Genesis è un evento che non si limita a svolgersi in un luogo, ma lo abita, lo risveglia, gli da una nuova voce. Creato e realizzato da Ludovica Rubbini e Riccardo Gaspari (i fondatori dell’ecosistema SanBrite/El Brite de Larieto/Piccolo Brite a Cortina d’Ampezzo), dal 2021 si impegna a raccontare una Cortina slegata dal lusso con una celebrazione della montagna come luogo di cultura e pensiero, affrontando tematiche contemporanee che intersecano l’uomo e la natura; una sorta di atto di resistenza alla banalità del turismo di massa, attraverso il fare, il fare vedere, il fare toccare. Genesis è quel tipo di evento che va vissuto e capito per poterlo raccontare.
Sono già otto le edizioni di Genesis che hanno creato consapevolezza e comunità con contenuti e stimoli sempre nuovi in grado di mescolare persone virtuose provenienti da tutto il mondo con i valori di un luogo tanto da scoprire quanto da preservare, contraendo e dilatando il tempo in un respiro profondo. E se il main event – quello che si articola in quattro giorni che vi abbiamo raccontato nelle due edizioni del 2023 e del 2024 – si terrà dal 4 al 7 settembre (e non ci sono spoiler al riguardo, ma save the date), lo scorso week end si è tenuto un altro Genesis, più “piccolo” nella forma ma non nei contenuti: l’edizione Winter. Con i fiocchi di neve, l’aria frizzantina e tutte quelle cose che fanno subito inverno anche se il clima mite e gli alberi in fiore suggerivano una primavera in anticipo. Genesis Winter è stato un atto collettivo: chi c’era non è stato spettatore, ma parte di un movimento, di un campo magnetico fatto di persone, idee e suggestioni. È l’energia della comunità che ha dato forma a tutto: nei pasti condivisi, nelle camminate sulla neve dove le parole si perdevano nell’eco della montagna, nella visita a un’architettura storica carica di significato che si è fatta palcoscenico di memoria e riflessione. Ogni elemento ha contribuito a creare un’armonia sottile.



Al centro il luogo, che non è solo una scenografia: il Villaggio ENI di Borca di Cadore (a mezz’oretta da Cortina d’Ampezzo), il progetto pionieristico nato dal sogno industriale di Enrico Mattei e dal genio architettonico di Edoardo Gellner che nel 1954 ha progettato le vacanze dei dipendenti ENI e delle loro famiglie con un rivoluzionario approccio inclusivo e democratico in cui nulla è stato lasciato al caso, dall’inquadramento paesaggistico a ogni singolo chiodo di ogni arredo. Un’opera d’arte vivente immersa in una natura che si riprende i suoi spazi con un’eleganza invidiabile in 120 ettari che ospitano 274 ville, un residence, un hotel, un centro servizi, un campeggio a tende fisse per i ragazzi tra i 14 e i 17 anni e una colonia enorme per i bambini. Qui tutto parla di unitarietà. La storia recente di Borca di Cadore è legata a quella del villaggio vacanze che insiste sulle pendici dell’Antelao da oltre 70 anni. È un luogo che non smette di raccontare le storie delle persone che l’hanno vissuto dagli anni 50 agli anni 90 e la storia di chi gli sta dando nuova vita nel rispetto dell’idea visionaria che l’ha pensato. Minoter è l’azienda che ha acquistato l’ex Villaggio Eni e che ne sta tutelando il patrimonio culturale mantenendo la struttura originale delle camere dell’Hotel Boite, ad esempio. Ogni spazio del Villaggio ENI ha parlato attraverso le tracce del tempo: la patina del legno, il gioco di ombre nei volumi, la fusione tra interno ed esterno.

È un contrasto armonioso fatto di rigore e poesia, di geometria e paesaggio, un manifesto di utopia sociale che oggi respira di nuova vita. Qui l’architettura non è una somma di volumi, ma un dialogo con la montagna, un racconto che si modella nel tempo. Il Villaggio ENI è il risultato di scelte precise: dalla scelta della materia prima – il legno, la pietra – trattata agli arredi top di gamma dell’epoca che non a caso sono ancora eccellenze oggi. Ogni elemento è frutto di una visione che ha preso forma grazie alla mano sapiente del progettista. Il risultato? Un’architettura che non si impone, ma si fonde con il paesaggio. Così come un piatto racconta un territorio attraverso il gusto, l’architettura del Villaggio ENI racconta le Dolomiti attraverso le sue linee, la sua integrazione con la natura. Proprio qui sta la scelta di Genesis di essere in questo luogo per parlare di cucina e architettura come linguaggi paralleli che fanno di una materia un progetto, di un’idea un concetto per realizzare qualcosa di tangibile – un piatto, un edificio – e di intangibile: un’emozione.
Nella cucina, come nell’architettura, la bellezza non è mai statica: è mutevole, imprevedibile, frutto di un processo più che di un risultato.
In entrambi i mondi, il concetto di perfezione è un’illusione affascinante: un gioco di equilibri tra struttura e istinto, tra ordine e caos.








