creare abbinamenti sempre nuovi e ad essere sempre alla ricerca di qualcosa di originale.
Cosa stai sperimentando ora?
I rami di ribes, molto più semplici da trovare nel nord d’Europa, e che ora sto provando in infusione. In questo ultimo periodo sto sperimentando un amore più forte per la natura e si vede in quello che realizzo. Si nota anche dalla calma con cui faccio le cose, dal fatto di avere più piante in casa e dal desiderio di prendermene cura. Raccogliere i fiori, sapere cosa puoi mangiare e cosa no, come infonderli, preservarli, sono tutti aspetti che mi hanno fatto crescere qualcosa dentro più vicino alla natura.
Qual è il succo che ti sta coinvolgendo di più in questo momento?
Sono sempre molto legata a tutti e se un succo non mi piace al 100% non lo propongo. La scorsa settimana a Madrid ho portato ad esempio un succo buonissimo a base di lamponi estivi disidratati. Li lasciamo in infusione con il rosmarino così da far emergere una parte più erbacea, un ricordo della mia casa in Sardegna, e con i chicchi di caffè che rilascia un corposo olio essenziale. Il lampone lo trovi da maggio a Copenaghen e mi riporta al mio legame con questo paese e il caffè al mio legame con l’Italia. C’è una combo di tutti questi elementi che mi legano in modo romantico sia a qui che a casa.
Cosa vuoi trasmettere alle persone attraverso i tuoi succhi?
Perché una persona che sperimenta il wine pairing deve avere tutte le attenzioni del sommelier e una persona che beve acqua o succhi non può avere la stessa condivisione di tempo con il cameriere? Per me, da donna di sala, è fondamentale non fare distinzioni. Tutti devono essere trattati alla stessa maniera. Sta nel cameriere avere l’empatia adatta perché poi ci sono anche clienti che vogliono stare da soli ed è importante rispettarlo. Quando una persona sta bene attraverso il mio servizio sto bene anch’io. Desidero far vivere un’esperienza oltre i confini del piatto, un’esperienza che sia anche umana se il cliente lo desidera. Non è un juice pairing fatto solo per averlo. È fatto per viverlo.



C’è un momento particolarmente emozionante che hai vissuto al ristorante?
Quando vengono i bambini e le bambine è bellissimo. Diamo il cappello, il grembiule, abbiamo le matite… Un giorno è arrivata con la sua famiglia una bambina che non beve mai succhi e le ho proposto uno dei miei con del finocchio dentro. Se l’è scolato tutto d’un fiato! E io sono andata a letto felice. Ti riempiono il cuore. Per me queste sono le cose importanti. Mi fanno commuovere.
So che hai in cantiere un nuovo progetto che decollerà i primi di aprile. Puoi parlarcene?
Insieme a Harry Leonard Bell, colui che cura la parte creativa del Bird, un cocktail bar di Copenaghen, abbiamo deciso di creare una collaborazione e di aprire l’azienda Harry and Giulia Tailor-Made Juices. Si tratta di creare succhi freschi su misura in base alle esigenze specifiche del cliente. Che siano ristoranti, bar, bakery o anche persone singole per eventi abbiamo deciso di realizzare questo progetto per dare la possibilità di assaggiare succhi speciali e berli a qualsiasi ora del giorno usando materie prime fresche e di alta qualità provenienti da fattorie della zona. Quindi per il momento è per una clientela solo locale.
Com’è nata questa collaborazione?
Per me Harry è come un fratello e quando abbiamo iniziato a parlare anni fa del progetto ci siamo resi conto che mancava questo tipo di servizio. Lui è un ragazzo di grande cultura con cui parliamo di arte, letteratura… Spesso facciamo parallelismi tra cucina e altri ambiti culturali. Per me è importante avere continui stimoli.
E se dovessi paragonare il vostro progetto a un passo della letteratura?
Ne abbiamo parlato con Harry e ci è venuto in mente l’apertura dell’Otello di Sheakspeare: “Something is rotten in the state of Denmark”. Noi non parliamo di marcio ma chissà perché questa parola ci riporta sempre a ciò che buttiamo. Con questo progetto noi cerchiamo di non avere scarti, di dare un senso ad ogni cosa riutilizzando quasi tutto per creare confetture e sorbetti. Anche quello che può apparire inutile in realtà ha una sua bellezza, un suo potenziale. Mi viene in mente anche Modigliani. Sono talmente trasparente in quello che sento, ci metto tutta l’anima in quello che faccio come in questo progetto, che se avesse preso me come soggetto per il quadro “la giovane cameriera” sicuramente l’avrebbe dipinta con le pupille.