Il viaggio nel tempo di Genesis Winter 2025 è iniziato con un banchetto a dir poco speciale: una cena esclusiva in una delle villette del villaggio (integra negli arredi del passato) curata dagli chef messicani Sebastián Jiménez e Fernanda Hernandez del ristorante Ræst, nelle Isole Faroe. Un armonioso incontro tra la cultura messicana e quella faroese con piccoli spunti tutti italiani, con la fermentazione a fare da filo conduttore tecnico più che filosofico in un dialogo tra Alpi e Nord Europa. Cucina e architettura condividono un segreto: il tempo non è un nemico, ma un ingrediente. Nella cucina la fermentazione crea nuovi sapori, in architettura l’usura conferisce carattere. Così i vini della cantina Emidio Pepe dimostrano come il tempo possa essere un maestro e come possa parlare di un altro territorio emblematico, l’Abruzzo, e di cura e rispetto.



Il giorno successivo, dopo una ricca colazione con i prodotti del Piccolo Brite, è arrivato il momento della contemplazione attiva: una passeggiata nel silenzio ovattato della neve per raggiungere il Rifugio Lago d’Ajal. Con una sosta costruttiva: una micro-lezione a cura di Filippo, guida alpina esperta e caro amico di Genesis, sul tema della sicurezza in montagna e della gestione della neve. Perché la montagna non si attraversa, ma si ascolta e si rispetta. E soprattutto va conosciuta. A pranzo, la calda accoglienza del Rifugio Lago d’Ajal ha fatto da contrappunto alla nevicata esterna con una cucina territoriale, le chiacchiere di gruppo e i vini dell’azienda Borgo Dus, realtà artigianale di Nervesa della Battaglia. E poi la cena al ristorante SanBrite a Cortina d’Ampezzo, con la cucina audace e sincera di Riccardo Gaspari che ha saputo trasmettere il DNA delle Dolomiti in ogni portata. Emblematico il piatto di Ditalino al farro Monograno Felicetti, burro affumicato e uova di trota, che ha dimostrato che la cucina può essere tanto ardita quanto rispettosa, che il fine dining non ha bisogno di ostentazione se ha una storia da raccontare. Nei calici Ruinart, con la cuvée Blanc Singulier Edition 19 – uno champagne che racconta i capricci del cambiamento climatico – e gli inconfondibili Trebbiano e Montepulciano di Emidio Pepe.








L’ultima giornata si è aperta con il profumo inebriante dei lievitati di Olivieri 1882, storica pasticceria vicentina pluripremiata, che ha raccontato il Panettone (il loro prodotto di punta) in tre varianti da colazione: salato con la spalla di speck e il fermentino del SanBrite, dolce come un french toast con crema inglese e “puro”, in monoporzione. Si è concluso con un tributo alla storia del luogo: la visita alla Colonia ENI, nata per accogliere i figli dei dipendenti in un contesto di crescita e condivisione. Camminare tra i corridoi di questa struttura è stato come sfogliare un album fotografico sbiadito, dove le voci di un tempo riecheggiano ancora tra le pareti e gli arredi. Un’ultima occasione per riflettere su quanto sia potente l’incontro tra comunità, energia e luogo: non è la somma degli individui a fare una comunità, ma il modo in cui questi interagiscono, creano, si muovono insieme. È il dialogo tra gli spazi e le persone, tra passato e futuro, tra l’io e il noi. È energia in forma sociale.



Viviamo in un’epoca che cerca risposte nette, schemi chiari, categorie precise. Eppure, la vera bellezza sta nelle sfumature, nei dettagli impercettibili che danno carattere a un’esperienza. È nelle sfumature che la comunità trova la sua armonia, che l’energia si distribuisce in modo naturale, perché, in fondo, la perfezione non è un risultato, ma un processo in divenire, fatto di dettagli, di incontri, di progetti. Proprio come un grande piatto o un’opera architettonica, ogni momento di Genesis è stato una sfumatura che ha contribuito a creare qualcosa di irripetibile.
Genesis Winter 2025 è stato l’incontro tra architettura e cucina, tra materia e memoria; è stato una sinfonia sensoriale destinata a lasciare il segno. Perché alcune esperienze si ricordano, altre fermentano. L’appuntamento per il prossimo capitolo è già nell’aria, come una promessa sussurrata tra le vette delle Dolomiti. E attenti alle sfumature, perché è lì che si nasconde il senso delle cose.